Riciclaggio, Ricettazione, Appropriazione indebita, Truffa, Usura: cosa sono i delitti contro il patrimonio.

Argomenti:

Riciclaggio, Ricettazione, Appropriazione indebita, Truffa, Usura: cosa sono i delitti contro il patrimonio.

I reati contro il patrimonio (riciclaggio, ricettazione, appropriazione indebita, truffa, usura etc.) corrispondono alle figure criminose contenute nel titolo XIII del Libro II del codice penale (artt. 624 – 648 quater); i reati patrimoniali sono tutt’oggi quelli statisticamente più frequenti e, peraltro, in rapida espansione.

I reati patrimoniali contenuti nel presente Titolo non esauriscono l’intera gamma di reati che offendono il patrimonio, potendosi rinvenire alcune fattispecie anche in altre parti del codice penale.

Per quanto concerne il bene giuridico protetto, la tutela penale si riferisce a tutti i diritti e rapporti giuridici economicamente valutabili, facenti capo a persone fisiche o giuridiche determinate o, comunque, determinabili.

La classificazione.

Quanto alla classificazione dei vari tipi di reati, tra i diversi criteri quello più seguito ravvisa l’elemento di discrimine nelle caratteristiche offensive della condotta:

  • condotte violente (“delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone” – artt. 624 – 639 c.p.): ex multis, furto (art. 624 c.p.); furto in abitazione e furto con strappo (art. 624 bis c.p.); furti lievi (art. 626 c.p.); sottrazioni di cose comuni (art. 627 c.p.); rapina (art. 628 c.p.); estorsione (art 629 c.p.); sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.); danneggiamento ( art. 635 c.p.).
  • condotte fraudolente (“delitti contro il patrimonio mediante frode” – artt. 640 – 648 ter): truffa (art 640); truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis); frode informatica (art. 640 ter); fraudolenta distruzione della cosa propria o fraudolenta mutilazione della propria persona (art. 642); circonvenzione di incapaci (art. 643); usura e intermediazione usuraia (art. 644); appropriazione indebita (art. 646); ricettazione (art 648); riciclaggio (art. 648 bis); impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art. 643 ter); autoriciclaggio (art. 643 ter.1).

Il concetto di patrimonio.

Per quanto concerne il concetto di patrimonio, si sono avvicendate le seguenti teorie con l’intento di darne una definizione quanto più precisa:

  • concezione giuridica: è patrimonio il complesso dei diritti soggettivi patrimoniali di cui è titolare un soggetto;
  • concezione economica: è patrimonio l’insieme di beni suscettibili di valutazione economica, che appartengono ad un soggetto;
  • concezione economica-giuridica: è patrimonio ciò che è caratterizzato sia da una concreta rilevanza economica, sia da una rilevanza formale dei beni di un soggetto;
  • concezione personalistica: è patrimonio il complesso di beni e di rapporti giuridicamente rilevanti che favoriscono lo sviluppo della persona umana.

L’art. 649 c.p. prevede una causa di non punibilità per alcune categorie di soggetti in merito alla commissione di determinati delitti contro il patrimonio, che sancisce:

  • la non punibilità dell’agente qualora la vittima sia il coniuge non legalmente separato, la parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, l’ascendente o il discendente, un affine in linea retta, l’adottante o l’adottato, un fratello o una sorella con lui conviventi;
  • la perseguibilità a querela, qualora la vittima sia il coniuge legalmente separato, la parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, un fratello o una sorella non conviventi con lui, ovvero lo zio, il nipote, o l’affine di secondo grado con lui conviventi.

Tuttavia, ai sensi del terzo comma, la causa di esclusione della punibilità non si estende ai delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione, nonché a tutti i delitti contro il patrimonio, qualora commessi con violenza sulle persone.

A tal punto, ci si sofferma brevemente sulla descrizione di alcune fattispecie rientranti nella categoria dei delitti contro il patrimonio mediante frode.

Truffa (art. 640 cod. pen.)

La condotta incriminata in tale fattispecie delittuosa si sostanzia nell’indurre taluno in errore con artifici e raggiri, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

La truffa è il prototipo della fattispecie a cooperazione artificiosa: l’azione incriminata, infatti, non si esaurisce con l’intervento del solo soggetto agente ma richiede la presenza attiva di un’altra persona che va ad influire sulla determinazione del danno.

