Vizio della Motivazione. Travisamento della prova. Come dedurlo davanti alla Corte di cassazione

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Vizio della Motivazione. Travisamento della prova. Come dedurlo davanti alla Corte di cassazione

In questo articolo trattiamo il vizio di motivazione: come esso va dedotto nel ricorso per cassazione così come previsto dall’art. 606 comma 1 lettera e) cod. proc. pen..

Riporto una carrellata di massime della Corte di cassazione che potranno risultare utili ai fini della redazione del ricorso per cassazione e nello specifico per il motivo afferente il vizio di motivazione.  

Quanto sussiste il vizio di travisamento della prova?

Sussiste il vizio di TRAVISAMENTO DELLA PROVA quando sussiste una incontrovertibile antinomia tra i risultati obiettivamente derivanti dalla prova assunta e le conseguenze che il giudice di merito ne abbia tratto. Tale vizio è configurabile soltanto quando l’accertata distorsione tra il risultato probatorio posto a base dell’argomentazione del giudice e l’atto processuale o probatorio disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e, alla stregua dei parametri di rilevanza e decisività, renda illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato probatorio trascurato o travisato. Il vizio della prova travisata è sindacabile in sede di legittimità in quanto sia dimostrata da parte del ricorrente l’avventura rappresentazione al giudice della precedente fase di impugnazione degli elementi dai quali quest’ultimo avrebbe dovuto rilevare detto travisamento, sicché la corte possa a sua volta, desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi siano stati valutati.

Il vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., è configurabile quando manchi la motivazione in ordine alla valutazione di un elemento probatorio acquisito nel processo (cfr. Sez. 4, n. 50557 del 07/02/2013 – dep. 13/12/2013, Chierici, Rv. 25789901) che abbia carattere decisivo ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013 – dep. 26/11/2013, Giugliano, Rv. 25749901).


La Cassazione, lungi dal procedere a un’inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza TRAVISAMENTI, all’interno della decisione. Occorre che gli atti del processo, su cui fa leva il ricorrente per sostenere la sussistenza di un vizio della motivazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Non può pertanto affermarsi che i giudici di secondo grado abbiano preso adeguatamente in esame tutte le deduzioni difensive né che siano pervenuti alla conferma della sentenza di prime cure attraverso un itinerario logico-giuridico immune da vizi, sotto il profilo della correttezza logica, e sulla base di apprezzamenti di fatto esenti da connotati di contraddittorietà o di manifesta illogicità e di un apparato giustificativo coerente con una esauriente analisi delle risultanze agli atti (Sez. un. 25-11-’95, Facchini, rv. 203767). 

È ammessa la denuncia del TRAVISAMENTO DELLA PROVA, che si ha quando il giudice basa il suo convincimento, relativo ad un punto essenziale della decisione, su un dato completamente diverso da quello che risulta dalla mera lettura della prova (e non dalla sua interpretazione), e in caso di denuncia di travisamento della prova, la stessa deve essere sottoposta a questa Corte nella sua interezza. 

Ad evitare che il sindacato di legittimità degradi in censura sul merito della decisione, ed attenga realmente alla puntuale osservanza delle norme di legge sul ragionamento probatorio e sulla descrizione in sede motivazionale, la fattispecie del travisamento può intendersi realizzata solo quando l’errore attenga alla percezione del dato da parte del giudice e riguarda un profilo essenziale del regiudicanda; errore di percezione significa non che sia stato erroneamente valutato, attraverso un errato percorso critico, quanto piuttosto che sia stato equivocato nella sua portata materiale. Il travisamento sussiste, in altre parole, quando il giudice afferma un profilo essenziale del fatto sebbene gli atti ricostruiscono quello stesso profilo in modo difforme, inequivocabilmente, oppure quando si realizza la situazione inversa, e viene negata una circostanza che invece, inequivocabilmente, si desume dagli atti (ex multis, Sez. II sentenza nr. 47035 del 03.10.2013, rv. 257499).

In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto, pregnante rilievo l’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell’onere di “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” a sostegno del singolo motivo di ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell’art. 581 lett. c) c.p.p.. IL VIZIO DI PROVA “OMESSA” O “TRAVISATA” sussiste, peraltro, soltanto quando l’accertata distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività. 

