Se il tuo vicino provoca fumi e odori insopportabili, puoi chiedere il risarcimento del danno per immissione di fumi ed odori molesti come previsto dal codice penale all’art. 674.
Nella sentenza che qui si annota, l’imputato era stato tratto a giudizio per aver provocato immissioni continue di fumi ed odori molesti nonché rumori nell’appartamento sovrastante: tali immissioni erano idonee a cagionare molestie ed offesa ai condomini.
L’imputato è stato condannato al risarcimento del danno in favore delle parti civili sulla accertata esistenza (mediante video ispezione) di una fessurazione nella canna fumaria a servizio della loro abitazione, a circa un metro di distanza dall’appartamento soprastante abitato dalle parti civili, e sulla regolare e costante provenienza dalla stessa di odori di cucina sgradevoli, emergente dalla deposizione dei testimoni.
Avvocato Penalista H24 si occupa di chiedere presso le competenti autorità giudiziarie il risarcimento del danno per immissioni di fumi ed odori molesti.
Cosa dice la Corte di cassazione in tema di risarcimento del danni per immissione di fumi ed odori molesti.
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 16 aprile 2008 il Tribunale di OMISSIS aveva assolto perché il fatto non sussiste R. V. e M. P. dal reato di cui all’art. 674 cod. pen. (contestato per avere provocato immissioni continue di fumi, odori e rumori nell’appartamento sovrastante, occupato dai coniugi V. P. e W. H., idonee a imbrattare l’immobile di loro proprietà e a cagionare loro offesa e molestia). La Corte d’appello di OMISSIS, provvedendo sulla impugnazione delle parti civili, ha riformato tale sentenza, condannando gli imputati in solido tra loro al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, e alla rifusione alle parti civili delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto congiuntamente ricorso per cassazione entrambi gli imputati, affidato a due motivi. 2.1. Con un primo motivo hanno lamentato la mancata assunzione di una prova decisiva e vizio della motivazione. Hanno lamentato la mancata disposizione di un accertamento in concreto del superamento dei limiti di normale tollerabilità di cui all’art. 844 cod. civ., essendo stata accertata solamente la presenza di odori sgradevoli, legata a una impressione soggettiva, e di una crepa nella canna fumaria, a un metro di distanza dall’imbocco dell’abitazione delle parti civili, da cui non era però possibile desumere l’entità delle immissioni, con la conseguente omissione di un accertamento avente portata decisiva ai fini dell’accertamento del fatto. 2.2. Con un secondo motivo hanno prospettato violazione dell’art. 131 bis cod. pen., lamentando la mancata applicazione di tale causa di non punibilità di cui, invece, ricorrevano i presupposti. 3. La parti civili, W. H. e V. P., hanno depositato memoria, mediante la quale hanno resistito alla impugnazione degli imputati, evidenziando quanto emerso dall’istruttoria svolta, a proposito delle immissioni provenienti dalla canna fumaria in uso alla abitazione degli imputati e alla intollerabilità dei fumi e degli odori dalla stessa provenienti, e contestando la rilevanza della prescrizione del reato eccepita dai ricorrenti, in considerazione della formazione del giudicato in ordine alla pronuncia di assoluzione degli imputati. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Le censure sollevate dai ricorrenti con il primo motivo, mediante il quale hanno prospettato vizio della motivazione della sentenza impugnata e lamentato la mancata assunzione di una prova decisiva (consistente in una perizia volta a stabilire l’entità delle immissioni), oltre che generiche e disancorate dalla motivazione della sentenza impugnata, non tengono conto che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen, con la I. 46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argonnentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (Sez. 6, n. 752 del 18.12.2006; Sez. 2, n. 23419 del 2007, Vignaroli; Sez. 6 n. 25255 del 14.2.2012). La Corte territoriale ha, con motivazione congrua e immune da vizi logici, fondato la condanna dei ricorrenti al risarcimento del danno in favore delle parti civili sulla accertata esistenza (mediante video ispezione) di una fessurazione nella canna fumaria a servizio della loro abitazione, a circa un metro di distanza dall’appartamento soprastante abitato dalle parti civili, e sulla regolare e costante provenienza dalla stessa di odori di cucina sgradevoli, emergente dalla deposizione dello stesso H., nonché del teste C., e di quanto accertato negli altri giudizi penali e civili relativi alla medesima vicenda, conclusisi, a