L’induzione si configura come una suggestione in grado di persuadere e convincere il soggetto passivo a porre in essere una determinata attività.

La condotta deve essere idonea a far cadere la vittima in errore, determinando una falsa rappresentazione della realtà capace di incidere e deviare il procedimento di formazione della volontà.

È, altresì, necessario che tale errore venga causato attraverso l’uso degli artifizi (quali la simulazione di circostanze inesistenti o l’occultamento di fatti presenti) e raggiri (quale un discorso atto a persuadere o abbindolare la vittima) che però devono essere idonei e tali da creare un falso convincimento nella vittima; di converso, la punibilità è esclusa quando gli artifizi e raggiri sono manifestamente grossolani o inverosimili.

Altri elementi costitutivi della truffa sono: l’ingiusto profitto, ossia un qualunque vantaggio relativo ad interessi patrimoniali conseguito violando le leggi; il danno, ossia il pregiudizio strettamente economico subito dalla vittima.

Tra le circostanze aggravanti indicate al comma 2 dell’art. 640 c.p. vi è anche l’ipotesi della truffa ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico che determina anche la lesione dell’interesse della pubblica amministrazione e che va distinto dall’ipotesi di cui all’art. 640 bis.

Infatti, ricorre la fattispecie di truffa aggravata ai danni dello Stato o di altro ente pubblico, di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., qualora l’agente percepisca fraudolentemente indennità di natura assistenziale o previdenziale, rimanendo quindi escluse quelle erogazioni pubbliche finalizzate alla realizzazione di opere o a sostegno dello svolgimento di attività economico-produttive di interesse pubblico, la cui fraudolenta percezione rende, invece, configurabile il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’Art. 640-bis c.p.

La truffa è punibile a querela di parte ad eccezione delle ipotesi previste dal secondo comma dell’art. 640 c.p. e della truffa che abbia cagionato alla persona offesa un danno patrimoniale di rilevante gravità (art. 61, comma 1, n. 7, c.p.) che sono, invece, procedibili d’ufficio.

Insolvenza Fraudolente (art. 641 cod. pen.)

Commette tale reato chiunque, dissimulando il proprio stato di insolvenza, contrae un’obbligazione col proposito di non adempierla e non l’adempie prima della condanna.

Si tratta di un’ipotesi peculiare di frode, caratterizzata da una minore lesività poiché la vittima viene ingannata circa il reale adempimento della prestazione. Ecco perché è a metà strada tra il più grave reato di truffa e il mero inadempimento contrattuale di natura civilistica.

La condotta incriminata da tale fattispecie si articola in tre momenti:

  1. la dissimulazione dello stato di insolvenza: può assumere diverse forme, ma non deve arrivare ad integrare i veri e propri artifici o raggiri della truffa, e può consistere in un comportamento positivo ma anche negativo, come ad es. la reticenza, il silenzio o la menzogna. Oggetto della dissimulazione è lo stato di insolvenza, ovvero l’impossibilità economica finanziaria di adempiere l’obbligazione assunta, che deve esistere al momento della nascita dell’obbligazione (non deve essere sopravvenuta) e protrarsi fino al momento dell’adempimento;
  2. assunzione di un’obbligazione col proposito di non adempierla: l’obbligazione deve essere contratta con la specifica intenzione di non far fronte ai doveri scaturenti dalla pattuizione. Deve trattarsi di un’obbligazione valida e comunque produttiva di effetti, sicchè sono irrilevanti quelle a titolo gratuito, quelle a carattere aleatorio e quelle che consistenti in un non facere;
  3. l’inadempimento dell’obbligazione contratta: ossia la mancata esecuzione delle prestazioni contrattuali pattuite.

Tale reato è punibile solo a querela di parte ed il secondo comma dell’art. 641 c.p. prevede una clausola di non punibilità speciale nel fatto di chi adempie all’obbligazione prima che sia intervenuta la sentenza di condanna.

Usura (art. 644 cod. pen.)

La condotta incriminata dal reato di usura è articolata, in considerazione del fatto che operano corrispettivamente più persone: dal lato del soggetto passivo, consiste in una condotta che si sostanzia nel dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari come corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità; dal lato del soggetto attivo, consiste nel prestare denaro a altra utilità.

