Violenza Privata e parcheggio autovettura: quando sussiste il reato

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Violenza Privata e parcheggio autovettura: quando sussiste il reato

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RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 16 giugno 2016 la Corte d’Appello di Omissis ha confermato la sentenza di primo grado con cui C. M. è stato condannato alla pena di giustizia per il delitto di violenza privata ai danni di G. G., perché mediante violenza consistita nell’uso improprio della propria autovettura, che parcheggiava nei pressi dell’auto su cui sedeva la persona offesa a distanza tale (pochi centimetri) da non consentire al conducente di scendere dal suo lato, costringeva G. G. a scendere dall’altro lato della propria autovettura e ad affrontarlo.

2. Con atto sottoscritto dal proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione dell’art. 606 c.p.p.. Lamenta il ricorrente che, nel caso di specie, non si era verificata alcuna violenza privata, atteso che l’imputato non aveva parcheggiato la propria autovettura, ma l’aveva posta solo in prossimità di quella del G. per discutere con lo stesso e la persona offesa era comunque scesa dal proprio mezzo, dall’altro lato, per discutere con il prevenuto. Peraltro, il ricorrente assume di aver affrontato la persona offesa in relazione alle precedenti minacce da quest’ultimo rivolte alla propria moglie e suocera.

2.2. Con il secondo motivo è stato dedotta violazione di legge per contraddittorietà manifesta. Pone in dubbio il ricorrente la ricostruzione che la sua autovettura si fosse posizionata a pochi centimetri da quella della persona offesa dato che, diversamente, anche lo stesso non avrebbe potuto scendere dal proprio veicolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Va preliminarmente osservato che t ai fini della configurabilità del delitto di violenza privata (art. 610 cod. pen.), il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. (Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013, Rv. 259052; vedi anche Sez. 5, n. 16571 del 20/04/2006, Rv. 234458 nonché Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003, Rv. 228063). Non vi è dubbio che, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, il ricorrente, posizionandosi con la propria autovettura a pochi centimetri dello sportello lato autista dell’autovettura della persona offesa, la quale, per la presenza di autovetture parcheggiate avanti e dietro, non poteva in alcun modo spostarsi, ha costretto la stessa parte offesa a scendere dal proprio mezzo per affrontarlo in una discussione (allo scopo di ottenere lo spostamento del mezzo). Né rileva che il G. sia stato comunque in grado di scendere dall’autovettura (dal lato passeggero), avendo con tale condotta il ricorrente pesantemente condizionato la libertà di autodeterminazione e movimento della persona offesa. Peraltro, le deduzioni del ricorrente, secondo cui avrebbe affrontato la persona offesa in relazione alle precedenti minacce da quest’ultimo rivolte alla moglie ed alla suocera, oltre che irrilevanti, sono inammissibili in quanto formulate per la prima volta nel ricorso e quindi non consentite a norma dell’art. 606 comma 3 0 c.p.p..

2. Anche il secondo motivo è inammissibile, implicando una censura che, oltre ad essere in fatto, è tardiva. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro.

P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2017

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