Incompatibilità con il regime carcerario. Stato di Salute e Detenzione in carcere

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Incompatibilità con il regime carcerario. Stato di Salute e Detenzione in carcere

Stato di salute del detenuto e incompatibilità al regime detentivo: quando bisogna disporre la perizia per l’accertamento. Se vuoi ricevere una consulenza su questo argomento clicca qui.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 dicembre 2014 – 10 febbraio 2015, n. 5934 Presidente Fiale – Relatore Pezzella

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Genova, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente L.R. , con ordinanza del 17.6.2014 rigettava l’appello avverso l’ordinanza con cui il GIP del Tribunale di Genova, in data 15.4.2014 aveva a sua volta rigettato l’istanza di sostituzione con gli arresti domiciliari della misura cautelare in atto della custodia in carcere.
Quest’ultima era stata disposta nei confronti di L.R. con ordinanza del GIP di Genova del 27.7.2013 (eseguita l’8.8.2013) per il reato previsto dagli artt. 81 cod. pen., 3 nn.5 e 8, 4 nn. 1 e 7 L. 75/1958 e 610 cod. pen. per avere favorito e sfruttato la prostituzione di due ragazze e avere percosso una delle due (in Genova dal giugno 2012 al dicembre 2012 ed il 31.12.12), reato in data 24.1.2014 per il quale era stata pronunciata la sentenza di primo grado con l’applicazione ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen. della pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, sentenza impugnata presso questa Corte di Cassazione.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, L.R. , deducendo l’unico motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
– difetto e illogicità di motivazione ex art. 606 cod. proc. pen..
Il ricorrente deduce che l’ordinanza impugnata limiterebbe a poche righe la valutazione dell’impugnazione proposta ex art. 310 cod. proc. pen., riprendendo in modo pedissequo la motivazione dell’ordinanza appellata.
I temi sottoposti all’attenzione del tribunale della libertà sarebbero stati sostanzialmente due:

a) il primo attiene al fatto che, sull’originaria istanza, il PM aveva espresso un parere contrario, allo stato, segnalando l’opportunità di chiedere una relazione sanitaria e riservandosi di esprimere un nuovo parere all’esito della stessa relazione. E nell’appello si era eccepito che il GIP, acquisita la relazione, avrebbe emesso il provvedimento di rigetto, lo stesso giorno, senza trasmettere previamente gli atti al PM per un nuovo esame, ma sul punto nulla avrebbe risposto il Tribunale del Riesame.

b) Il secondo tema, punto principale dell’impugnazione, era stato, invece, quello sulla valutazione delle esigenze cautelari operata dal GIP. Si sosteneva che, definito il processo in primo grado con sentenza di patteggiamento ed espiata in custodia cautelare una quota di pena (10 mesi) tale per cui al passaggio in giudicato il L. potrà essere ammesso a godere ogni tipo di misura alternativa, non poteva non darsi valore al nuovo elemento delle condizioni di salute dell’imputato.
Tale dato non sarebbe stato correttamente valutato dal tribunale dell’appello cautelare che, in modo illogico, si limiterebbe a fare riferimento alla relazione del dr. Z. , medico generico della casa circondariale di (omissis) , quando, allegata alla stessa, c’era la relazione psichiatrica che attestava un disagio psichico importante.
La lettura di questa relazione da parte del GIP sarebbe stata assai riduttiva e il tribunale non avrebbe integrato la motivazione della prima ordinanza reiettiva.
Il tutto in una fase in cui non c’erano più esigenze di indagini, la pena residua apriva le porte a qualsiasi tipo di beneficio e si era di fronte ad un imputato incensurato e fornito, fino al momento dell’arresto, di regolare permesso di soggiorno.
Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

1. I motivi sopra illustrati sono infondati e, pertanto, il proposto ricorso va rigettato.
2. Infondato è il motivo sub a., con cui si lamenta un error in procedendo in cui sarebbe incorso il GIP – e su cui il tribunale in sede di gravame non avrebbe risposto – laddove ha provveduto, dopo avere disposto accertamenti presso la struttura sanitaria dell’amministrazione penitenziaria, senza nuovamente richiedere il parere del PM.

Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte di legittimità la mancata acquisizione del parere del pubblico ministero in ordine alla istanza di revoca della misura cautelare, richiesto dall’art. 299 comma 3-bis cod. proc. pen, non determina la nullità del provvedimento ex art. 178 lettera b) dello stesso codice, a condizione che il rappresentante della pubblica accusa sia stato messo in condizione di esprimere le proprie conclusioni, ancorché in concreto non lo abbia fatto (sez. 6, n. 33165 del 29.5.2012, Santariga, rv. 253196).

Nel caso che ci occupa il PM veniva messo in condizione di esprimere il parere di rito sull’istanza ex art. 299 cod. proc. pen. avanzata dal difensore in data 2.5,2014 e, come si evince dagli atti – cui questa Corte di legittimità ha ritenuto di accedere atteso il tipo di doglianza proposta – in data 5.5.2014 ha espresso il seguente parere: “tenuto conto che la difesa evidenzia le precarie condizioni di salute dell’imputato, invita il Giudice a disporre gli accertamenti medici di cui all’art. 299 c. 4 ter del cpp, riservando parere all’esito; allo stato parere contrario alla luce della pena elevata riportata in primo grado”.

Il Gip non accedeva all’invito rivoltogli dal PM. Né si ritiene, come si dirà di qui a breve sub 3., vi fosse tenuto.
Con provvedimento del 6.5.2014 il giudice della cautela disponeva, invece, l’acquisizione di informazioni presso la Casa Circondariale di (OMISSIS) in ordine alle condizioni di salute dell’imputato che “secondo quanto scritto nell’istanza verserebbe in stato di grave depressione e sarebbe controllato a vista nel timore di gravi atti autolesionistici” (così il provvedimento de quo nel quale si raccomandava tempestività nel riscontro).
La relazione perveniva al GIP il 15.5.2014 e lo stesso provvedeva in pari data, tenendo conto del parere negativo espresso dal PM in data 5.5.2014, evidentemente ancora valido e pertinente non essendo stata disposta la chiesta perizia.
3. Come si anticipava poc’anzi, in punto di obbligo di disporre la perizia qualora siano addotte in sede di richiesta ex art. 299 cod. proc. pen. motivi di incompatibilità carceraria per ragioni di salute ex art. 275 co. 4bis cod. proc. pen. ad un orientamento maggiormente restrittivo (cfr. sez. 4, n. 16524 del 15.2.2013, Mafrica, rv. 254846; conf. Sez. Un. n. 3 del 17.2.1999, Femia, rv. 212755; n. 1414 del 14.3.2000, Santoro, rv. 217151; n. 16547 del 14.3.2010, Mule, rv. 246934; n. 27295 del 9.6.2010, Cali, rv. 247889) è andato affiancandosi quello – cui il Collegio ritiene di aderire – secondo cui la previsione di cui all’art. 299, co. 4 ter, cod. proc. pen. impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile “fumus” e cioè se risulti formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere (così sez. 2, n. 8642 del 14.2.2013, Foraci, rv. 255236; conf. sez. 4, n. 12271 del 22.1.2003, Sorrenti, rv. 223932; sez. 6, ord. n. 18838 del 3.3.2006, Gallinoti, rv. 233740; sez. 1, n. 12698 del 14.2.2008, Santapaola, rv. 239374; sez. 2, n. 11328 del 2.12.2010, Senese, Rv. 249942).

Va ricordato che in tema di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, secondo la previsione di cui all’art. 299 co. 4 ter cod. proc. pen. se la richiesta è basata sulle condizioni di salute di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 4 bis, ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, il giudice, se non ritiene di accoglierla sulla base degli atti, dispone con immediatezza e comunque non oltre il termine previsto al comma 3, gli accertamenti medici del caso, nominando un perito.

Il giudice, dunque, ha l’obbligo di disporre la perizia solo se sono evidenziate ragioni di salute riconducibili alla previsione di cui all’art. 275 co. 4 bis cod. proc. pen. e cioè: l’essere il richiedente persona affetta da AIDS conclamata o da gravi deficienze immunitarie accertate ai sensi dell’art. 256 bis, co. 2 cod. proc. pen. ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.

