Crypto: perché i truffatori le preferiscono alla valuta fiat?

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Crypto: perché i truffatori le preferiscono alla valuta fiat?

Nella sentenza qui riportata (Penale Sent. Sez. 2 Num. 27023 Anno 2022) è stata assunta una importante decisione nell’ambito di un procedimento afferente l’autoriciclaggio di cryptovalute, nello specifico, di Bitcoin. 

Secondo la visione della Corte di cassazione, le criptovalute, spesso, favoriscono condotte illecite in quanto garantiscono un’elevata possibilità di anonimato da parte di chi le tratta.

Dunque, alla luce di ciò che ti ho appena sottolineato, effettua le opportune verifiche prima di effettuare qualsiasi tipo di investimento nel mondo delle criptovalute affidandoti, se necessario, ad un avvocato esperto del settore.

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Ti riporto qui la sentenza della Suprema Corte di cassazione.

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

• M. M. nato a Termoli il 

avverso l’ordinanza emessa il 17/12/2021 dal Trib. Libertà Milano

visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso, trattato con contraddittorio scritto;

udita la relazione svolta dal consigliere dr. L. A. ;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. M. G., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, con le consequenziali disposizioni di legge.

RITENUTO IN FATTO

         1. Con ordinanza del 17/12/2021 il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del riesame cautelare, rigettava l’impugnazione proposta nell’interesse di M.M. avverso l’ordinanza del Gip di quello stesso tribunale del 23/11/2021 applicativa della misura della custodia carceraria, in relazione ai reati di truffa di cui ai capi A), B), C), D), E), F) nonché del delitto di autoriciclaggio sub G) dell’incolpazione provvisoria.

      2. Rilevava il tribunale in premessa che non era contestata la riferibilità all’indagato di tutte le truffe per le quali si procedeva né l’intecirazione ad opera di costui degli estremi del delitto di cui di cui all’art. 640 cod. pen. in ragione delle articolate condotte di frode realizzate, che avevano determinato plurime persone offese ad effettuare versamenti in suo favore nella prospettiva – del tutto inesistente ma artificiosamente delineata – di partecipare ad aste giudiziarie o a procedure esecutive rispetto alle quali il M. si presentava come preposto dall’autorità giudiziaria in qualità di legale.

          Esaminando i motivi di riesame, il Tribunale ribadiva la propria competenza territoriale; la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. (richiamato dall’art. 640, comma II n. 2 bis cod. pen.) per le particolari condizioni di luogo (piattaforma on – line) che avevano favorito l’agente a discapito delle vittime, e ciò ai fini dell’applicazione quoad poenam della misura custodiale richiesta dal Pubblico Ministero; i gravi indizi di colpevolezza in relazione all’ipotesi di autoriciclaggio, atteso il reinvestimento dei proventi illeciti in operazioni finanziarie (acquisto di valuta virtuale, bit-coin); l’attualità e concretezza delle esigenze cautelari con conseguente pericolo di recidiva.

           3. Avverso il provvedimento collegiale ha proposto ricorso per cassazione il

difensore dell’indagato, sulla base di tre motivi.

         3.1 Violazione degli artt. 8, 9, 10, comma 3, 16, comma 1 cod. proc. pen. ed incompetenza territoriale del Tribunale di Milano in quanto i giudici del merito cautelare avevano erroneamente ritenuto che il reato più grave di autoriciclaggio si fosse consumato in Basiglio – nel circondario di Milano – sede della Banca Mediolanum, presso la quale era stato acceso il conto corrente on line utilizzato dal M. per ricevere i primi bonifici da parte dei truffati e per effettuare versamenti in favore di una società tedesca per l’acquisto di criptovaluta; al contrario, la competenza doveva correttamente radicarsi nel luogo in cui il soggetto, residente sin dalla nascita in Campomarino – circondario del Tribunale di Larino – aveva dato on line, tramite home banking, l’ordine di pagamento del prezzo dei bitcoin, ovvero, qualora non fosse stato certo dove l’agente si trovasse in quel frangente, doveva farsi riferimento al luogo di commissione del reato successivamente più grave ovvero, in ultima analisi, ai criteri sussidiari dettati dall’art.9, comma 2 e 3 cod. proc. pen., in considerazione altresì del numero di episodi di autoriciclaggio contestati, ben sette, e del rinvenimento presso la dimora dell’indagato degli strumenti telefonici e telematici utilizzati per perpetrare le truffe on – line.