L’elemento caratterizzante è costituito dal fatto che la vittima deve consegnare all’usuraio interessi o altri vantaggi usurari.

La norma chiarisce che per usurari quegli interessi che superano il limite legale, che viene determinato aumentando della metà il tasso medio relativo alle operazioni che vengono di volta in volta compiute.

L’interesse è da considerarsi usurario anche quando di per se stesso l’interesse rientra nel limite legale, ma risulta comunque sproporzionato rispetto alle circostanze di fatto presenti e la vittima si trova in condizioni di difficoltà economica e finanziaria.

Il reato si consuma nel momento della pattuizione degli interessi o dei vantaggi usurari.

Alta ipotesi prevista e punita al secondo comma dell’art. 644 c.p. è quella della mediazione usuraria che si ha quando si procura ad altri denaro od altra utilità facendosi dare o promettere per la mediazione un compenso usurario.

Appropriazione Indebita (art. 646 cod. pen.)

Commette tale delitto chi, per procurare a sé o altri un ingiusto profitto, si appropria di denaro o di cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.

L’appropriazione indebita presenta dei tratti comuni col furto (art. 624 c.p.) dal quale si differenzia perché nel caso di specie il soggetto agente già ha la disponibilità materiale del bene, mentre nel furto il possesso viene acquisito mediante la sottrazione della cosa.

L’appropriazione si realizza con l’interversione indebita del titolo del possesso in proprietà, ovvero quando l’agente comincia a comportarsi uti dominus (= come se fosse il proprietario) nei confronti del bene di cui ha la disponibilità per qualsiasi titolo (per legge, per contratto o per ogni altra causa).

Presupposto della condotta è, innanzitutto, il possesso o la disponibilità della cosa.

È configurabile l’appropriazione indebita anche in casi di possesso mediato, in cui l’agente dispone della cosa per mezzo della detenzione di altri, in modo che comunque l’agente possa tornare a detenere in qualsiasi momento.

Altro presupposto è l’esistenza di una relazione funzionale tra la cosa e l’agente, con la precisazione che, nel caso in cui soggetto attivo sia un pubblico ufficiale, qualora la cosa sia a disposizione dell’ufficio e non direttamente ed esclusivamente del soggetto agente, ricorrerà l’aggravante dell’abuso di relazioni d’ufficio.

Infine, è imprescindibile l’altruità della cosa (denaro o altra cosa mobile altrui).

Il reato si consuma nel momento in cui ci si appropria della cosa ed è perseguibile a querela di parte.

Ricettazione (art. 648 cod. pen.)

Tale delitto si configura quando chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, nel quale egli non sia concorso, o comunque si intromette nel farli acquistare, ricevere od occultare.

Elemento imprescindibile per la configurabilità di tale reato è l’esistenza di un reato presupposto dal quale provengono le cose oggetto dell’azione incriminata; fra tale reato e quello di ricettazione si viene a creare un rapporto di accessorietà, in forza del quale il secondo sussiste solo qualora il primo sia punibile.

È necessario il dolo specifico dato dalla coscienza e volontà dell’agente di compiere il fatto materiale, accompagnato dalla consapevolezza della provenienza della cosa da un delitto ed allo scopo di procurare a sé o ad altri un profitto.

Sotto tale profilo la ricettazione si distingue dall’incauto acquisto in cui l’elemento psicologico si sostanzia nel semplice sospetto della provenienza delittuosa, diversamente per la ricettazione occorre la certezza delle provenienza illecita della cosa acquistata.

Riciclaggio (art. 648 bis c.p.).

Il riciclaggio incrimina chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa.

Presupposto necessario del reato di riciclaggio, similmente a quanto avviene per il reato di ricettazione, è la precedente commissione di un altro fatto delittuoso.

Oltre ad essere punito chi sostituisce o trasferisce denaro, beni od altre utilità, viene punito (con il riciclaggio) anche colui che si limita ad ostacolare l’identificazione della loro provenienza: è proprio questa la condotta del delitto di riciclaggio

Nel delitto di riciclaggio, il denaro, la cosa o l’utilità oggetto della condotta devono essere di provenienza delittuosa, ma solo da delitto non colposo; invece, i delitti colposi e le contravvenzioni non possono fungere da presupposto del riciclaggio.