A far scattare l’obbligo di nominare un perito non basta, dunque, evidentemente, prospettare una qualsivoglia malattia, ma occorre che venga evidenziata e circostanziata una patologia “particolarmente grave”, la cui cura non sia compatibile con il regime carcerario, anche nei centri clinici particolarmente attrezzati disponibili all’interno di talune strutture dell’amministrazione penitenziaria. E se non è onere del richiedente provare in maniera esaustiva tale incompatibilità, per contro la richiesta deve contenere degli elementi che consentano al giudice una delibazione circa la ricaduta del caso in esame nella previsione di cui all’art. 275 co. 4 bis cod. proc. pen..

In tal senso anche le citate SS.UU. 3/1999, Femia, che pure si sono richiamate tra le pronunce più restrittive, mostravano di consentire al giudice di delibare sull’ammissibilità della richiesta, onde attivare la procedura decisoria, pur se solo al fine di verificare che fosse stata prospettata una situazione di salute della specie prevista dall’art. 275 co. 4 bis cod. proc. pen., comma 4.

Resta condivisibile il dictum delle citate SS.UU. secondo cui al giudice è inibito respingere la domanda solo perché, in via preliminare, si prefiguri la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non potendo tale apprezzamento che essere successivo all’accertamento peritale che offre il parametro di comparazione (SS.UU. sent. 3 del 1999, rie. Femia, RV 212756). Tuttavia il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta de libertate ex art. 299 cod. proc. pen. sarà chiamato a verificare se quella prospettatagli è una richiesta fondata su esigenze di salute tout court ovvero su quelle situazioni particolarmente gravi enucleabili dal dettato dell’art. 275 co. 4 bis che gli impongono la nomina del perito. E se propende per la prima tesi – come evidentemente ha fatto il GIP genovese nel caso che ci occupa.- trova applicazione la prima parte del comma 4ter dell’art. 299 cod. proc. pen., secondo cui “quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell’imputato”.

Diversamente opinando, evidentemente, se si propendesse per un obbligo del giudice di disporre perizia ogni qualvolta venga solo affermata l’incompatibilità carceraria per ragioni di salute non si comprenderebbe in quali casi potrebbero essere disposti gli “accertamenti sulle condizioni di salute” previsti dalla prima parte della norma richiamata.
Naturalmente nulla esclude che gli accertamenti informali disposti presso la struttura carceraria evidenzino che, contrariamente a quanto emergeva dalla prima delibazione operata dal giudice, si versi in un caso particolarmente grave, di quelli riconduciteli al comma 4bis dell’art. 275 cod. proc. pen. Ed allora il giudice, se non ritiene di dover provvedere allo stato degli atti a disporre una misura extracarceraria, dovrà provvedere alla nomina del perito ex art. 299 co. 4 ter cod. proc. pen..

4. Nel caso in esame il tribunale genovese ha implicitamente ritenuto insussistente il vizio procedurale dedotto, laddove ha dato conto degli accertamenti effettuati dalla struttura sanitaria dell’istituto carcerario con motivazione che, in quanto non manifestamente illogica, non si presta alle censure mosse con il ricorso.
Viene ricordato, infatti, nella motivazione del provvedimento impugnato, che la direzione sanitaria del carcere con relazione del 14.5.2014, spiegava che L.R. è soggetto in stato ansioso-depressivo, inserito in regime di “attenta sorveglianza” e non già di “sorveglianza a vista”, seguito da psichiatri con cadenza regolare e con specifica terapia e che presenta lieve miglioramento del tono dell’umore. Veniva allegata in proposito – ricordano ancora i giudici genovesi – una relazione del 12.5.14 della psichiatra dell’ASL X genovese che attestava controlli settimanali con assunzione di terapia, nonché collaborazione e miglioramento da parte del paziente.
Sulla scorta di tali relazioni, il GIP, dunque, con ordinanza del 15.5.2014 rigettava l’istanza, aggiungendo che nessun novum di rilievo era stato allegato a sostegno della prospettata attenuazione delle esigenze cautelari poste a base della misura.
Ebbene, con motivazione logica e congrua, i giudici del gravame cautelare rilevano, in merito alle condizioni di salute del prevenuto, come non fosse dato evincersi la condizione di incompatibilità con il regime carcerario prospettata dalla difesa, evidenziando che peraltro quest’ultima non aveva allegato alcuna documentazione dalla quale evincere detta incompatibilità, prospettando un generico stato ansioso-depressivo, risultante anche dalle citate relazioni in atti (viene richiamata in particolare la relazione della dr.ssa D. del 12.5.2014, nella quale esplicitamente si riferisce che “il paziente, nel complesso, ha mostrato una sofferenza psichica depressiva con aspetti francamente psicotici non tali da richiedere un ricovero o un intervento in acuto ed è stato utile somministrare una terapia antipsicotica e antidepressiva che con difficoltà il paziente ha inizialmente assunto … attualmente il paziente è più collaborante e ha mostrato segni di un iniziale miglioramento nonché beneficio dalla terapia, viene regolarmente visitato dalla scrivente e dalla psicologa con una frequenza settimanale”).

