Riparazione per ingiusta detenzione nell’ambito di una procedura estradizionale. Cass. 52813/2018

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Riparazione per ingiusta detenzione nell’ambito di una procedura estradizionale. Cass. 52813/2018

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La Corte di Cassazione, aderendo alle pronunce costituzionali, ha mutato il proprio convincimento in ordine ai presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione quando è in corso una procedura per estradizione.

Esaminando la sentenza  52813/2018 pronunciata dalla IV sezione della  Corte di Cassazione, si chiariscono i presupposti necessari per chiedere ed ottenere una riparazione per ingiusta detenzione anche in caso di estradizione.

La Corte Costituzionale nelle pronunce aventi ad oggetto l’istituto della riparazione per ingiusta detenzione ha elaborato un principio fondamentale che ha orientato le decisioni della Suprema Corte di Cassazione ovvero: le offese arrecate alla libertà personale mediante ingiusta detenzione siano riparate indipendentemente dalla durata di queste e quale che sia l’autorità dalla quale la restrizione provenga, essendo l’oggettiva lesione del diritto alla libertà personale che condiziona il diritto all’equa riparazione.

 

CHE COS’È L’ESTRADIZIONE?

Occorre brevemente chiarire il concetto di estradizione.

L’estradizione è uno strumento di cooperazione internazionale attraverso cui uno Stato consegna ad altro Stato un soggetto che si trova nel suo territorio affinché questo possa essere sottoposto a giudizio (estradizione processuale) o all’esecuzione di una pena già comminata in modo irrevocabile (estradizione esecutiva) nello Stato che chiede l’estradizione.

L’estradizione attiva (o dall’estero) si ha quando è lo Stato italiano che la richiede; quella passiva (o per l’estero) si ha quando lo Stato italiano la concede ad altro Stato estero richiedente.

 

QUANDO VIENE RICONOSCIUTO IL DIRITTO ALLA RIPARAZIONE PER INGIUSTA DETENZIONE SE SI È SOTTOPOSTI AD UNA PROCEDURA DI ESTRADIZIONE?

Utile a tal fine è ripercorrere il ragionamento effettuato dalla Corte di Cassazione nella sentenza 52813/2018 dove affronta la seguente questione postagli dal ricorrente: se in relazione alla detenzione subita in funzione dell’estradizione sia condizione necessaria della riparazione prevista dall’art. 314 c.p.p. una pronuncia di assoluzione

La Corte di Appello di Milano aveva rigettato la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata dal ricorrente per il periodo di detenzione cautelare patito da costui in relazione alla procedura per l’estradizione per l’estero (richiesta di estradizione respinta dalla Corte di Appello), perché nel caso di specie mancava la pronuncia assolutoria di cui all’art. 314 c.p.

Contro tale decisione il difensore proponeva ricorso per cassazione eccependo l’errore in cui era incorsa la Corte di Appello  nel valutare quale condizione necessaria per l’ingiusta detenzione la sussistenza della pronuncia di assoluzione, invece del difetto del pericolo di fuga che in quel caso rappresentava la causa di ingiustizia per la detenzione patita.

Non vi sono dubbi sulla sussistenza del diritto all’equa riparazione per ingiusta detenzione patita nel corso di una procedura estradizionale attiva, poichè l’art. 722-bis c.p.p. prevede che la custodia cautelare all’estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato è computata ai fini della riparazione per ingiusta detenzione nei casi indicati all’articolo 314 c.p.p.

Problemi, invece, sorgono con riferimento alla indennizzabilità della detenzione patita nell’ambito della procedura di estradizione passiva, per la quale la disciplina codicistica risulta silente, e ciò sembrerebbe escludere l’indennizzo.

A fronte di tale rilievo giuridico, la Corte di Cassazione opera un riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2004, con la quale i giudici hanno ritenuto di poter dare una interpretazione in senso conforme al fondamento solidaristico della riparazione per l’ingiusta detenzione all’art. 314 c.p.p. nella parte in cui, in tema di estradizione passiva, non prevede la riparazione per ingiusta detenzione nel caso di arresto provvisorio e di applicazione provvisoria di misura custodiale su domanda dello Stato estero che si accerti carente di giurisdizione, chiarendo che il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione va ricollegato alla presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque ingiusta alla stregua di una valutazione ‘ex post’ e, pertanto, anche qualora tale lesione derivi da un titolo di detenzione che trovi origine nell’ambito della procedura di estradizione.

La suddetta pronuncia della Corte costituzionale ha influito sull’orientamento dei giudici di legittimità.

Infatti, le Sezioni Unite, prendendo in esame la questione “se la misura coercitiva a fini estradizionali perda efficacia nel caso in cui lo Stato richiedente non prenda in consegna l’estradando nel termine di legge a causa della sospensione dell’efficacia, disposta dal giudice amministrativo, del provvedimento ministeriale di concessione dell’estradizione“, aderivano all’interpretazione della Corte Costituzionale, ribadendo come nei confronti dei soggetti di cui è richiesta l’estradizione gli estremi dell’ingiusta detenzione possono e debbono comunque essere valutati, ai fini del riconoscimento del diritto alla riparazione, ma non sulla base dei parametri ricavabili dagli artt. 273 e 280 c.p.p., la cui applicabilità è esclusa esplicitamente dall’art. 714, comma 2, c.p.p., bensì verificando se risulta ex post accertata l’insussistenza delle specifiche condizioni di applicabilità delle misure coercitive, per tali soggetti individuate nelle “condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione“ (ai sensi  dell’art. 714 co. 3 c.p.p.).

