Presunzione di Innocenza: cosa fare in caso di diffamazione on line

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Presunzione di Innocenza: cosa fare in caso di diffamazione on line

Sei sotto procedimento e sei stato sbattuto in prima pagina su tutte le riviste sia online che non ma sei totalmente innocente e non vuoi che la tua immagine sia rovinata? Ti senti diffamato e vuoi sapere cosa puoi fare per porre rimedio? Sei nel posto giusto: ti spiego a cosa serve la presunzione di innocenza e cosa fare se sei stato diffamato su tutte le riviste fisiche ed on line.

Premessa

Il Diritto Penale è certamente quel ramo dell’Ordinamento Giuridico italiano che gode di maggior risalto a livello mediatico e sociale.

La cronaca è colma di informazioni filtrate – a volte non in maniera ortodossa – in merito a processi e a procedimenti penali aperti, diffondendo informazioni sensibili dei soggetti indagati.

Invero, già di per sé, la messa in discussione della libertà personale di un soggetto e, ancor prima, della sua rettitudine morale, arreca un danno all’individuo indagato o imputato, gettando discredito sulla sua persona, discredito in ragione del quale, in realtà, il comun sentire si legittima a prendere le distanze da quel soggetto, trascurando la possibilità che venga riconosciuta la sua estraneità alle accuse.

Il comune sentire, spesso, trascura la funzione del processo penale, volto proprio ad accertare la responsabilità di un individuo, e individua nell’attività difensiva una mera attività ostruzionistica all’accertamento della verità.

In altri termini, non è infrequente individuare nel soggetto indagato il colpevole.

L’allarme sociale di quanto sopra è di tutta evidenza laddove non si confina alla generale concezione che si ha nei confronti del protagonista del procedimento penale, ma si allarga investendo i mezzi d’informazione, fino a giungere, talvolta nelle Aule di Giustizia.

Accade talvolta, purtroppo, che anche i soggetti pubblici, o svolgenti attività pubbliche siano animati da uno sconfortante pregiudizio nei confronti dell’imputato.

Si giunge, talvolta, a divulgare notizie di atti d’indagine che ancora dovrebbero essere coperti da segreto istruttorio, o a diffondere nomi, cognomi ed effigi di soggetti indagati, additandoli senza eufemismi quali autori di efferati delitti.

Talvolta, poi, le pronunce assolutorie non incontrano lo stesso impatto mediatico e permane, in capo al soggetto imputato o indagato, assolto o prosciolto, un alone di diffidenza, una macchia che sarà davvero arduo rimuovere.

I processi compromettono gravemente la vita dei soggetti che vi sono sottoposti, anche quando innocenti, specie proprio in ragione degli scriteriati risalti che di quei processi danno i media.

La normativa costituzionale e ordinaria

La Costituzione italiana riconosce, al 1°comma dell’art. 27, la cosiddetta “presunzione d’innocenza”, laddove recita che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

In conformità a tale disposizione, il 1° comma dell’art. 533 c.p.p. dispone che “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Infine, anche il 2° comma dell’art. 530 c.p.p. dispone che “il giudice pronuncia sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile”.

In altri termini, tanto il legislatore costituzionale – prima – quanto quello ordinario – poi – hanno stabilito dei criteri che, ove presi alla lettera, risultano essere rigorosissimi in merito alla possibilità di condannare taluno.

Tanto appare in contrasto, a ben vedere, con quanto enucleato in premessa.

Allo stato ci troviamo, cioè, innanzi a un procedimento penale che richiede, quantomeno sul piano astratto, una prova particolarmente forte per addivenire ad una pronuncia di affermazione di responsabilità dell’imputato, dall’altro ci si trova innanzi a un procedimento mediatico e sociale che vuole l’indagato/imputato già colpevole per il sol fatto di essere oggetto di investigazioni.

Tale situazione paradossale ha delle ricadute pratiche evidenti e devastanti che pure si sono sopra accennate: può ben accadere che un individuo, assolto dall’Autorità Giudiziaria sia, invece, condannato, in via definitiva e senza possibilità di redenzione, dalla società.