seguito di accertamenti tecnici, con la condanna degli imputati alla esecuzione dei lavori necessari ad eliminare la fessurazione presente nella condotta di aspirazione dei fumi e degli odori a servizio della loro abitazione. I ricorrenti, invece, come risulta dallo stesso ricorso, pur prospettando, peraltro genericamente, vizi della motivazione e mancata assunzione di una prova decisiva (della quale, peraltro, non hanno prospettato l’idoneità a sovvertire la struttura argomentativa della sentenza impugnata, con la conseguente inammissibilità della doglianza), propongono, in realtà, una rivisitazione del materiale probatorio, censurando l’accertamento del superamento della normale tollerabilità dei fumi e degli odori provenienti dalla loro abitazione, cui la Corte territoriale è pervenuta in modo logico, attraverso quanto riferito dai testimoni esaminati e sulla base delle precedenti decisioni di condanna degli imputati, con la conseguente manifesta infondatezza della doglianza, volta a censurare un accertamento di fatto immune da vizi logici, non sindacabile, di conseguenza, sul piano del merito, nel giudizio di legittimità. 3. La doglianza relativa alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen. è inammissibile per mancanza di concludenza. L’applicabilità di tale causa di non punibilità presuppone, infatti, la sussistenza della responsabilità degli imputati e la loro, conseguente, punibilità, che può essere esclusa laddove sussistano le condizioni richieste dalla disposizione citata. Nel caso in esame è divenuta definitiva la pronuncia di assoluzione degli imputati per insussistenza del fatto, che non è stata impugnata dal pubblico ministero, giacché l’impugnazione è stata proposta dalle sole parti civili in relazione alla azione dalle stesse esercitata nel processo penale, ai sensi dell’art.576 cod. proc. pen., sicché tale pronuncia di assoluzione non avrebbe comunque potuto essere sovvertita, con la conseguente insussistenza dei presupposti per poter applicare detta causa di esclusione della punibilità, non potendo essere affermata la responsabilità degli imputati, né, quindi, essere esclusa la loro punibilità per la particolare tenuità del fatto, e la derivata inammissibilità della doglianza formulata sul punto dai ricorrenti per mancanza di concludenza. E’ appena il caso di aggiungere che l’eventuale prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza di primo grado, oltre a non precludere l’impugnazione della parte civile, ai sensi dell’art. 576, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 26016 del 09/04/2013, Geat, Rv. 255714), risulta, alla luce della evidenziata definitività della assoluzione degli imputati, priva di rilevanza. La parte civile è, infatti, legittimata a proporre appello avverso la sentenza di primo grado di assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto al fine di chiedere al giudice dell’impugnazione di affermare la responsabilità dell’imputato, sia pure incidentalmente e ai soli fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno, ancorché in mancanza di una precedente statuizione sul punto, ferma restando, nel caso di appello della sola parte civile, l’intangibilità delle statuizioni penali (Sez. 3, n. 3083 del 18/10/2016, Sdolzini, Rv. 268894, che ha annullato la decisione che, accogliendo l’impugnazione della sola parte civile, aveva riformato la sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto, dichiarando non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine ai reati ascrittigli per intervenuta prescrizione, maturata in epoca successiva alla pronuncia della sentenza di primo grado; Sez. 1, n. 13941 del 08/01/2015, Ciconte, Rv. 263065), cosicché risulta irrilevante l’eventuale prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza di primo grado, essendo la stessa ininfluente sia sulla responsabilità penale (che nella specie è stata esclusa) sia su quella civile, che richiede solo l’accertamento incidentale di un fatto astrattamente riconducibile alla fattispecie di reato e produttivo di danno (Sez. 5, n. 3670 del 27/10/2010, Pace, Rv. 249698; Sez. 2, n. 897 del 24/10/2003, Cantamessa, Rv. 227966), con il possibile sdoppiamento delle decisioni (di assoluzione perché il fatto non sussiste e di accertamento incidentale della sua configurabilità al fine del risarcimento dei danni a favore della parte civile).4. Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza di entrambe le doglianze cui è stato affidato. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. sentenza 7 – 13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 2.000,00.
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