La Corte d’Appello di Milano, Quarta sezione penale, in riforma della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Milano, ha escluso la circostanza aggravante della recidiva di cui all’art. 99 comma 2 c.p., applicata erroneamente dal giudice di prime cure e, in quanto circostanza ad effetto speciale, incidente nel calcolo del tempo necessario a prescrivere del reato di frode assicurativa di cui all’art. 642 comma 2 c.p., ed ha prosciolto l’imputato per intervenuta prescrizione, confermando solo le statuizioni civili della sentenza impugnata.
L’appellante – difeso anche in primo grado dagli Avvocati Vincenzo Esposito ed Ismaele Brancaccio – era stato condannato per aver denunciato un sinistro mai avvenuto, mediante la richiesta di risarcimento ricevuta dalla compagnia assicuratrice Genyalloyd Spa con sede a Milano, in data 5.10.2010, al fine di conseguire l’indennizzo della polizza assicurativa.
La difesa, nell’atto di appello, oltre a rilevare le nullità di cui era affetta la sentenza di primo grado e l’insufficienza della prove acquisite ai fini della pronuncia di condanna, ha contestato l’applicazione da parte del giudice di prime cure della recidiva chiedendo l’esclusione della circostanza de quo e, di guisa, una pronuncia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Occorre, a tal punto, effettuare delle precisazioni, in primis, in ordine alla circostanza aggravante della recidiva, in secundis, riguardo all’istituto della prescrizione.
La recidiva, disciplinata dall’art. 99 c.p., è una condizione personale del reo, che si manifesta quando questi commette un delitto non colposo dopo essere stato giudicato per un fatto illecito precedente.
Trattasi di una circostanza aggravante (inerente alla persona del colpevole – art. 70 comma 2 c.p.), ad effetto speciale (tranne che per quella semplice dell’art. 99 comma 1 c.p.), poichè può portare ad un aumento di pena superiore ad un terzo.
Per il configurarsi di tale circostanza non è sufficiente l’aver tenuto già una condotta antigiuridica, ma è essenziale un provvedimento giudiziale che affermi la responsabilità del soggetto agente in modo irrevocabile, ossia occorre che il nuovo reato sia commesso dopo che la precedente condanna sia divenuta irrevocabile.
Nel caso in specie, invece, la frode assicurativa era stata commessa quando le precedenti pronunce di condanna a carico dell’imputato non erano ancora passate in giudicato.
La Suprema Corte di Cassazione, ormai da tempo, ha chiarito che: “intanto può evocarsi lo status di recidivo nelle varie “forme” previste dall’art. 99 c.p., in quanto le condanne utilizzate come “precedenti” siano passate in giudicato prima della commissione del fatto-reato cui la recidiva stessa si riferisce. È ben vero, infatti, che, l’art. 99, comma 1, nel far riferimento alla condizione di chi commette un reato “dopo essere stato condannato”, chiaramente evoca – attraverso la locuzione “condannato” – una pronuncia di condanna irrevocabile temporalmente antecedente alla commissione del nuovo delitto. Per il semplice motivo che solo il definitivo accertamento di una pregressa responsabilità penale può legittimare il giudizio di maggiore pericolosità sociale del soggetto insito nella recidiva e della sua eventuale incidenza nella definizione del trattamento sanzionatorio, profilo cui si coniuga l’ineludibile esigenza che l’autore del “nuovo” reato sia posto in grado di conoscere tutte le conseguenze penali derivanti da precedenti giudicati (commissione di altri reati “precedenti” per anteriore passaggio in giudicato delle relative condanne”) (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 41806 del 27/09/2013).
È chiaro, quindi, l’errore in cui è incorso non solo il giudice di prime cure nell’applicazione di tale circostanza, ma ancor prima, il magistrato inquirente che, sulla base della prescrizione normativa di cui all’art. 99 comma 1 c.p., non avrebbe dovuto contestarla non essendo l’assistito “condannato” nel momento in cui ha commesso la frode assicurativa.
La Corte d’Appello di Milano, sulla base di tale doglianza articolata dagli avvocati dello Studio Brancaccio&Esposito, non ha potuto fare altro che accogliere tale motivo di appello escludendo la recidiva nei termini che seguono “la contestata recidiva è insussistente in quanto le pronunce di condanna a carico dell’imputato sono divenute irrevocabili dopo il fatto qui in esame”.
Per comprendere le ragioni del proscioglimento è utile descrivere brevemente l’istituto della prescrizione del reato.
La prescrizione disciplinata dagli artt. 157 e ss. c.p. è una causa di estinzione del reato, giustificata dal fatto che il decorso del tempo, senza che sia raccolto materiale probatorio rilevante e senza che sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile, riduce e fa venire meno l’interesse dello Stato a perseguire il reato commesso.