In effetti, la dizione “ragionevole dubbio” non dovrebbe illustrare unicamente un atteggiamento intimo – e intimistico – che anima il giudice, tale per cui costui dovrebbe avvertire l’esigenza di assumere il soggetto nei confronti del quale è chiamato a esprimere un giudizio.

La dizione “ragionevole dubbio”, piuttosto, dovrebbe essere intesa nel senso che chiunque (anche chi, pertanto, non è addetto ai lavori) nell’approcciarsi alla motivazione della sentenza di condanna non dovrebbe nutrire alcuna perplessità, o alcuna esitazione nel riconoscere l’imputato quale colpevole.

In altri termini, la nozione di cui al 1° comma dell’art. 533 c.p.p. è proiettata all’esterno delle Aule di Giustizia e non – come invece potrebbe apparire – confinata alla Camera di Consiglio nel cui segreto il giudice decide della libertà di taluno.

La direttiva (UE) 2016/343 e l’intervento recettizio del Legislatore italiano

Preso atto, dunque, della situazione paradossale e antinomica di cui sopra, appare evidente che il 1° comma dell’art. 27 della Costituzione appare poco più che una lustra, un vero e proprio “mantra” da ripetere ossessivamente all’interno dei tristi dibattiti da salotto televisivo – e non – che dividono innocentisti e colpevolisti e, talvolta, con più elegante pretesa, garantisti e giustizialisti.

L’esigenza non è certo sfuggita al Legislatore Europeo che ha emanato la direttiva (UE) 206/343 riguardante, anche, taluni aspetti della presunzione d’innocenza. Con l’articolo l della legge 22 aprile 2021, n. 53 (Legge di delegazione europea 20 19 – 2020), il Governo è stato delegato al recepimento di varie direttive europee, tra cui quella appena menzionata.

Lo strumento adottato dal Legislatore italiano per adeguare la normativa alla Direttiva Comunitaria è quello del Decreto Legislativo che, il 5 agosto 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato nelle sue linee essenziali, sottoponendolo all’attenzione del Parlamento nazionale.

Il D.Lgs. n. 188/2021 in questione è entrato in vigore il 14 dicembre 2021.

Si compone di 6 articoli volti a tutelare il soggetto sottoposto a procedimento penale, mediante l’introduzione di modifiche al Codice di Procedura Penale, modifiche in ordine alle disposizioni in materia di organizzazioni dell’ufficio del Pubblico Ministero, individuazione di rimedi in caso di violazione della nuova normativa e introduzione di strumenti statistici volti ad arginare il pericoloso fenomeno della “condanna anticipata”.

In particolare, è previsto che il Pubblico Ministero possa intrattenere rapporti con gli organi d’informazione solo attraverso comunicati ufficiali o tramite conferenze stampa, il cui ricorso deve comunque essere motivato con riferimento alle specifiche ragioni di interesse pubblico che le giustificano.

Inoltre, la diffusione di atti d’indagine viene limitata alle ipotesi in cui la divulgazione di tali informazioni appaia necessaria al fine della prosecuzione delle indagini medesime e le informazioni sui procedimenti in corso vengono diffuse in maniera tale da chiarire la fase in cui tali procedimenti pendono e garantendo, altresì, la presunzione d’innocenza dell’indagato o imputato.

In altri termini, con tali disposizioni si vuole, da un lato, evitare le informazioni di seconda (terza, quarta, quinta) mano, che, com’è noto, possono recare con sé distorsioni di difficile rimozione, dall’altro, si vuole che i rapporti tra Autorità Giudiziaria e mezzi d’informazione siano limitati a specifiche ipotesi in cui l’esigenza primaria deve essere quella di salvaguardare la presunzione d’innocenza dell’indagato/imputato, prima, e quella di garantire la genuinità delle indagini, poi.