Al riguardo, avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo” costituisce il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “TRAVISAMENTO DELLA PROVA”, che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini, vi è “travisamento della prova” quando il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato); del pari, può essere valutato se vi erano altri elementi di prova inopinatamente o ingiustamente trascurati o fraintesi.

In sintesi, detto travisamento è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, n. 18542 del 21/1/2011, Carone, Rv. 250168). Fermo però restando – occorre ancora ribadirlo – che non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito (in questi termini, tra le molte, Sez. 3, n. 5478 del 05/12/2013, Ferraris, Rv. 258693; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 27/2/2013, Maggio, Rv. 255087). CASSAZIONE PENALE, SEZIONE TERZA, 20 aprile 2015 (ud. 4 marzo 2015) – TERESI, Presidente – MENGONI, Relatore – IZZO, P.G. (parz. conf.) – Di Domenico, ricorrente.

La categoria logico-giuridica del TRAVISAMENTO DELLA PROVA deve essere tenuta distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata in sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato.

La recente riformulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, non confermando l’indeclinabilità della regola preclusiva dell’esame degli atti processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratio decidendi (Sez. 6, 20 marzo 2006, rv. 233621; Sez. 1, 9 maggio 2006, rv. 233783; Sez. 2, 23 marzo 2006, rv. 233460; Sez. 5, 11 aprile 2006, rv. 233789; Sez. 4, 28 aprile 2006, rv. 233783; Sez. 3, 12 aprile 2006, rv. 233823).

In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto, pregnante rilievo l’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali/probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell’onere di “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” a sostegno del singolo motivo di ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c). 

Il vizio di prova “omessa” o “travisata” sussiste, peraltro, soltanto quando l’accertata distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività. 

È appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio del TRAVISAMENTO DELLA PROVA là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valu-tazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.

Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali (v., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893). Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito (Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652). 

Sotto altro profilo, con riguardo alla valutazione e all’interpretazione delle risultanze testimoniali esaminate dai giudici del merito – di cui il ricorrente contesta la correttezza -, osserva il collegio come secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato (cfr. Cass., Sez. 1, n. 1685/1998, Rv. 210560; Cass., Sez. 6, n. 11984/1997, Rv. 209490), sempre che non emergano elementi idonei a sostanziare la ragionevolezza del dubbio in ordine alla responsabilità dell’imputato: evenienza plausibilmente del tutto esclusa nel caso di specie. 

Alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8 il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente “contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.

É, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6^, n. 10951 del, 15 marzo 2006). 

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza” logica del ragionamento del giudice.

Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. 

La categoria logico-giuridica del travisamento della prova deve essere tenuta distinta da quella concernente il vizio di travisamento del fatto. La prima, infatti, a differenza del secondo, implica non una rivalutazione del fatto, che è incompatibile con il giudizio di legittimità, ma la constatazione che esiste una palese divergenza del risultato probatorio rispetto all’elemento di prova emergente dagli atti processuali e che, quindi, una determinata informazione probatoria utilizzata in sentenza, oggetto di analitica censura chiaramente argomentata, è contraddetta da uno specifico atto processuale, pure esso specificamente indicato.

La recente riformulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8 non confermando l’indeclinabilità della regola preclusiva dell’esame degli atti processuali ed ammettendo un sindacato esteso a quelle forme di patologia del discorso giustificativo riconoscibili solo all’esito di una cognitio facti ex actis, colloca il vizio di travisamento della prova, cioè della prova omessa o travisata, rilevante e decisiva, nel peculiare contesto del vizio motivazionale, attesa la storica inerenza di esso al tessuto argomentativo della ratio decidendi (Sez. 1^, n. 20038 del 9 maggio 2006; Sez. 2^, n. 13994 del 23 marzo 2006). 

In virtù della novella legislativa del 2006 viene ad assumere, pertanto, pregnante rilievo l’obbligo di fedeltà della motivazione agli atti processuali-probatori, risultandone valorizzati i criteri di esattezza, completezza e tenuta informativa e, al contempo, rafforzato quell’onere di “indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto” a sostegno del singolo motivo di ricorso, che già gravava sul ricorrente ai sensi dell’art. 581 c.p.p., lett. c). 

