Condanna e chiusura del bar al gestore che somministra bevande alcoliche a soggetti minori.

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Condanna e chiusura del bar al gestore che somministra bevande alcoliche a soggetti minori.

Somministrazione bevande alcoliche minore: è reato così come previsto dall’art. 689 cod. pen. Se vuoi ricevere una consulenza su questo argomento clicca qui.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 giugno – 20 novembre 2013, n. 46334 Presidente Ferrua – Relatore Guardiano 

Fatto e diritto 

1 Con sentenza pronunciata in data 11.7.2012 il giudice di pace di Pesaro condannava S.M. alla pena ritenuta di giustizia in relazione al reato di somministrazione di bevande alcooliche a minori di anni sedici, di cui all’art. 689, c.p., nella sua qualità di esercente del bar “(omissis)” (somministrazione bevande alcoliche minore) 

2. Avverso tale decisione di condanna per somministrazione bevande alcoliche minore chiedono l’annullamento, hanno proposto ricorso per Cassazione congiuntamente l’imputato ed il suo difensore di fiducia, articolando due motivi di impugnazione. 

3. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 689, 43 e 47, c.p., rilevando: a) che nessuna responsabilità a titolo di colpa può essere attribuita al S. , assente dal locale quando le bevande alcoliche vennero somministrate a due ragazze minori di anni sedici da uno dei camerieri in servizio, in quanto l’errore in cui era caduto quest’ultimo, nel fidarsi della risposta delle ragazze di avere più di sedici anni di età, prima di somministrare loro le bevande alcooliche che avevano ordinato, deve ritenersi assolutamente scusabile, ai sensi dell’art. 47, c.p., in mancanza di una norma che imponga a carico dei titolari e dei dipendenti di pubblici spacci di bevande di chiedere l’esibizione di un documento di identità a conferma delle generalità dichiarate dal cliente; b) che il giudice di pace ha omesso ogni motivazione in ordine alla verifica del processo valutativo compiuto dal cameriere ed all’errore scusabile in cui quest’ultimo è incorso all’atto della somministrazione alle minorenni delle bevande alcoliche. 

4. Con il secondo motivo di ricorso, l’imputato lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 689, co. 3, 20 e 35, c.p. somministrazione bevande alcoliche minore in quanto la pena accessoria della sospensione dall’esercizio prevista dal menzionato art. 689, co. 3, c.p., opera quale conseguenza automatica della intervenuta condanna, senza consentire al giudice, da un lato ed in violazione del principio generale fissato in tema di sospensione dall’esercizio di una professione o di un’arte dall’art. 35, co. 3, c.p., di verificare se la contravvenzione sia stata commessa o meno con abuso della professione o del commercio ovvero in violazione dei doveri ad essi inerenti, dall’altro di operare una valutazione sulla eventuale sussistenza di ragioni idonee ad escluderne l’applicazione, riconducibili a valori costituzionalmente garantiti, come la tutela del lavoro e dell’iniziativa economica privata. 

Con particolare riferimento a quest’ultimo profilo, pertanto, il ricorrente eccepisce la questione di legittimità costituzionale dell’art. 689, co. 3, c.p., indicando come parametri violati quelli di cui agli artt. 1, 3, 4, 35, 41, 27, co. 3, della Costituzione. 

5. Con i motivi aggiunti depositati l’11.6.2013, infine, il ricorrente deduce che il fatto contemplato dall’art. 689, c.p., non è più previsto dalla legge come reato, ai sensi dell’art. 14 ter, L. 8.11.2012, n. 189, di conversione del d.l. n. 158 del 2012, secondo il quale chiunque (quindi, evidenzia l’imputato, anche l’esercente di un’osteria o di un altro pubblico esercizio destinato allo spaccio di cibi o di bevande) vende bevande alcoliche a minori di anni diciotto è sottoposto alla sanzione amministrativa da 250,00 a 1000,00 Euro. 

