Art. 10 CEDU: quando sussiste la violazione e quando fare ricorso

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Art. 10 CEDU: quando sussiste la violazione e quando fare ricorso

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La V sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 7340/2019 è stata chiamata a pronunciarsi in merito alla causa di giustificazione del diritto di critica che era stata esclusa dai giudici di merito in ordine ad espressioni offensive profferite, nel corso della campagna elettorale per l’elezione del Presidente delle Confederazione Italiana Agricoltori,  contro il presidente uscente che, a causa dei comportamenti scorretti, aveva dato luogo al commissariamento dell’ente.

Il ricorrente eccepiva l’errore in cui erano incorsi i giudici di merito nell’escludere l’applicabilità della causa di giustificazione del diritto di critica di cui all’art. 51 c.p.

La Corte di Cassazione riteneva tale censura fondata poiché le critiche mosse dal ricorrente riguardavano un tema di interesse pubblico ed una vicenda nota all’opinione pubblica.

Quali sono i requisiti della scriminante del diritto di critica?

La Corte ricordava che i requisiti per l’applicazione delle esimenti del diritto di critica e di cronaca sono oramai consolidati nell’interesse sociale all’informazione, nella continenza del linguaggio e nella verità del fatto narrato.

Con specifico riferimento al diritto di critica politica, il rispetto del principio di verità ha un’incidenza affievolita rispetto a quella del diritto di cronaca, in quanto la critica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha carattere congetturale che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010). E difatti, l’esercizio del diritto di critica consente il ricorso anche ad espressioni forti e persino suggestive al fine di potenziare l’efficacia del discorso o del testo e richiamare l’attenzione dell’interlocutore destinatario.

Secondo la corte EDU quando un’espressione è eccessivamente offensiva e non giustificabile?

In tale senso si è espressa anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo secondo cui la diffamazione rappresenta una interferenza con la libertà di espressione e quindi contrasta con l’art. 10 CEDU, a meno che non sia «prescritta dalla legge», non persegua uno o più degli obiettivi legittimi e non sia «necessaria in una società democratica».

La Corte EDU, nelle varie pronunce facenti seguito ai ricorsi aventi ad oggetto la violazione art. 10 CEDU, ha sviluppato il principio inerente la “verità del fatto narrato” per ritenere giustificabile la divulgazione lesiva dell’onore e della reputazione.

La Corte, nel trattare i ricorsi per la violazione art. 10 CEDU, ha elaborato una distinzione tra dichiarazioni relative a fatti e dichiarazioni che contengano un giudizio di valore, sottolineando come anche nelle dichiarazioni con giudizio di valore vi sia un nucleo fattuale che deve essere sia veritiero che oggettivamente sufficiente per permettere di trarvi un giudizio; in caso contrario, si avrebbe un’affermazione eccessivamente offensiva, non scriminabile perché assolutamente priva di fondamento o di concreti riferimenti fattuali.

La Corte Europea si riferisce principalmente proprio al diritto di critica, politica, etica o di costume e, in generale, a quel diritto strettamente correlato con il diritto alla libera espressione del pensiero, che è il diritto di opinione.

La sentenza CEDU Mengi vs. Turkey del 27.2.2013, descrive la più recente posizione della Corte nei ricorsi per violazione art. 10 CEDU e nella distinzione tra diritto di critica e diritto di cronaca. In tale pronuncia la Corte Edu distingue tra statement of facts (oggetto di prova) e value judgements (non suscettibili di dimostrazione) e rileva come nel secondo caso il potenziale offensivo dell’articolo o dello scritto, nel quale è tollerabile ‘exaggeration or even provocation’,viene neutralizzato dal fatto che lo scritto si basi su di un nucleo fattuale (veritiero e rigorosamente controllabile) sufficiente per poter trarre il giudizio di valore negativo; se il nucleo fattuale è insufficiente, il giudizio è ‘gratuito’ e pertanto ingiustificato e diffamatorio.

Quali toni può assumere la critica politica?

La Corte di Cassazione, a questo punto, chiariva che una volta appurato che il contesto espositivo è di tipo valutativo, vanno individuati i limiti del diritto di critica costituiti dalla rilevanza sociale dell’argomento e dalla correttezza delle espressioni.

In tema di diffamazione, nella valutazione del requisito della continenza, necessario ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione (sez. 5, sent. n. 41414 del 2016).

I toni aspri e vibrati che spesso assume la critica politica ed il rilievo secondo cui la critica può assumere forme tanto più incisive e penetranti quanto più rilevante sia la posizione pubblica del destinatario  consentono di fare comunque applicazione della scriminante di cui all’art. 51 c.p. poiché nell’ambito politico risulta preminente l’interesse generale al libero svolgimento della vita democratica.

La Corte di Cassazione, in merito, richiamava anche l’art. 21 Cost. che, analogamente all’art. 10 Cedu, non tutela unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, essendo al contrario principalmente rivolto a garantire la libertà proprio delle opinioni che “urtano, scuotono o inquietano”, con la conseguenza che di esse non può predicarsi un controllo se non nei limiti della continenza espositiva, che, una volta riscontrata, integra l’esimente del diritto di critica (Sez. 5, n. 25138 del 21/02/2007).

Pertanto, la Corte di Cassazione, valutando la critica mossa dal ricorrente, rispettosa dei limiti della veridicità pertinenza e continenza, quale espressione della libertà di manifestazione del pensiero, annullava la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

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