Reazione ad una rapina. Tentato omicidio del derubato

Argomenti:

Reazione ad una rapina. Tentato omicidio del derubato

Tentato Omicidio e legittima difesa. Titolare di un negozio per evitare che due ladri commettano un furto nell’esercizio colpisce uno dei due con un coltello: non può ritenersi configurabile il pericolo di reiterazione del reato.
Se vuoi ricevere una consulenza legale su tentato omicidio e legittima difesa, clicca qui.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 settembre – 8 novembre 2013, n. 45248 Presidente Giordano – Relatore Caiazzo
Rilevato in fatto
Con ordinanza in data 4.2.2013 il Tribunale del riesame di Bologna, in accoglimento dell’appello del P.M. avverso l’ordinanza del GIP del Tribunale di Reggio Emilia in data 7.1.2013 che aveva rigettato la richiesta di applicazione della custodia in carcere nei confronti di T.G. , applicava al predetto la misura degli arresti domiciliari in relazione al delitto di tentato omicidio perché, dopo essersi accorto del tentativo di furto di notte che due individui stavano effettuando in danno del suo minimarket, manomettendo la saracinesca, apriva all’improvviso la porta armato di coltello e colpiva con un fendente al petto uno dei due soggetti, così compiendo atti idonei diretti in modo non equivoco a provocare la morte di V.A. ; in (omissis) .
Il GIP aveva ritenuto che a carico di T.G. non fossero stati raccolti gravi indizi di colpevolezza in ordine al contestato delitto di tentato omicidio, in quanto appariva possibile l’alternativa che V.A. si fosse procurato accidentalmente la ferita penetrante in zona mammaria con uno dei cacciavite utilizzati per forzare la saracinesca del negozio. Il Tribunale escludeva l’accidentalità del colpo dopo aver esaminato la documentazione medica e le caratteristiche delle lesioni interne provocate dal colpo; il contenuto di conversazioni intercettate in ospedale tra il V. e M.G. (il complice del V. nel compimento del tentato furto); le dichiarazioni spontanee rese il 10.1.2013 dal T. alla Polizia giudiziaria (l’indagato aveva dichiarato che aveva ripetutamente chiesto l’intervento dei Carabinieri; che aveva compiuto manovre per far comprendere ai ladri che era presente nel negozio; che li aveva anche avvertiti che stavano per arrivare i Carabinieri; che avendo visto uno dei due soggetti estrarre un oggetto oscuro, che gli era sembrato una pistola o un mitra, e che a quel punto aveva menato alcuni fendenti nella sua direzione, senza essersi accorto di averlo colpito).
Riteneva che le dichiarazioni del T. fossero smentite dalle suddette conversazioni, captate all’insaputa degli interlocutori, e dalle altre risultanze, dalle quali risultava che l’indagato aveva compiuto un agguato, sfruttando l’effetto sorpresa mentre uno dei soggetti era ancora accovacciato (l’altro aveva fatto in tempo ad accorgersi della presenza di qualcuno all’interno del locale e a fuggire).
Riteneva altresì non sussistente lo stato di legittima difesa, reale o putativa, ovvero l’eccesso colposo, poiché l’indagato avrebbe potuto difendersi palesando la sua presenza ed aveva invece dolosamente scelto di colpire con il coltello, aprendo all’improvviso la porta d’ingresso del negozio.
Riteneva, infine, che la personalità dell’indagato destasse allarme per la sua incapacità di astenersi da n’affronta re con la violenza situazioni stressanti, anche se la reazione risultava frutto di una contingenza che difficilmente si potrebbe verificare negli stessi termini, e che la suddetta pericolosità poteva essere però controllata anche con la misura degli arresti domiciliari.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore, chiedendone l’annullamento dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto di tentato omicidio per i seguenti motivi.
Con il primo motivo di ricorso ha dedotto che con motivazione manifestamente illogica e contraddittoria erano stati ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di tentato omicidio.
Il Tribunale aveva travisato la documentazione medica, ritenendo che i medici avessero constatato in V.A. solo una ferita al petto, mentre erano state descritte tre lesioni esterne presenti sul torace.
