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Sentenza: Vince al 10 e lotto, ma non convince i magistrati sulla provenienza lecita delle somme.
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Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 aprile – 29 luglio 2013, n. 32812
Presidente Teresi – Relatore Graziosi
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 7 giugno 2012 il Tribunale di Milano ha respinto richiesta di riesame avanzata da M.L. – indagata per reati di cui agli articoli 81 cpv., 110 c.p., 12 quinquies d.l. 306/1992 – contro decreto del gip dello stesso Tribunale del 28 aprile 2012 che aveva disposto sequestro preventivo di un conto corrente bancario ai sensi degli articoli 321 ss. c.p. e 12 sexies d.l. 306/1092, ritenendo che su di esso fossero stati trasferiti fondi illeciti.
2. Ha presentato ricorso il difensore, denunciando violazione di legge in rapporto all’articolo 12 sexies d.l. 306/1992 per mancata valutazione del fumus commissi delicti e del periculum, nonché violazione dell’articolo 125 c.p.p. sempre in ordine ai presupposti della cautela.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato.
La ricorrente espone in modo unitario il contenuto delle sue doglianze per violazione art. 12 sexies d.l. 306/1992 le quali parimenti possono essere vagliate in modo unitario. In sostanza, il Tribunale è censurato per non avere tenuto conto degli elementi probatori correlati alle argomentazioni difensive per provare l’insussistenza dei presupposti della cautela. In particolare, la difesa aveva prodotto, per dimostrare che il denaro che si trovava sul conto corrente non derivava da traffici illeciti bensì da una vincita al concorso 10 e Lotto, le ricevute del concorso, l’autorizzazione all’incasso rilasciata alla banca convenzionata (Intesa San Paolo) e le richieste di successivo bonifico sul proprio conto corrente; e per dimostrare che poteva permettersi di partecipare al concorso con denaro proprio, la ricorrente aveva altresì prodotto lettera di licenziamento per attestare che all’epoca aveva un lavoro. Su questi aspetti la motivazione sarebbe apparente e illogica.
Premesso che il vizio motivazionale, ai sensi dell’articolo 325, primo comma, c.p.p., in questa sede può farsi valere esci usi va mente come violazione di legge, e che effettivamente la ricorrente ha invocato l’articolo 125 c.p.p. come violato, deve peraltro riconoscersi che non corrisponde al vero che il Tribunale non abbia adeguatamente considerato la suddetta documentazione. Al riguardo, infatti, offre una motivazione, che può essere nel merito condivisibile o meno, ma che sul piano valutabile in sede di legittimità, cioè quello logico-giuridico, non è viziata, né può qualificarsi apparente. Il Tribunale, infatti, ritiene che l’avere la ricorrente acquistato nella stessa giornata 14 scontrini di Euro 200 ciascuno e giocato nello stesso concorso per 14 volte gli stessi numeri, essendo dipendente dal convivente (che era al centro dell’attività criminosa da cui è sortita anche l’incolpazione dell’indagata), sia stata “una messa in scena”, essendo le vincite irrealistiche e anomale e non essendo sufficienti per dimostrarle i documenti prodotti dalla difesa, che il giudice di merito ha ritenuto “costruiti ad arte” dall’indagata e dal suo convivente “per nascondere un trasferimento di fondi illeciti dal secondo alla prima”. Non vi è dunque violazione dell’articolo 125 c.p.p. – art. 12 sexies d.l. 306/1992 né, tantomeno, violazione di legge in relazione all’accertamento del fumus commissi delicti, trattandosi in realtà di una questione di merito, in questa sede non presentabile in versione alternativa, che il giudice ha sorretto con una motivazione reale e logica. Riguardo poi al periculum, poiché l’ordinanza deve essere recepita nella sua completezza motivazionale, pure tale doglianza non è fondata, avendo inequivocamente illustrato tale aspetto il giudice di merito laddove ha richiamato l’evidenziazione del pm dell’utilizzo dei conti correnti bancari e postali nell’attività criminosa in questione (conti infatti “funzionali da un lato all’attività quotidiana di prelievo e bonifico necessaria per la realizzazione delle frodi fiscali e dall’altra all’attività di reinvestimento e reimpiego degli utili illecitamente acquisiti, da nascondere attraverso intestazioni fittizie”: motivazione, pagina 1).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.