I reati contro il patrimonio (riciclaggio, ricettazione, truffa, insolvenza fraudolenta, appropriazione indebita) rappresentano una delle aree di attività maggiormente praticate dagli avvocati dello Studio Legale AvvocatoPenalistaH24: in quest’ambito i predetti professionisti hanno maturato grande esperienza ottenendo grandi risultati in processi di rilevanza nazionale.

COSA PREVEDE LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE CON RIFERIMENTO AL RICICLAGGIO?

Relativamente al reato in esame va evidenziato che secondo la costante giurisprudenza della Suprema Corte il delitto di riciclaggio è un reato a forma libera attuabile anche con modalità frammentarie e progressive. E’ stato, in particolare, osservato che in tema di riciclaggio, ove più siano le condotte consumative del reato, attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento ad un medesimo oggetto, si configura un unico reato a formazione progressiva, che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2, n. 52645 del 20/11/2014 – dep. 18/12/2014, Montalbano e altro, Rv. 26162401), precisandosi che integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. (Sez. 2, n. 3397 del 16/11/2012 – dep. 23/01/2013, Anemone e altri, Rv. 25431401).

L’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio – secondo l’insegnamento del Supremo Collegio – è integrato dal dolo generico, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, e non richiede alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro (Cass. Sez. 2^, Sentenza n. 546 del 07/01/2011 Ud. (dep.11/01/2011) Rv. 249445), precisandosi, altresì, che la norma incriminatrice del reato di riciclaggio è speciale rispetto a quella del reato di ricettazione perché richiede che il dolo si qualifichi non per una generica finalità di profitto ma per lo scopo ulteriore di far perdere le tracce dell’origine illecita (Sez. 2, n. 19907 del 19/02/2009, Abruzzese e altri, Rv. 244879).

Si è pure chiarito che in tema di riciclaggio si configura il dolo nella forma eventuale quando l’agente si rappresenta la concreta possibilità, accettandone il rischio, della provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed investito (Sez. 2, n. 8330 del 26/11/2013, dep. 2014, Antonicelli e altri, Rv. 259010).

Per risalente e costante giurisprudenza della Corte Suprema, da cui non si ritiene di doversi discostare, non è necessario che il delitto presupposto (rispetto sia alla ricettazione sia al riciclaggio) risulti accertato giudizialmente e, pertanto, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l’esatta individuazione e l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, essendo sufficiente che lo stesso risulti, alla stregua degli elementi di fatto acquisiti ed interpretati secondo logica, almeno astrattamente configurabile (v. Cass. Sez. 6, Sent. n. 28715/2013 Rv. 257206; Sez. 6, Sent. n. 495/2008, (dep 2009) Rv. 242374; Sez. 5, Sent. n. 36940/2008, Rv. 241581; Sez. 2, Sent. n. 546/2011, Rv. 249444; Sez. 4 n. 11303/97, dep. 9.12.97 Rv. 209393), e che il fatto costitutivo di tale delitto non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo e che il giudice procedente per il riciclaggio ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (v. Sez. 2, Sentenza n. 7795 del 19/11/2013 (dep. 19/02/2014) Rv. 259007).

Ed, in particolare, è stato affermato che l’accertamento del reato di riciclaggio non richiede l’individuazione dell’esatta tipologia del delitto presupposto, né la precisa indicazione delle persone offese, essendo sufficiente che venga raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute. (Nella fattispecie, gli indagati trasportavano nei rispettivi trolley l’ingente somma contante di 500.000,00 euro, della quale non fornivano alcuna plausibile giustificazione). (Sez. 2, n. 20188 del 04/02/2015 – dep. 15/05/2015, Charanek e altro, Rv. 26352101).

È costante l’insegnamento secondo il quale integra il delitto di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. (Principio, questo, affermato in una fattispecie relativa alla effettuazione di versamenti di denaro di illecita provenienza in favore di varie società controllate dagli imputati, attraverso il temporaneo utilizzo di “conti di sponda” su cui affluivano in modo da non conservare traccia delle operazioni, mancando gli elementi identificativi sia della provenienza delle somme confluite nelle società, sia della destinazione di quelle dalle stesse defluite) (Cass., Sez. 6, 18 dicembre 2007, n. 16980, Gocini; v. anche Cass., Sez. 2, 12 gennaio 2006, n. 2818, Caione).

    RICHIEDI UNA PRIMA CHIAMATA GRATUITA