Il vizio di prova “omessa” o “travisata” sussiste, peraltro, soltanto quando l’accertata distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e renda illogica la motivazione, per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale-probatorio trascurato o travisato, secondo un parametro di rilevanza e di decisività. 

Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata non si sottrae alle censure che le sono state mosse, perché il provvedimento impugnato, con motivazione ricca di evidenti incongruenze e di interne contraddizioni, non ha puntualmente indicato, con riguardo alla posizione di ciascuno degli imputati, gli elementi che consentono di ritenere provata la loro responsabilità, al di là di ogni ragionevole dubbio, in relazione ai delitto loro rispettivamente contestati. – cfr. Cassazione penale sez. I Data:10/01/2014 ( ud. 10/01/2014 , dep.26/02/2014 ) Numero: 9284 presidente Chieffi, relatore Cassano -.

In vero, il suddetto vizio presuppone necessariamente il carattere «decisivo» della prova travisata, che deve essere rinvenuto nella prova che, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti determinante per un esito diverso del processo e non si limiti ad incidere su aspetti secondari della motivazione (tra le tante Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652).

Nella sentenza impugnata non si rileva neppure il vizio di travisamento della prova, non potendo, peraltro, trascurarsi che la decisione censurata ha confermato, sul punto dell’affermazione di responsabilità di Sergio Giacobbe, quella di primo grado, sicché vanno evocati i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme”, l’eventuale vizio di travisamento può essere rilevato solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – dep. 29/01/2014, Capuzzi e altro, Rv. 25843801; Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007 – dep. 07/02/2007, Medina e altri, Rv. 236130): onere cui il ricorrente non risulta avere adempiuto nella proposta impugnazione.

L’unica domanda alla quale, quindi, in questa sede, occorre rispondere può, essere formulata nei seguenti termini: se la risposta che la Corte Territoriale ha dato ai motivi di appello sia o meno manifestamente illogica (non semplicemente illogica), tenendo altresì presente, considerato che ci si trova di fronte ad una doppia conforme, che il vizio del travisamento della prova (per tale dovendosi intendere l’utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o l’omessa valutazione di una prova decisiva), può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, essere superato il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 – 29/01/2014, Capuzzi, Rv. 258438).

Relativamente al travisamento del contenuto degli interrogatori si deve rilevare che lo stesso, se commesso, è avvenuto in primo grado e non in appello, senza che nei motivi di appello sia stato proposto il relativo motivo: “Il travisamento della prova, se ritenuto commesso dal giudice di primo grado, deve essere dedotto al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per Cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato” (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014 – dep. 24/11/2014, Biondetti, Rv. 26143801).

Il travisamento della prova, se ritenuto commesso dal giudice di primo grado, deve essere dedotto al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per Cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato” (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014 – dep. 24/11/2014, Blondetti, Rv. 26143801). Conseguentemente sul punto la sentenza di appello omette di motivare poiché non sussistono motivi di appello.

“Il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima” (cfr. Sez. 5, sent. n. 9338 del 12.12.2012 – dep. 27.02.2013, Rv. 255087).

Il travisamento della prova è configurabile solo quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).

Il travisamento della prova, dunque, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile.

Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).

Il rilievo censorio tralascia, infine, di considerare che, alla stregua di consolidata interpretazione di questa Corte regolatrice, il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012 – dep. 27/02/2013, Maggio, Rv. 255087).

Deve, infatti, ribadirsi che una fonte dichiarativa è, per sua stessa definizione, scandita da significanze non univoche: infatti, salvi i casi limite in cui l’oggetto della deposizione sia del tutto definito o attenga alla proposizione di un dato storico semplice e non opinabile, la testimonianza è sempre il frutto di una percezione soggettiva del dichiarante anche se attiene a fatti di sua diretta scienza, con la conseguenza che il giudice di merito, nel valutare i contenuti della deposizione testimoniale, è sempre chiamato a “depurare”, in diversa misura, il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante: ossia dalla sua capacità cognitiva, dalla sua sensibilità percettiva ed emotiva, dal suo stato di coinvolgimento o meno negli accadimenti che rievoca e descrive (Sez. 4, n. 15556 del 12/02/2008, Trivisonno, Rv. 239533).