Per calcolare il tempo necessario a prescrivere un determinato reato si deve guardare al massimo della pena edittale stabilita per esso, tenendo comunque conto del fatto che i delitti non si prescrivono prima di sei anni e le contravvenzioni prima di quattro anni (art. 157 c.p.).
Quando vi siano circostanze attenuanti o circostanze aggravanti del reato, di esse non si tiene conto ai fini del calcolo di cui sopra, tranne nel caso in cui vengano riconosciute circostanze aggravanti speciali o ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante (art. 157 co.2 c.p.).
La prescrizione può essere sospesa (art. 159 c.p.), ovvero quando si è in presenza di un particolare ostacolo, si procede all’arresto momentaneo del termine stesso per il periodo necessario all’estinzione dell’impedimento; o ancora, interrotta (art. 160 c.p.), quando, di fronte a determinati atti giuridicamente rilevanti, il termine di prescrizione, precedentemente intercorso, viene considerato privo di efficacia e comincia a decorrerne uno nuovo.
Ma, onde evitare un’eccessiva estensione dei termini prescrizionali, la legge (art. 161 comma 2 c.p.) generalmente prevede che in nessun caso l’interruzione della prescrizione possa comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, nonché della metà nei casi di cui all’articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all’articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103, 105.
Il fulcro dell’intera vicenda è rappresentato dal rapporto tra la prescrizione e la recidiva: la recidiva di cui al secondo comma dell’art. 99 c.p., essendo una circostanza aggravante ad effetto speciale, rileva ai fini della determinazione del termine di prescrizione del reato.
Difatti, secondo il tradizionale principio della Suprema Corte, la recidiva, eccezion fatta per quella semplice, incide sulla determinazione sia del termine ordinario di prescrizione (art. 157 comma 2 c.p.), quale circostanza aggravante ad effetto speciale, sia del termine massimo (art. 161 comma 2 c.p.) (cfr. Cass. 21/9/2016, Lamirowski – Cass. 28/10/2016, Lofiego).
Orbene, il caso sottoposto alla Corte di Appello di Milano vedeva l’imputato condannato alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione, nonché al risarcimento della parte civile, perché ritenuto colpevole del reato di frode assicurativa aggravato dalla recidiva di cui all’art. 99 comma 2 c.p.
Stante alla decisione di condanna del giudice monocratico del Tribunale di Milano, il termine massimo di prescrizione di cui all’art. 161 comma 2 c.p., sarebbe stato di anni nove, e quindi il reato di sarebbe prescritto in data 5.10.2019, secondo il ragionamento che segue:
- la pena massima prevista per il reato di frode informatica è di cinque anni, quindi, ai sensi dell’art. 157 c.p. il tempo ordinario necessario per la prescrizione di tale delitto è di anni sei;
- nel caso di specie, considerando gli atti interruttivi, occorre calcolare il termine massimo di cui all’art. 161 comma 2 c.p., che in presenza di recidiva aggravata (art. 99 comma 2 c.p.), impone l’aumento della metà del tempo necessario a prescrivere, sicchè il termine massimo per la prescrizione è pari ad anni nove.
L’articolata difesa predisposta a favore dell’imputato mediante l’atto di appello, censurava diversi capi della sentenza del Tribunale di Milano e, in particolare – per ciò che ci concerne – quello in cui il giudice di prime cure riteneva sussistente la recidiva aggravata, dimostrando l’erronea configurazione di tale aggravante in ragion del fatto che al momento della commissione della frode assicurativa da parte dell’assistito, le precedenti condanne di cui era gravato non erano ancora passate in giudicato ed otteneva dalla Corte di Appello di Milano l’esclusione di tale aggravante.
Dunque, una volta esclusa la recidiva aggravata, come riconosciuto dalla sentenza della Corte di Appello di Milano, “il termine massimo di prescrizione è pari ad anni 7 e mesi 6 (art. 157, 161 c.p.) e – avuto riguardo alla data di commissione del reato – è ormai maturato”.
La Corte d’Appello di Milano, in accoglimento del suddetto motivo di doglianza, ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Milano escludendo la recidiva reiterata e dichiarando il reato estinto per intervenuta prescrizione, pur mantenendo le statuizioni civili.
Lo Studio Legale Brancaccio&Esposito, grazie alla esperienza di professionisti dello studio specializzati nelle tematiche inerenti gli istituti della prescrizione e della recidiva, è riuscito ad ottenere una riforma della sentenza di primo grado ed il proscioglimento dell’assistito.
Leggi qui il testo della sentenza di assoluzione.
Se vuoi ricevere una consulenza o assistenza legale in tema di reati di truffa o frode assicurativa, in tema di prescrizione o recidiva, scrivici a info@avvocatopenalistah24.it.