          Quanto all’assunto residuale del gip, condiviso dal Tribunale, con riferimento al primo reato di truffa, considerato gradatamente più grave, il delitto doveva ritenersi consumato nel luogo in cui era stata riscossa la somma da parte del soggetto agente ossia, anche in questo caso, nella località ove l’indagato si trovava allorché effettuò la disposizione di bonifico on – line su conto estero, in tal modo riscuotendo le somme illecitamente acquisite.

In ogni caso la competenza apparterebbe al Tribunale di Larino, ai sensi dell’art. 9, comma 2 cod. proc. pen. secondo il criterio residuale della residenza, dimora, domicilio dell’indagato.

           3.2 Violazione di legge (artt. 648 ter 1 cod. pen. e 61 n.5 cod. pen. nonché 280 cod.  proc. pen.) sotto un duplice profilo.

      In primo luogo, l’acquisto di moneta virtuale con denaro di provenienza illecita ad opera dell’autore del reato presupposto non poteva configurare l’autoriciclaggio per difetto del requisito dell’impiego in attività speculativa, così come contestato nell’incolpazione, posto che non erano state poste in essere operazione con finalità di lucro, tese a conseguire cioè un guadagno in base alla differenza tra prezzi attuali e quelli futuri (l’acquisto di bitcoin non era diretto a speculare su oscillazioni di valore della moneta virtuale, peraltro da tempo costantemente in perdita); era inoltre carente il requisito della idoneità della condotta ad ostacolare l’identificazione della provenienza illecita dei beni, secondo un criterio di idoneità ex ante, in quanto tutti gli acquisti erano stati fatti nella piattaforma digitale, con trasparenza di ogni transazione, posto che le vicende traslative riguardanti i bitcoin si trasformavano in blocco di una più grande catena (blockchain), con evidenza degli accounts degli utilizzatori, ed erano registrate su un libro contabile digitale (distribuited ledger), di dominio pubblico.

             Da ultimo, al fine della configurazione della fattispecie criminosa in esame, la condotta doveva essere di ostacolo alla identificazione della provenienza delittuosa dei beni oggetto del reato presupposto e non già del suo autore (l’intestatario della moneta virtuale); l’account impegnato dall’indagato consentiva comunque di individuare gli specifici bitcoin acquistati.

          3.3 Per quanto riguarda l’aggravante della minorata difesa, il ricorrente rilevava che le persone offese avrebbero potuto pretendere di visionare i beni posti in vendita e di incontrare il sedicente professionista, con la conseguenza che “era estremamente agevole difendersi dall’inganno” nonostante l’offerta on line dei beni, in considerazione anche dei contatti telefonici tra le parti:i, sì che la distanza non influiva “con il fatto che gli interessati acquirenti siano stati tratti in inganno dalle false pubblicazioni di aste giudiziarie”.

       3.4 Violazione degli artt. 275 e 284 cod. proc. pen. essendo stata ingiustificatamente esclusa l’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari, con divieto semmai di utilizzo degli strumenti informatici, in assenza di specifiche esigenze cautelari in senso contrario.

          4. Il ricorrente con pec del 27/06/2022 ha presentato memoria difensiva ai sensi dell’art. 127, secondo comma cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

          1. Il ricorso è inammissibile per genericità dei motivi che reiterano censure oggetto del procedimento di riesame, senza confronto critico con le motivazioni del provvedimento impugnato.

          Il ricorrente, infatti, ripropone nei medesimi termini le questioni attinenti: alla competenza del giudice milanese, insistendo nella prospettazione del criterio residuale del luogo di residenza dell’indagato; all’aggravante delle truffe, ritenendo di non aver approfittato delle condizioni di luogo determinate dalle modalità on – line della condotta ingannevole, posta in essere tramite piattaforma informatica; ai presupposti del delitto di autoriciclaggio, negando natura speculativa ed occulta all’acquisto di moneta virtuale con i proventi delle truffe; alle esigenze cautelari da contenersi con la misura degli arresti domiciliari.