Quanto al vizio di «travisamento della prova dichiarativa», si ha quando abbia un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare in modo palese e non controvertibile la tangibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto: non sussiste invece detto vizio laddove si faccia questione di un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Cass. sez. 5, Rv. 255087). È invece intangibile la valutazione nel merito del risultato probatorio.

Per poter far valere tale vizio, è necessario che il ricorrente indichi in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato (Cass. Sez. 2, n. 7986 del 18 novembre 2016 Rv. 269217, La Gumina e altro). Cfr. anche Cass. Sez. 3, n. 43322 del 02 luglio 2014, Rv. 260994, Sisti per la quale la condizione della specifica indicazione degli «altri atti del processo», con riferimento ai quali, l’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc. pen.

Al riguardo, va anche rammentato che nella specie si è in presenza di una c.d. “doppia conforme” di condanna, per cui le motivazioni delle sentenze di merito di primo e secondo grado si integrano a vicenda, costituendo un corpo unico, con tutti i noti limiti connessi alla impossibilità per la parte di dedurre il vizio logico della motivazione sul piano del travisamento della prova (Sez. 5, n. 18975 del 13/02/2017, Cadore, Rv. 26990601; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 2017, La Gumina e altro, Rv. 26921701; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e altri, Rv. 25877401).

Travisamento della prova, è necessario ribadirlo, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile.

Come recentemente ribadito da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).

Per quanto attiene alla nozione di “travisamento della prova”, occorre rilevare, in primo luogo, che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, e che il Collegio condivide, la stessa ricorre nel caso dell’assunzione di una prova inesistente o quando il sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità” (così, tra le tante: Sez. l, n. 51171 del 11/06/2018, Piccirillo Costabile, in attesa di deposito; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406-01; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702-01). I

n secondo luogo, va evidenziato che più decisioni, altrettanto condivisibilmente, hanno affermato che il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del devolutum in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (così Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774-01, e Sez. l, n. 24667 del 15/06/2007, Musumeci, Rv. 237207-01). 

In proposito, va ricordato, che in tema di motivi di ricorso per cassazione, a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. dall’art. 8, comma primo, della legge n. 46 del 2006, il legislatore ha esteso l’ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, così introducendo il travisamento della prova quale ulteriore criterio di valutazione della contraddittorietà estrinseca della motivazione il cui esame nel giudizio di legittimità deve riguardare uno o più specifici atti del giudizio, non il fatto nella sua interezza (cfr. ex multis Sez. 3, n. :38431 del 31/1/2018, Ndoja, Rv. 273911).

Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione anche at- traverso gli “atti del processo” costituisce invero il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato o, come nel caso che ci occupa, che i vestiti contenuti nel borsone non fossero della persona offesa ma degli imputati). 

«Il travisamento della prova, se ritenuto commesso dal giudice di primo grado, deve essere dedotto al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere dedotto con ricorso per Cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato» (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014 – dep. 24/11/2014, Biondetti, Rv. 26143801). Del resto era onere del ricorrente contestare l’elencazione dei motivi di appello effettuata dalla sentenza, e allegare i relativi atti, per il principio della specificità del ricorso – o autosufficienza – (Sez. 2, n. 9028 del 05/11/2013 – dep. 25/02/2014, Carrieri, Rv. 25906601; vedi anche Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017 – dep. 28/06/2017, Ciccarelli e altri, Rv. 27062701).

Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, la cui mancanza, illogicità o contraddittorietà può essere desunta non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati; è, perciò, possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.
Solo attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione (Sez. 3, n. 44901 del 17/10/2012, F., Rv. 253567).
Giova, peraltro, ricordare che il travisamento della prova, se ritenuto commesso dal giudice di primo grado, deve essere dedotto dinanzi al giudice dell’appello, pena la sua preclusione nel giudizio di legittimità, non potendo essere denunziato con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il travisamento non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/9/2014, Biondetti, Rv. 261438).