5. Infondato è anche il motivo di ricorso sub b. con il quale si duole l’imputato della incongrua valutazione delle esigenze cautelari anche in relazione alle sue condizioni di salute e alla luce dell’intervenuta sentenza di applicazione della pena ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen..
Va ricordato che nel sistema processualpenalistico vigente, così come non è conferita a questa Corte di legittimità alcuna possibilità di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, né dello spessore degli indizi, non è dato nemmeno alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche del fatto o di quelle soggettive dell’indagato in relazione all’apprezzamento delle stesse che sia stato operato ai fini della valutazione delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate.
Si tratta, infatti, di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura, nonché, in sede di gravame della stessa, del tribunale del riesame.

È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte Suprema che in tema di misure cautelari, il pericolo di reiterazione criminosa vada valutato in ragione delle modalità e circostanze del fatto e della personalità dell’imputato (cfr. per tutte questa sez. 3, n. 14846 del 5.3.2009, Pincheira, rv. 243464, fattispecie di misura cautelare applicata per il delitto di violenza sessuale ai danni di un minore, in cui la Corte ha annullato per illogicità e contraddittorietà della motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che, nell’attenuare la misura cautelare, aveva sostenuto che essendo la condotta delittuosa collegata ad un solo soggetto passivo, non appariva verosimile che il reo potesse reiterarla in danno di altre persone).
Più precisamente, la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei reati, di cui all’art. 274 comma primo lett. c) cod. proc. pen., deve essere desunta sia dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, che dalla personalità dell’imputato, valutata sulla base dei precedenti penali o dei comportamenti concreti, attraverso una valutazione che, in modo globale, tenga conto di entrambi i criteri direttivi indicati (sez. 4, Sentenza n. 37566 del 01/04/2004 Cc. dep. 23/09/2004 Rv. 229141).

È stato, tuttavia, in più occasioni, anche condivisibilmente sottolineato come nulla impedisca di attribuire alle medesime modalità e circostanze di fatto una duplice valenza, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto, sia sotto il profilo dell’apprezzamento della capacità a delinquere.
In altri termini, le specifiche modalità e circostanze del fatto ben possono essere prese in considerazione anche per il giudizio sulla pericolosità dell’indagato, ove la condotta serbata in occasione di un reato rappresenti un elemento specifico assai significativo per valutare la personalità dell’agente (cfr., ex plurimis, sez. 2 n. 35476/07).

Nello specifico, è stato di recente più volte affermato come ai fini dell’individuazione dell’esigenza cautelare di cui all’art. 274, lettera c), cod. proc. pen., il giudice possa porre a base della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto commesso da cui ha dedotto anche la gravità del medesimo (sez. 1 n. 8534 del 9.1.2013, Liuzzi, rv. 254928; sez. 5 n. 35265 del 12.3.2013, Castelliti, rv. 255763).

Nel caso di specie, il tribunale genovese ha motivato in modo più che esauriente il suo provvedimento in ordine alle esigenze cautelari e alla idoneità della misura della custodia in carcere in aderenza ai suddetti principi di diritto laddove, attraverso un percorso logico assolutamente privo di incongruenze o contraddittorietà, ha, come detto in precedenza, ampiamente rivalutato il profilo delle esigenze cautelari alla luce dello stato di salute dell’imputato e, quanto all’intervenuta sentenza di patteggiamento, non passata in giudicato per l’operato ricorso a questa Corte, ha valutato negativamente per il richiedente l’entità della pena inflitta.