6. Il ricorso del S. non può essere accolto, essendo infondati i motivi che lo sostengono. 

7. Infondato, in particolare, appare il primo motivo di ricorso, in quanto l’imputato, nella sua qualità di esercente l’esercizio commerciale in cui è avvenuta la somministrazione bevande alcoliche a minore, non può giovarsi, al fine di andare esente da responsabilità penale, del preteso errore in cui sarebbe caduto il suo dipendente, che, in realtà, non può essere qualificato in termini di errore scusabile.

La natura di reato di pericolo della fattispecie in esame, infatti, impone una effettiva e necessaria diligenza nell’accertamento dell’età del consumatore, atteggiamento che, nel caso, come quello in esame, in cui la somministrazione è stata preceduta dalla richiesta, da parte del cameriere addetto alle consumazioni, dell’età dell’avventore, non può essere soddisfatto né dalla presenza nel locale di cartelli indicanti il divieto di erogazione di bevande alcooliche ai minori, né limitandosi a prendere atto della risposta del cliente sul superamento dell’età richiesta, ove ciò non corrisponda al vero (cfr. Cass., sez. 5, 2/12/2010, n. 7021, R. e altro, rv. 249830; Cass., sez. 5, 5.5.2009, n. 27916, B., rv. 244206). 

Si tratta di un obbligo che grava innanzitutto sul soggetto che gestisce l’esercizio commerciale in cui si pratica la vendita al pubblico di bevande alcoliche, assicurandone la somministrazione, su richiesta dei clienti, personalmente o attraverso forme di organizzazione del lavoro incentrate sull’impiego di uno o più dipendenti retribuiti. 

In questo caso appare evidente che su tale soggetto grava una peculiare responsabilità, avendolo collocato il precetto di cui all’art. 689, c.p., in una specifica posizione di garanzia a tutela di interessi diffusi (cfr. Cass., sez. 5, 5/5/2009, n. 27916, B., rv. 244206; Cass., sez. 5, 6/11/2012, n. 4320, C, rv. 254391). 
Ne consegue, come correttamente osservato dal giudice di primo grado, che la valutazione dei parametri di imputazione – negligenza ed imprudenza – deve essere assunta con severità, non potendo il gestore delegare al personale dipendente l’accertamento della effettiva età del consumatore, ma dovendo, invece, egli vigilare affinché i lavoratori alle sue dipendenze svolgano con la dovuta diligenza i loro compiti ed osservino scrupolosamente le istruzioni al riguardo loro fornite dal gestore. 
Tale obbligo non è stato adempiuto dal S. , la cui censura sul punto non può pertanto essere accolta. 

8. Anche il secondo motivo di ricorso deve ritenersi infondato. 
La pena accessoria della sospensione dall’esercizio di cui all’art. 689, co. 3, c.p., consegue alla sentenza di condanna anche se la pena inflitta è inferiore ad un anno di arresto, in ciò solo consistendo la deroga alla previsione di cui all’art. 35, co. 3, c.p., e fermo restando il limite sulla durata di tale sospensione fissato in generale dall’art. 37, c.p., posto che non appare revocabile in dubbio che la contravvenzione di cui si discute sia commessa con violazione dei doveri inerenti all’esercizio di una professione o, più propriamente, di un’attività commerciale, giusto il disposto del citato art. 35, co. 3,
c.p.. 

8.1 Manifestamente infondata è, poi, la questione di legittimità costituzionale di cui si sollecita la rimessione, in considerazione della assoluta genericità dei parametri costituzionali, di cui si assume la violazione, non essendo specificamente indicati, se non attraverso un richiamo, per l’appunto generico, alla “tutela del lavoro e dell’iniziativa economica privata” ed alla finalità rieducativa della pena, i diversi interessi, oggetto di protezione costituzionale, implicati nel processo, la cui valutazione e bilanciamento sarebbero preclusi al giudice dall’automatismo dell’applicazione della pena accessoria. Inconferente, al riguardo, è il richiamo alla sentenza 23/2/2012, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza, l’art. 569 c.p., nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato, previsto dall’art. 567, comma 2, c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell’interesse del minore nel caso concreto. 