È, infatti, consolidato principio di questa Corte quello secondo cui il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, L, Rv. 272018)

Quanto alle censure di presunto travisamento della prova da parte della Corte territoriale, deve osservarsi che tale vizio é ravvisabile non già allorquando con esso venga denunciato un qualsiasi equivoco epistemologico e percettivo nel quale sia caduto il giudice del merito, ma esclusivamente entro un ben delimitato numero di ipotesi, nelle quali affiori la contraddittorietà del ragionamento giustificativo della decisione rispetto alle risultanze di cui agli atti del processo specificamente indicati dal ricorrente (cfr. Sez. 1, Sentenza n. 35848 del 19/09/2007, Alessandro, Rv. 237684); con il corollario che la denuncia di tale contraddittorietà (in quanto volta a censurare un vizio fondante della decisione) deve possedere un’autonoma forza esplicativa e dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento della sentenza e da determinare al suo interno radicali incompatibilità (Sez. 6, n. 14624 del 20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621).

Un diverso modo di procedere si risolverebbe in una impropria — e improponibile – riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla funzione essenziale del sindacato sulla motivazione, essendo, come si é detto, preclusa al giudice di legittimità, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (preferiti a quelli adottati dal Giudice del merito perché ritenuti maggiormente e plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa).

Al riguardo, va rammentato che il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed è pertanto da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406: “in tema di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilità del vizio di travisamento della prova dichiarativa è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima”).

*Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. intenda far valere il vizio di “travisamento della prova” deve, a pena di inammissibilità (cfr. Sez. 1, n. 20344 del 18 maggio 2006, Rv. n. 234115; Sez. 6, n. 45036 del 2/12/2010, Rv. 249035):

  1. identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza;
  2. individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
  3. dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; (
  4. indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.

Secondo principi pacifici (tra le molte, Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702-01), il giudice di legittimità può apprezzare il travisamento (e non soltanto l’erronea interpretazione) di risultanze probatorie decisive, anche documentali, ricavabili da atti processuali al ricorso specificamente allegati, e può ritenere il travisamento esistente ove verifichi una palese, e non controvertibile, difformità tra gli esiti obiettivamente derivanti dal mezzo di prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, sempre che si tratti di difformità decisive. Tale patologia processuale ricorre nella specie

E’ necessario ricordare che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).

E’ possibile estendere l’indagine di legittimità a «specifici atti del processo» solo quando ne sia dedotto il travisamento, quando cioè si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).

Il travisamento della prova, come detto, consiste in un errore percettivo (e non valutativo) della prova stessa tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il vizio rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro- giudizio logico sulla tenuta del sillogismo.

Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura logica tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile. Come autorevolmente ribadito da Sez. -U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).

Il travisamento della prova vizia il provvedimento quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758 – 01; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio, Rv. 258774; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).

Si tratta di in un errore percettivo (e non valutativo) della prova tale da minare alle fondamenta il ragionamento del giudice ed il sillogismo che ad esso presiede. In particolare, consiste nell’affermare come esistenti fatti certamente non esistenti ovvero come inesistenti fatti certamente esistenti. Il travisamento della prova rende la motivazione insanabilmente contraddittoria con le premesse fattuali del ragionamento così come illustrate nel provvedimento impugnato, una diversità tale da non reggere all’urto del contro-giudizio logico sulla tenuta del sillogismo. Il travisamento è perciò decisivo quando la frattura tra la premessa fattuale del ragionamento e la conclusione che ne viene tratta è irreparabile sul piano logico.

Come autorevolmente ribadito in motivazione da Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano, n.m. sul punto, il travisamento delle prova sussiste quando emerge che la sua lettura sia affetta da errore “revocatorio”, per omissione, invenzione o falsificazione. In questo caso, difatti, la difformità cade sul significante (sul documento) e non sul significato (sul documentato).

Il “travisamento del fatto” (e non della prova) è sempre stato tradizionalmente inteso quale vizio logico che aveva ad oggetto la ricostruzione dei fatti insanabilmente in contrasto con la realtà indiscussa o almeno manifesta nel processo (Sez. 2, n. 1195 del 01/07/1965, dep. 1967, Wobbe), quando cioè la pronuncia fosse emanata sul presupposto dell’esistenza o inesistenza di fatti, che invece dagli atti risultino, di certo, inesistenti o esistenti, con esclusione del momento valutativo della prova (Sez. 1, n. 86 del 25/01/1966, Spucches). Il nuovo codice di rito ha voluto mantenere «il sindacato sul piano della legittimità, evitando gli eccessi (…) che hanno talvolta dato luogo a invasioni da parte del giudice di legittimità dell’area in giudizio riservata al giudice di merito» (Relazione al progetto del codice di procedura penale).