Quindi, per le Sezioni Unite, in caso di sentenza irrevocabile favorevole all’estradizione, la detenzione eventualmente patita a tal fine dall’estradando non può considerarsi ingiusta e non può costituire titolo per un favorevole epilogo della procedura di cui agli artt. 314 e 315 c.p.p. (Sez. Unite, n. 6624 del 27/10/2011).

Inoltre, il diritto alla riparazione “per ingiustizia formale” per le ipotesi di misure coercitive da adottare nei confronti della persona della quale è domandata l’estradizione, non presuppone che la detenzione sia stata instaurata in violazione degli artt. 273 e 280 c.p.p. perché  l’art. 714 c.p.p. ne esclude l’applicabilità.

Invece, per quanto concerne l’arresto da parte della polizia giudiziaria (art. 716 c.p.p.) e l’applicazione provvisoria di misure cautelari nei confronti della persona la cui domanda di estradizione non sia ancora pervenuta (art. 715 c.p.p.), non vi è analoga previsione che ne escluda l’applicabilità.

Ma, avuto riguardo alla struttura degli istituti, appare irragionevole ritenere che debbano trovare applicazione gli artt. 273 e 280 c.p.p. in ipotesi caratterizzate da una delibazione che, salvo per il profilo concernente il pericolo di fuga, attiene a condizioni meramente procedurali.

Pertanto, anche per le ipotesi disciplinate dagli artt. 715 e 716 c.p.p., non possono assumere rilievo le condizioni poste per l’adozione di misure coercitive di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p (ossia mancanza dei gravi indizi di colpevolezza o non punibilità del delitto addebitato perchè estinto per prescrizione o perchè il delitto addebitato è punibile con pena che non consente la custodia cautelare).

Quindi, le misure coercitive, disposte nell’ambito di una procedura di estradizione passiva, trovano nel pericolo di fuga il presupposto atto a giustificare l’applicazione del provvedimento limitativo della libertà personale.

Invece, per quanto concerne l’ingiusta detenzione patita in caso di arresto da parte della polizia giudiziaria (art. 716 c.p.p.) o di applicazione provvisoria di misure cautelari nei confronti della persona la cui domanda di estradizione non sia ancora pervenuta (art. 715 c.p.p.), essa non può ravvisarsi nell’ insussistenza delle condizioni di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p. e neppure nell’ insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione e ciò, sia per la ridotta base di giudizio del giudice nazionale chiamato ad applicare tali disposizioni, sia per la possibilità che, ove la domanda di estradizione non venga presentata dallo Stato estero, non sia oggettivamente possibile verificare la insussistenza delle condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione.

In virtù di tali considerazioni giuridiche, la Corte di Cassazione chiarisce che il diritto alla riparazione per la detenzione subita a fini estradizionali va accertato tenendo presente la varietà delle situazioni.

 

COSA ACCADE NEL CASO DI UN COMPORTAMENTO DOLOSO O COLPOSO DELL’ISTANTE?

La Cassazione nella pronuncia in esame afferma come, anche nelle ipotesi di cui agli artt. 714, 715 e 716 c.p.p., assume rilievo il comportamento avuto dall’istante  non solo nei casi di “ingiustizia sostanziale” ma anche nei casi di “ingiustizia formale”.

Il giudice della riparazione, chiamato a valutare l’ingiustizia della detenzione subita a fini estradizionali, deve accertare se ricorra o meno la condizione ostativa al riconoscimento del diritto, concretantesi in un comportamento doloso o gravemente colposo dell’istante, che sia stato quanto meno concausa dell’adozione e del mantenimento del vincolo coercitivo provvisorio.

 

LA CORTE DI CASSAZIONE COME RISOLVE LA QUESTIONE?

In risposta al quesito posto dal ricorrente, la Corte di Cassazione con la sentenza citata ha formulato i seguenti principi di diritto: “In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, è ammissibile la domanda attinente alla privazione della libertà personale subita in relazione a procedura di estradizione per l’estero, sia quando si tratti di una delle ipotesi di cui rispettivamente agli artt. 715 e 716 cod. proc. pen., sia quando si versi nell’ipotesi di cui all’art. 714 cod. proc. pen.”. A seconda dei casi può trattarsi di ingiustizia cd. ‘sostanziale’, rinvenibile quando non sussistevano le condizioni per una sentenza favorevole all’estradizione, o di ingiustizia cd. ‘formale’ ed il riconoscimento del diritto presuppone comunque che non sia ravvisabile un comportamento doloso o gravemente colposo dell’istante, fattosi concausa dell’erroneo provvedimento coercitivo”.

La Corte, pertanto, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello affinchè valuti la sussistenza del pericolo di fuga e verifichi se l’eventuale errore riguardo tale presupposto dovesse essere ascritto al dolo o alla colpa grave del ricorrente.

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