Nello specifico sono state ritenute ancora sussistenti le esigenze cautelari legate al pericolo di recidiva specifica, viste le modalità del fatto, anche violente e minacciose, con ripetizione nel tempo, ai danni di due ragazze, una delle quali, a dire della difesa, già convivente con l’imputato, a lui legata sentimentalmente ed ancora in contatto con lo stesso, essendo andata a trovarlo durante la detenzione.

6. Il tribunale dell’appello cautelare, ha poi compiuto un apprezzamento circa il modesto decorso del tempo dall’applicazione della misura stessa a fronte della gravità del reato commesso in concorso con altri soggetti, ai danni di soggetti deboli ed anche con l’uso di violenza e minaccia e ha anche evidenziato come il reddito della sorella che si era offerta di occuparsi del ricorrente apparisse appena sufficiente al mantenimento di se stessa e della figlia minore, concludendo, con motivazione logica e congrua, nel senso che unica misura ancora adeguata e proporzionata appariva quella in atto.

In tal senso va evidenziato che il tribunale genovese mostra di avere fatto buon governo dei principi di diritto reiteratamente affermati da questa Corte di legittimità, secondo cui ai fini della sostituzione della misura della custodia cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari e comunque con altra meno afflittiva, il mero decorso del tempo non è elemento rilevante ex sé perché la sua valenza si esaurisce nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa, e quindi necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’affievolimento delle esigenze cautelari (cfr., ex plurimis, n. 24897 del 10.5.2013, Sisti, rv. 255832; sez. 4, n. 34786 dell’8.4.2014, Morabito, rv. 260293; sez. 2, n. 42513 dell’8.11.2007, Lombardo, rv. 238518; sez. 3, n. 26477 del 27.5.2003, Cesaro e altro, rv. 225594; sez. 3, n. 23424 del 15.5.2001, Mannino, rv. 219527; sez. 1, n. 2443 del 26.4.1995, Adelizi, rv. 202138).

7. Congrua appare anche la motivazione del provvedimento impugnato in termini di adeguatezza ed idoneità della misura in atto, laddove il tribunale genovese dichiara di concordare con il GIP, tenuto conto delle modalità abituali della condotta, fonte di sostentamento per l’indagato, privo di lecita attività lavorativa, e della personalità dello stesso, irregolare nel territorio, già coinvolto in vicenda dei tutto analoga senza che la stessa avesse avuto il minimo effetto deterrente.

È pacificamente affermato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte che in tema di scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del provvedimento di custodia in carcere, non è necessaria un’analitica dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere la custodia in carcere come la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive (sez. 6, n. 17313 del 20.4.2011, Cardoni, rv. 250060; conf. sez. 1, n. 45011 del 26.9.2003, Villani, rv. 227304).
In altra pronuncia è stato condivisibilmente sottolineato che in tema di criteri di scelta delle misure cautelari, è immune da censure la decisione con cui il giudice di merito rigetti l’istanza di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, sulla base di elementi specifici inerenti al fatto, alle sue motivazioni ed alla personalità del soggetto che indichino quest’ultimo come propenso all’inosservanza dell’obbligo di non allontanarsi dal domicilio, in violazione delle cautele impostegli, trattandosi di soggetto violento e proclive a reati commessi mediante l’uso di violenza personale; e questo ancorché la previsione di cui all’art. 275 cod. proc. pen. non ponga a carico del giudice l’obbligo di una motivazione analitica sull’inadeguatezza di ogni altra misura cautelare (nella specie arresti domiciliari), essendo a tal fine sufficiente e necessario che egli dimostri che l’unica misura adeguata ad impedire la prosecuzione dell’attività criminosa è la permanenza in carcere (sez. 5, n. 9494 del 19.10.2005 dep. il 17.3.2006, Pannone, rv. 233884).

8. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Cancelleria dovrà provvedere alle comunicazioni di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente a norma dell’art. 94 comma 1 ter Disp. Att. cpp..

Da avvocatopenalista.com

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