L’iniziale formulazione dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., era perciò chiaramente finalizzata a evitare che il giudizio di legittimità si trasformasse, di fatto, in un’ulteriore grado di giudizio di merito, vietando qualsiasi incursione nel materiale raccolto nelle precedenti fasi ed imponendo come oggetto di valutazione della logicità, congruità e coerenza della sentenza esclusivamente il testo della motivazione.

Coerentemente, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato il principio per il quale il travisamento del fatto intanto poteva essere oggetto di valutazione e di sindacato in sede di legittimità, in quanto risultasse inquadrabile nelle ipotesi tassativamente previste dall’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.; l’accertamento richiedeva, pertanto, la dimostrazione, da parte del ricorrente, dell’avvenuta rappresentazione, al giudice della precedente fase di impugnazione, degli elementi dai quali quest’ultimo avrebbe dovuto rilevare il detto travisamento, sicché la Corte di cassazione potesse, a sua volta, desumere dal testo del provvedimento impugnato se e come quegli elementi fossero stati valutati (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimo; nello stesso senso, Sez. 4, n. 31064 del 02/07/2002).

L’art. 8, comma 1, legge n. 46 del 2006, ha esteso l’ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad «altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame». Il legislatore ha così introdotto il “travisamento della prova” (e non del fatto) quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorietà estrinseca della motivazione ma ciò non muta, alla luce delle considerazioni che precedono, la natura dell’indagine di legittimità il cui oggetto resta la motivazione del provvedimento impugnato, l’esame della cui illogicità non può mai trasmodare in un inammissibile e rinnovato esame dell’intero compendio probatorio già utilizzato dal giudice di merito per giungere alle sue conclusioni. Il travisamento, insomma, deve riguardate uno o più specifici atti del processo, non il fatto nella sua interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Rv. 273911 – 01).

10.4.Non è dunque consentito, in sede di legittimità, proporre un’interlocuzione diretta con la Corte di cassazione in ordine al contenuto delle prove già ampiamente scrutinate in sede di merito sollecitandone l’esame e proponendole quale criterio di valutazione della illogicità manifesta della motivazione; in questo modo si sollecita la Corte a sovrapporre il proprio giudizio a quello dei Giudici di merito laddove, come detto, ciò non è consentito nemmeno quando viene dedotto il travisamento della prova. La deduzione del vizio di travisamento non consente di valutare nel merito la prova, ma costituisce lo strumento – come detto – per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.

Ebbene, va ricordato che questa Corte, con orientamento che il Collegio condivide e ribadisce, ritiene che, in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ov- vero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (cfr. Sez. 4, n. 19710/2009, Rv. 243636 secondo cui , sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c. d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice; conf. Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 4, n. 5615 del 13/11/2013 dep.2014, Nicoli, Rv. 258432; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013 dep. 2014, Capuzzi ed altro, Rv. 258438; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 dep. 2017, La Gumina ed altro, Rv. 269217).

*Deve infatti evidenziarsi che il travisamento della prova, deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., è quel vizio configurabile allorquando sia stata introdotta nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando sia stata omessa la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (in tal senso, ex multis, Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, PG. c/Borriello Filadelfo, Rv. 276567-01 e Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499-01).

La giurisprudenza di legittimità ha affermato che ai fini della deducibilità dinanzi alla Corte di Cassazione del vizio di “travisamento della prova” che si ri- solve nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nella omessa valutazione della prova esistente agli atti, è necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento o dell’omissione nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (ex plurimis, Sez. 6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv. 280117 – 01).

In proposito infatti, occorre sottolineare il principio per cui il giudice di legittimità può rilevare il dedotto travisamento solo qualora la difformità emergente sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio (cfr. in motivazione, Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015 Rv. 262575 – 01 Cammarota).

Se nonché, il travisamento della prova che è consentito dedurre in cassazione consiste nella contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, nonché dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (cfr., Cass. Pen., 5, 21.1.2011 n. 18.542, Carone; cfr., Cass. Pen., 2, 3.10.2013 n. 47.035, Giugliano, secondo cui il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., può essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; conf., ancora, Cass. Pen., 5, 4.12.2017 n. 8.188, Grancini e, più recentemente, Cass. Pen., 2, 12.6.2019 n. 27.929, PG c/ Borriello).