I rimedi

Oltre a modifiche tecniche al Codice di Procedura Penale, volte, da un lato a salvaguardare la presunzione d’innocenza dell’indagato/imputato e, dall’altro, a tutelare la genuinità delle indagini e dell’esercizio della Pubblica Accusa, il Decreto Legislativo introduce un’importantissima novità in merito ai rimedi da porre in essere in caso di violazione del principio di non colpevolezza.

L’art. 2 del D.Lgs. dispone, infatti, che nel caso in cui le autorità pubbliche indichino pubblicamente come colpevole la persona sottoposta alle indagini o l’imputato non ancora raggiunto da sentenza definitiva di condanna “l’interessato ha diritto di richiedere all’autorità pubblica la rettifica della dichiarazione resa”.

Questa rettifica, poi, non esclude comunque le sanzioni penali e disciplinari del dichiarante e l’obbligo di risarcire il danno, ma, altresì, deve avvenire senza ritardo e, comunque, entro 48 ore dalla richiesta.

Per di più, la rettifica deve avvenire con le medesime modalità della dichiarazione o, comunque, mediante strumento connotato dal medesimo grado di diffusione.

In caso di rigetto, infine, dell’istanza di rettifica, l’interessato può chiedere al Tribunale civile, mediante provvedimento d’urgenza, che sia ordinata la pubblicazione della rettifica medesima.

Commento

Come detto sopra, l’art. 27 della Costituzione appare essere una formula vuota, talvolta trascurata, talvolta strumentalizzata.

Smette di essere tale solo nel momento in cui si individuano delle sanzioni in caso di violazione del principio ivi enunciato.

Sotto questo punto di vista, la normativa appare evidentemente meritevole di plauso. 

Non è il primo caso in cui l’effettività delle disposizioni costituzionali viene demandata al legislatore sovranazionale, che deve anche garantire l’effettività “esoprocessuale” delle disposizioni di rito quali l’art. 533, comma 1° c.p.p. o altre disposizioni inerenti la pubblicità degli atti o le modalità di partecipazione dell’imputato detenuto alle udienze.

Si vuole, adesso, garantire che l’imputato detenuto sia effettivamente libero nel corso dell’udienza (finora l’imputato detenuto assiste alle udienza da dietro la cella presente in aula), e che sia garantita la riservatezza nelle comunicazioni intrattenute col difensore.

Si offre, inoltre, tutela effettiva nei confronti dell’Autorità Giudiziaria che additi spropositatamente e impropriamente quale colpevole l’indagato/imputato.

Si aprono le porte a un controllo dei rapporti tra Autorità Giudiziaria e organi d’informazione e si consente, altresì, di adire rapidamente il giudice civile per vedere garantita l’effettività dei diritti della persona sottoposta a procedimento penale.

Ancora una volta, però, occorre segnalare che alcun obbligo viene imposto proprio agli organi d’informazione.

Come detto, le notizie viaggiano di testata in testata, da redazione a redazione, sicché diventa facile, tra un passaggio e l’altro, che l’informazione sia oggetto di distorsione, anche senza demerito della fonte, cioè dell’Autorità Giudiziaria.

Si è perduta l’occasione, probabilmente, di sensibilizzare gli organi d’informazione e, quindi, in ultima istanza, la collettività sociale.

Ma, da altra angolazione, si ribadisce l’enorme balzo in avanti che la civiltà giuridica compie attraverso l’applicazione della nuova normativa, stimolata dagli strumenti statistici postulati dall’art. 5 del D.Lgs. che impone al Ministero di trasmettere periodicamente i dati relativi alle violazioni del principio di presunzione d’innocenza alla Commissione europea.

Contattaci per una consulenza

Ed allora, nel caso in cui tu sia stato diffamato on line oppure su testate giornalistiche e vuoi ottenere la giustizia che meriti, devi sapere che attraverso il rafforzamento della presunzione di innocenza puoi ottenere la rimozione ovvero la rettifica delle notizie diffuse sul tuo conto; prima dell’intervento di una sentenza definitiva di condanna, sappi, che nessuno mai potrà additarti come colpevole di un reato.

Se questo ti è successo, non esitare a contattarci per avere una consulenza specifica sulla presunzione di innocenza.

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