Aveva assunto come genuino il contenuto delle intercettazioni ambientali, mentre dalle stesse risultava che gli interlocutori si erano accorti che le loro conversazione erano intercettate. Aveva travisato anche il contenuto delle dichiarazioni spontanee rese dal T. , perché questi non aveva mai dichiarato di aver menato alcuni fendenti senza essersi accorto di aver colpito il V. , avendo invece dichiarato che si era tolto dalla linea di fuoco e aveva dato un fendente alla cieca che aveva ritenuto che non fosse giunto a segno.
Con il secondo motivo ha sostenuto che con alto grado di probabilità risultava che il ricorrente aveva agito in stato di legittima difesa nell’ipotesi di cui all’art. 52/2 e 3 comma c.p., e quindi non poteva essere emessa nei suoi confronti una qualsiasi misura cautelare.
Era risultato, infatti, che aveva avvisato i Carabinieri; che aveva acceso la luce del retro per palesare la sua presenza nel negozio; che aveva mostrato la sua presenza ai ladri, tant’è che M.G. era scappato ed aveva esortato il suo complice V. a scappare.
Con il terzo motivo ha eccepito la nullità dell’ordinanza impugnata, perché aveva omesso di esporre i motivi per i quali aveva ritenuto irrilevanti gli elementi forniti dalla difesa, e in particolare la planimetria e la documentazione fotografica del luogo in cui si era svolto il fatto, dalle quali risultava che il locale era dotato di un unico ingresso e che quindi il T. era obbligato ad affrontare i ladri che stavano forzando la saracinesca.
Con il quarto motivo ha denunciato la contraddittorietà della motivazione nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti le esigenze cautelari, per il pericolo di reiterazione della condotta, nonostante lo stesso Tribunale avesse ritenuto l’eccezionalità del fatto di cui al presente procedimento e l’assenza di atti violenti da parte dell’indagato, anche in occasione di precedenti furti subiti.
Considerato in diritto
Risulta fondato solo il motivo di ricorso con il quale è stata criticata la motivazione dell’ordinanza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la pericolosità dell’indagato. Non sussistono, innanzi tutto, i denunciati travisamenti delle risultanze probatorie, con riferimento alla documentazione medica (dalla quale, secondo il ricorrente, risulterebbero tre lesioni al torace e non una sola ferita, come ritenuto dal Tribunale), al contenuto dell’intercettazione della conversazione in ospedale tra il V. e il M. e alle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato il 10.1.2013 alla Polizia giudiziaria.
È opportuno, prima di esaminare i denunciati travisamenti delle prove, sintetizzare in quali limiti la giurisprudenza di questa Corte ritiene ammissibile il ricorso per il travisamento della prova per il delitto di tentato omicidio.
In virtù della previsione di cui all’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., novellata dall’art. 8 della L. n. 46 del 2006, costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame e, pertanto, l’errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorie (V. Sez. 5 sentenza n. 18542 del 21.1.2011, Rv. 250168).
Questa Corte ha anche precisato che il ricorso per cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l’erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l’omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l’esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco (V. Sez. 4 sentenza n. 14732 dell’I.3.2011, Rv. 250133).
E quindi non è controverso il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, che non da luogo al vizio di travisamento della prova la scelta, ad opera del giudice, di un’interpretazione delle dichiarazioni testimoniali in luogo di altra e diversa interpretazione (V. Sez. 3 sentenza n. 46451 del 7.10.2009, Rv. 2456119).
In tema di ricorso per cassazione per il delitto di tentato omicidio, pertanto, la possibilità di dedurre il vizio di motivazione per travisamento della prova è limitata all’ipotesi in cui il giudice del merito abbia fondato il suo convincimento su di una prova inesistente ovvero su di un risultato probatorio incontestabilmente diverso da quello reale, con la conseguenza che, qualora la prova che si assume travisata provenga dall’escussione di una fonte dichiarativa, l’oggetto della stessa deve essere del tutto definito o attenere alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile.