Da tale pronuncia non può, infatti, desumersi l’illegittimità costituzionale di tutte le disposizioni che fanno derivare da una sentenza di condanna l’applicazione “automatica” di sanzioni accessorie, in quanto essa si fonda su di una particolare considerazione delle esigenze del minore, oggetto di tutela costituzionale (art. 30) e di convenzioni internazionali, cui dare la prevalenza, in relazione ai caratteri propri del delitto di cui all’art. 567, co. 2, c.p., che, come osservato dal giudice delle leggi, “diversamente da altre ipotesi criminose in danno di minori, non reca in sé una presunzione assoluta di pregiudizio per i loro interessi morali e materiali, tale da indurre a ravvisare sempre l’inidoneità del genitore all’esercizio della potestà genitoriale”, per cui “è ragionevole affermare che il giudice possa valutare, nel caso concreto, la sussistenza di detta idoneità in funzione della tutela dell’interesse del minore”. 

9. Infondato è, infine, anche il motivo aggiunto. 
Nessuna depenalizzazione, infatti, è intervenuta della fattispecie di cui all’art. 689, co. 1, c.p. (somministrazione bevande alcoliche minore).


Ed invero in seguito alla modificazioni apportate, in sede di conversione, al decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, all’art. 7, dopo il comma 3, sono stati inseriti, tra l’altro, il comma 3 bis, secondo cui “Dopo l’articolo 14-bis della legge 30 marzo 2001, n. 125, è inserito il seguente: Art. 14-ter. (Introduzione del divieto di vendita di bevande alcoliche a minori)- 1. Chiunque vende bevande alcoliche ha l’obbligo di chiedere all’acquirente, all’atto dell’acquisto, l’esibizione di un documento di identità, tranne che nei casi in cui la maggiore età dell’acquirente sia manifesta. 

2. Salvo che il fatto non costituisca reato, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.000 Euro a chiunque vende bevande alcoliche ai minori di anni diciotto. Se il fatto è commesso più di una volta si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 2.000 Euro con la sospensione dell’attività per tre mesi”, nonché il comma 3-ter, secondo cui “All’articolo 689 del codice penale, dopo il primo comma sono inseriti i seguenti: 
“La stessa pena di cui al primo comma si applica a chi pone in essere una delle condotte di cui al medesimo comma, attraverso distributori automatici che non consentano la rilevazione dei dati anagrafici dell’utilizzatore mediante sistemi di lettura ottica dei documenti. La pena di cui al periodo precedente non si applica qualora sia presente sul posto personale incaricato di effettuare il controllo dei dati anagrafici. Se il fatto di cui al primo comma è commesso più di una volta si applica anche la sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 Euro a 25.000 Euro con la sospensione dell’attività per tre mesi”. 
Appare, dunque, evidente, proprio dalla lettura del combinato disposto dei menzionati co 3-ter e art. 14 ter, co. 2, che l’intervento riformatore non ha riguardato la previsione di cui al primo comma dell’art. 689, c.p., di cui è fatta salvezza. 
Anzi tale fattispecie viene rafforzata nei suoi effetti afflittivi, in quanto, da un lato essa si estende al caso in cui la somministrazione di bevande alcoliche avvenga a mezzo di distributori automatici sforniti di sistemi di lettura ottica dei documenti che consentano la rilevazione dei dati anagrafici dell’utilizzatore, ad eccezione del caso in cui sia presente sul posto personale incaricato di effettuare il controllo dei dati anagrafici di chi accede al distributore automatico; dall’altro, ove la somministrazione di bevande alcoliche ai minori degli anni sedici ed agli infermi di mente sia commessa più volte, alla sanzione penale si aggiungono le menzionate sanzioni amministrative, tra cui quella della sospensione dell’attività per il periodo predeterminato di tre mesi. L’intervento del legislatore si spiega agevolmente in un’ottica di prevenzione, volta a sottoporre a sanzione, sia pure amministrativa, quelle condotte, potenzialmente pregiudizievoli per la salute, di vendita di alcolici a minorenni, che, realizzandosi in assenza delle condizioni previste dall’art. 689, co. 1, c.p., erano sottratte ad una efficace risposta da parte dello Stato. 
8. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso proposto nell’interesse del S. va, dunque, rigettato, con condanna di quest’ultimo, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. 

P.Q.M. 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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