           Correttamente il tribunale ha individuato la competenza territoriale sulla base del reato più grave ossia il delitto di autoríciclaggio contestato sub G), atteso l’evidente vincolo di connessione con i reati presupposti di truffa.

      Poiché il reato di autoriciclaggio ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui vengono poste in essere le condotte di impiego, sostituzione o trasformazione di beni costituenti l’oggetto materiale del delitto presupposto (Cass. sez. 2, sent. n. 38838 del 04/07/2019 – dep. 20/09/2019 – Rv. 277098), nel caso in esame il denaro proveniente dalla commissione delle truffe è stato utilizzato per l’acquisto di criptovalute tramite l’effettuazione di una serie di bonifici, partiti dal conto corrente acceso presso la banca on line Mediolanum, con sede in Basiglio, nel circondario di Milano, ed indirizzati ad una banca tedesca.

     La condotta finalizzata all’occultamento della provenienza delittuosa si è realizzata, quindi, nella prospettiva accusatoria, rilevante per la determinazione della competenza, con gli atti dispositivi (bonifici) con i quali le somme di provenienza illecita sono state impiegate per comprare moneta virtuale.

         Ciò che rileva, quindi, è il luogo di impiego del denaro (da provento delle truffe a prezzo di acquisto di bitcoin) ossia il conto corrente sul quale le somme sono confluite dalle persone offese, vittime dei raggiri, e destinate al mercato estero, con la conseguenza che, ai fini della competenza per territorio, occorre fare riferimento al Tribunale del luogo in cui si trova l’istituto bancario in cui l’agente ha aperto quel conto corrente ed ha operato da remoto, dando disposizioni per immettere nel circuito finanziario il capitale illegittimamente acquisto.

         Poiché dagli atti risulta che l’istituto bancario in questione è ubicato in Basiglio – in esso confluiscono i conti correnti accessi on line tramite piattaforma informatica- correttamente la competenza territoriale è stata attribuita al Tribunale di Milano, secondo la regola generale di cui all’art. 8, comma 1 cod. proc. pen.

          La decisione allegata alla suddetta memoria «difesa, peraltro priva della parte

motivazionale, non è idonea nell’ambito del procedimento cautelare, ad inficiare le conclusioni che precedono.

        2. Per quanto riguarda il secondo motivo, è appena il caso di ribadire che alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass. Sez. Un. sent. n. 11 del 22/03/2000 – dep. 02/05/2000 – Rv. 215828).

          2.1 I giudici del merito cautelare hanno così applicato alla fattispecie in esame il principio di diritto più volte ribadito da questa Corte secondo cui in tema di truffa “on line”, è configurabile l’aggravante della minorata difesa, con riferimento alle approfittamento delle condizioni di luogo, quando l’autore abbia tratto, consapevolmente e in concreto, specifici vantaggi dall’utilizzazione dello strumento della rete (da ultimo, Cass. sez. 2, sent. n. 28070 del 08/04/2021 – dep. 20/07/2021 – Rv. 281800), esplicitando con completezza motivazionale le ragioni dei gravi indizi di colpevolezza con riferimento anche al riconoscimento di detta aggravante (l’indagato ha sempre occultato la propria identità in modo certosino, utilizzando nei contatti via mail generalità false che riconducevano ad un sedicente avvocato R.; i rari contatti telefonici non sono mai stati affiancati da incontri in presenza; gli istituti previsti dal codice di procedura civile per la liquidazione giudiziale dei compendi immobiliari pignorati – offerta, partecipazione all’asta e vendita on line – sono stati strumentalizzati per schermare l’identità dell’agente e per consentirgli di sottrarsi alle conseguenze della propria condotta fraudolenta;

la possibilità di utilizzare siti web istituzionali – www.portalegiudiziariomilano.it-

dai quali i potenziali acquirenti potevano recuperare informazioni sui beni d’interesse e scaricare la modulistica di riferimento ha evitato di sottoporre il prodotto ad un efficace controllo preventivo; le opportunità decettive offerte dalla rete ha terminato una specifica situazione di vantaggio per il M., agevolando tutta la fase delle truffe, dall’adescamento delle vittime al versamento delle somme, in un rapporto “virtuale” che si è protratto negli anni senza che mai costui venisse individuato).