Tanto premesso, risulta dalla documentazione medica allegata al ricorso che le tre soluzioni di continuo della parete toracica sono state descritte nell’ambito dell’esplorazione interna del cavo pleurico, e quindi non si riferiscono a ferite presenti all’esterno del torace; peraltro nel referto e nell’esame obiettivo si descrive una sola ferita da arma bianca di circa 1,5 centimetri e la diagnosi riportata nella cartella clinica è di “ferita penetrante emitorace sinistro”.
Per quanto riguarda, invece, il contenuto della suddetta intercettazione ambientale e delle dichiarazioni spontanee dell’indagato, non è questione riguardante il travisamento della prova il valore probatorio che è stato dato alla conversazione in ospedale tra gli autori del tentato furto in danno del negozio dell’indagato (ritenuta genuina dal Tribunale e artefatta dal ricorrente) ed è in sostanza una questione di interpretazione della prova aver dato, tenuto conto del contesto, un certo significato – piuttosto che quello sostenuto dalla difesa – alle dichiarazioni spontanee rese dall’indagato alla Polizia giudiziaria.
Il Tribunale, ricostruendo la vicenda sulla base del complesso delle risultanze, ha ritenuto che non fosse attendibile la versione data alla Polizia giudiziaria dal T. .
Il predetto, secondo il Tribunale, si sarebbe perfettamente reso conto che due persone stavano forzando la saracinesca del suo negozio; non aveva però né avvertito i due ladri della sua presenza all’interno del negozio né, conseguentemente, del fatto che aveva già chiamato la Polizia; aveva ritenuto di meglio risolvere la situazione intervenendo direttamente e all’improvviso contro i due: si era armato di un coltello, aveva aperto d’improvviso la saracinesca e aveva colpito al petto quello dei due che, essendo accovacciato e intento a forzare la saracinesca, non si era reso conto della presenza dell’indagato; il complice, invece, essendosi accorto all’ultimo momento della presenza dell’indagato all’interno del negozio, era riuscito a fuggire.
La ricostruzione della dinamica del fatto da parte del Tribunale non presenta alcun vizio sotto l’aspetto logico e, in questa sede di legittimità, non può essere dato alcun rilievo alla diversa ricostruzione del fatto da parte della difesa, basata su una diversa interpretazione delle prove che non è compito di questa Corte verificare.
Assunto il fatto come ricostruito dal Tribunale, è evidente che l’imputato non ha agito in stato di legittima difesa reale o putativa, in quanto non era costretto ad intervenire nel modo suddetto, poiché ben avrebbe potuto, in quella fase (mentre i ladri cercavano di forzare la saracinesca), rivelare la sua presenza e provocare la fuga dei due malintenzionati.
È insussistente l’eccepita nullità dell’ordinanza impugnata – per omessa motivazione sulla documentazione planimetrica e fotografica prodotta dalla difesa – in quanto il Tribunale ha ritenuto che l’indagato non fosse costretto a comportarsi come sopra descritto ed ha ritenuto anche che abbia scelto dolosamente di colpire con il coltello colui che voleva commettere un furto in danno del suo negozio, mentre avrebbe potuto scegliere di mettere in fuga i ladri, palesando la sua presenza all’interno del negozio; quindi era irrilevante, alla luce della ricostruzione del Tribunale, il fatto che il locale avesse un unico ingresso o la planimetria dei luoghi.
Deve essere, invece, accolto il motivo di ricorso con il quale si è contestata la motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto sussistente la pericolosità del ricorrente, risultando effettivamente carente e soprattutto contraddittoria la motivazione con la quale è stato ritenuto concreto il pericolo di reiterazione del delitto di tentato omicidio, nonostante nella stessa ordinanza si sia affermato che la reazione dell’indagato risulta frutto di una contingenza che difficilmente si verificherà nuovamente negli stessi termini.
Pertanto, la sentenza deve essere annullata limitatamente alle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo esame al riguardo al Tribunale del riesame di Bologna per il pericolo di reiterazione del delitto di tentato omicidio
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame al riguardo al Tribunale di Bologna.
Rigetta nel resto il ricorso.

    RICHIEDI UNA PRIMA CHIAMATA GRATUITA