Per aversi vizio di travisamento della prova è necessario, insomma, che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione (o di altro elemento di prova) e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori eventualmente commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (cfr., Cass. Pen., 5, 4.12.2017 n. 8.188, Grancini; cfr., Cass. Pen., 2, 12.6.2019 n. 27.929, PG in proc. Borriello, in cui la Corte ha ribadito che il vizio di travisamento della prova deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., oltre ad essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato ma anche da altri atti del processo specificamente indicati ed è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; cfr., anche, Cass. Pen., 5, 2.7.2019 n. 48.050, S., secondo cui il vizio di travisamento della prova è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio).

In altri termini, il vizio di “travisamento” deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo “significato” ma) dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” come idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione; logico corollario a questa premessa è quello secondo cui, anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 165bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, d. Igs. 6 febbraio 2018, n. 11, deve trovare applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (cfr., Cass. Pen., 2, 8.5.2019 n. 35.164, Talamanca).

I due motivi di ricorso sono fondati sulla deduzione di un vero e proprio “travisamento” della prova perché, secondo la difesa, quando il teste aveva parlato di “consumazione” dei generi alimentari non si sarebbe riferito a ciò che aveva visto nna a ciò che egli stesso aveva detto a Dhayba e al complice per giustificare la richiesta di fermarsi e pagare. 

“Il ricorso per cassazione che deduca il travisamento (e non soltanto l’erronea interpretazione) di una prova decisiva, ovvero l’omessa valutazione di circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati, impone di verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l’esistenza della decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco” (Sez. 4, Sentenza n. 14732 del 01/03/2011, Rv. 250133).

Invero, la rilevabilità del vizio del travisamento della prova “desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio” (Sez. 5 – , Sentenza n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758)

Questa stessa Sezione ha osservato, in molteplici occasioni che “in presenza di una c.d. “doppia conforme”, ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno (nel caso di specie, riguardante l’affermazione di responsabilità), il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.

Sicché “in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla L. n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice” (Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009 – dep. 08/05/2009, RC. in proc. Buraschi, Rv. 24363601; cfr. conformi: Sez. 2, Sentenza n. 47035 del 03/10/2013, Rv. 257499; Sez. 4, Sentenza n. 5615 del 13/11/2013, dep. 04/02/2014, Rv. 258432; Sez. 4, Sentenza n. 4060 del 12/12/2013, dep. 29/01/2014, Rv. 258438; Sez. 2, Sentenza n. 7986 del 18/11/2016, dep. 20/02/2017, Rv. 269217).

Vero che tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. vi è quello del “travisamento” che, come è noto, è ravvisabile nel caso di contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., Sez. 5, Sentenza n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168; Sez. 2, Sentenza n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499; Sez. 5, Sentenza n. 8188 del 04/12/2017, Grancini, Rv. 272406; Sez. 2, Sentenza n. 27929 del 12/06/2019, PG c/Borriello, Rv. 276567).

In altri termini, il vizio di “travisamento” deve riguardare una prova che non sia stata affatto valutata ovvero che sia stata considerata dal giudice di merito in termini incontrovertibilmente difformi (non già dal suo “significato” ma) dal suo “significante” e che venga individuata specificamente e “puntualmente” oltre che idonea a disarticolare il ragionamento su cui si fonda la decisione impugnata. 

Più recentemente, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758-01) può essere rilevato in sede di legittimità soltanto nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. 

Sez. V sent. 18 ottobre 2021 – 3 dicembre 2021 n. 44923, Pres. De Gregorio, Rel. Scarlini.

Ricorso per cassazione – Travisamento della prova per omissione – Requisiti.

Il vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile in cassazione ai sensi dell’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p., è configurabile quando manchi la motivazione in ordine alla valutazione di un elemento probatorio acquisito nel processo e potenzialmente decisivo ai fini della decisione

Sez. IV, sentenza 9 novembre 2021 – 19 gennaio 2022 n. 2152 – Pres. Ciampi – Rel. Bellini.

Ricorso per Cassazione – Art. 606 c.p.p. – Travisamento della prova – Doppia conforme – Deducibilità.

Il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti.

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