Estradizione: assistenza legale

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Estradizione: assistenza legale

Avverso il decreto del Ministro della Giustizia con il quale viene disposta l’estradizione di un soggetto condannato in altro Stato per una pena detentiva o perché costui deve essere sottoposto a procedimento penale, l’ordinamento giuridico italiano prevede la possibilità di contestare – dinanzi al TAR – la decisione assunta dal Governo (cfr. Cons. Stato IV, 11.5.66 n. 344; TAR Lazio 1^, 22.3.96 n. 435 e 6.10.99 n. 2171; Corte costituzionale 27.6.96 n. 223).

Contestualmente – inoltre – si può chiedere la sospensione della procedura di estradizione fino alla conclusione del relativo procedimento amministrativo: in questo caso il detenuto resterà in Italia fin quando non sarà terminato l’intero iter previsto dalla legge.

La sospensione in via cautelare dell’efficacia del provvedimento ministeriale è prevista dell’art. 56, comma 2, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. codice del processo amministrativo).

Orbene, il procedimento amministrativo comprende sia il giudizio dinanzi al TAR nonché quello eventualmente successivo da svolgersi dinanzi al Consiglio di Stato.

Il decreto con il quale si concede l’estradizione ha la caratteristica di essere un atto di alta amministrazione e ben può quindi formare oggetto di sindacato da parte del Tribunale competente (il TAR) in riferimento alla sussistenza di eventuali vizi formali dello stesso, pur rimanendo esclusa la possibilità di effettuare un accertamento che si traduca nel riesame di provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice penale e concernenti lo status libertatis, ovvero del riscontro della sussistenza delle condizioni di estradabilità.

La legge riconosce al Ministro della Giustizia, infatti, ambiti di valutazione propria e, dunque, la possibilità di sindacare la decisione da questi assunta sulla procedura estradizionale.

Tale assunto si ricava da specifiche disposizioni di legge (cfr. art. 697, 2° co.; art. 698, 2° co.; art. 699, 3° e 4° co. codice di procedura penale) nonché dal fatto che l’estradizione non è resa obbligatoria neppure dal consenso dell’interessato né dalla decisione adottata della corte di appello la quale, pertanto, non è vincolante (art. 701, 3° co., c.p.p.).

Inoltre, non può sottacersi che l’art. 705 cod. proc. pen., nel disciplinare la materia, non riserva in via esclusiva all’Autorità Giudiziaria la valutazione in ordine alla condizioni necessarie per la concessione della sentenza estradizionale.

Ed allora, in fase di valutazione di deliberazione del decreto con il quale si concede l’estradizione, ci sono alcune circostanze che devono essere necessariamente valutate dal Ministro di Grazia e Giustizia per poter ritenere legittima la procedura di estradizione e, dunque, il decreto con il quale la stessa si dispone.

Nel caso in cui tale rigoroso accertamento non sia stato effettuato secondo quanto prescritto dalla legge, il condannato non può essere estradato e deve essere rimesso in libertà.

In questi casi l’estradizione, infatti, non può essere concessa perché assunta in violazione dei principi costituzionali del nostro ordinamento poiché l’autorità competente non ha svolto alcuna valutazione in riferimento alla concedibilità dell’estradizione.

Quando le giustificazioni addotte, poste a sostegno della decisione di estradizione non sono sufficienti, il provvedimento deve essere annullato: infatti, dall’entrata in vigore della legge n° 241 del 1990 si è resa obbligatoria la motivazione di tutti gli atti amministrativi ed è dunque possibile impugnare per illegittimità quelli che si basano su motivi insufficienti o inadeguati.

Plurime, dunque, possono essere le violazioni di legge che possono comportare l’annullamento del provvedimento che comporterebbe la conseguenziale rimessione in libertà del soggetto detenuto.

Ad esempio:

1) eccesso di potere per disparità di trattamento, manifesta ingiustizia, violazione del principio di uguaglianza;

2) quando attraverso l’estradizione si consentirebbe ad un cittadino residente in Italia di poter non godere dei benefici penitenziari previsti dal nostro ordinamento;

3) quando non sono state richieste informative al Governo richiedente sulla condizione di detenzione che l’estradando subirà nel paese estero e quando non appare essere sicura la concedibilità all’estradando di accedere a misure alternative alle detenzione;

4) quando il provvedimento non tiene conto del fatto che il soggetto abbia radicato la sua persona in Italia nonché del fatto che lo stesso – e la sua famiglia – siano residenti e perfettamente integrati in Italia;

5) quando il reato in Italia debba considerarsi prescritto e dunque il detenuto non può essere sottoposto alla relativa esecuzione di pena;

6) quando (in via estrema) il detenuto potrebbe, nello Stato estero, essere sottoposto ad una persecuzione politica o all’esecuzione di una pena contraria al senso di umanità.

 

Dunque, prima di arrivare alla decisione di estradizione, il Ministro della Giustizia, preso atto della decisione del giudice penale in riferimento alle condizioni legittimanti l’estradizione, deve valutare, nell’esercizio del suo potere discrezionale, quali siano in concreto le condizioni dell’estradando.

Tale accertamento deve anche essere svolto in considerazione del reato per il quale l’estradizione è stata richiesta.

Pertanto, il decreto attraverso il quale si concede l’estradizione, deve essere fondato su parametri oggettivi (quali quelli sopra indicati), da verificare nel caso sul quale occorre provvedere e non può solo richiamarsi all’intervenuta pronuncia del giudice penale che ha provveduto a convalidare la decisione dello Stato estero.

Tali valutazioni devono necessariamente essere espletate poiché direttamente incidono sullo status libertatis dell’estradando, la cui limitazione deve essere basata su di una valutazione che tenga conto delle circostanza sopra riportate.

Una limitazione della libertà personale priva di adeguata giustificazione comporterebbe la violazione dell’art. 13 della Costituzione.

La non possibilità di accedere a misure alternative al carcere, dunque, comporterebbe la violazione dei diritti fondamentali della persona da estradare in quanto la pena sarebbe certamente meramente punitiva e non già rieducativa, non consentendo al ricorrente di accedere a benefici che l’ordinamento giuridico nazionale riconosce proprio poiché la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.

Diversamente, non sarebbe garantito il principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge e chi è radicato in Italia, seppur non cittadino, deve essere giudicato proprio come se fosse un cittadino italiano.

Dunque è di fondamentale importanza, prima che il detenuto sia trasferito all’estero per scontare la pena o essere sottoposto a procedimento penale, verificare la sussistenza dei presupposti di legge che legittimano il provvedimento adottato dal Ministro della Giustizia.

Lo studio legale Brancaccio&Esposito è formato da avvocati che hanno grande esperienza in tema di estradizione, cooperazione internazionale, ordini di detenzione europea nonché internazionale e garantiscono un’assistenza legale (anche in lingua straniera) di altissimo livello in questo tipo di procedimento molto impegnativi in quanto in gioco c’è la libertà nonché i diritti di una persona che non possono essere in alcun modo limitati.

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