           A fronte di tale valutazione in fatto, immune da vizi logici, l’alternativa lettura dei dati d’indagine da parte della difesa, deve senz’altro ritenersi preclusa in sede di legittimità.

           2.2 L’analisi del Tribunale circa il riscontro dei requisiti dell’autoriciclaggio è

rigorosa, puntuale ed apprezzabile nell’interpretazione della normativa di riferimento, correttamente applicata al caso in esame, di acquisto di moneta virtuale (bitcoin) con il denaro provento delle truffe.

            Il ricorrente ritiene che le operazioni in questione non avrebbero la finalità

speculativa indicata nel capo d’imputazione e che, in ogni caso, le regole del mercato di riferimento non consentirebbero di nascondere l’identità dell’acquirente, essendo incentrate su criteri di trasparenza.

        Orbene, a prescindere che nel capo d’incolpazione provvisoria è ben individuata la condotta delittuosa rilevante (“avendo commesso i delitti di truffa aggravata di cui ai precedenti capi, impiegava e sostituiva in attività speculative e, in particolare, nell’acquisto di criptovalute il denaro preveniente dalla commissione di tali delitti in modo da ostacolarne concretamente l’identificazione della provenienza

delittuosa”), il provvedimento impugnato si sofferma esaurientemente su entrambi gli aspetti, riscontrando le censure difensive.

      Ha evidenziato innanzitutto che il ricorrente ha provveduto a curare immediatamente il trasferimento di somme non appena accreditate – senza mai riscuoterle – attraverso disposizioni on line in favore di altro conto tedesco intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin, per il successivo acquisto di valuta virtuale il cui impiego finale risulta ancora imprecisato, ponendo così in essere un investimento dei profitti illeciti in operazioni di natura finanziaria, idonee a ostacolare la tracciabilità e la ricostruzione della origine delittuosa del denaro. 

            La moneta virtuale, secondo la condivisibile prospettazione del tribunale, basata su pertinenti richiami legislativi, giurisprudenziali e dottrinari, non può essere

esclusa dall’ambito degli strumenti finanziari e speculativi ai fini di una corretta lettura dell’art. 648 ter.1 cod. pen.

          È questo l’aspetto con il quale maggiormente il ricorrente non si confronta

criticamente sì che il motivo risulta aspecifico.

          Nel rinviare alle pagine da 16 a 22 dell’ordinanza impugnata, vanno ribaditi i

seguenti punti:

          -l’indicazione normativa ex art. 648 ter.1 cod. pen. delle attività (economiche, finanziarie, imprenditoriali e speculative) in cui il denaro, profitto del reato presupposto, può essere impiegato o trasferito, lungi dal rappresentare un elenco formale delle attività suddette, appare piuttosto diretta ad individuare delle macro aree, tutte accomunate dalla caratteristica dell’impiego finalizzato al conseguimento di un utile, con conseguente inquinamento del circuito economico, nel quale, vengono immessi denaro o altre utilità provenienti da delitto e delle quali il reo vuole

rendere non più riconoscibile la loro provenienza delittuosa (in termini, in motivazione, par. 1.8.1, Cass. sez. 2, sent. n. 13795 del 07/03/2019 – dep 29/03/2019 – Rv. 275228);

         – possono essere ricondotte nell’ambito della dizione di “attività speculativa” (della quale il legislatore, non a caso, non offre rigida definizione) molteplici attività e, in particolare, tutte quelle in cui il soggetto ricerca il raggiungimento di un utile, anche assumendosi il rischio di considerevoli perdite;

         – le valute virtuali possono essere utilizzate per scopi diversi dal pagamento

e comprendere prodotti di riserva di valore a fini di risparmio ed investimento (sul punto, il parere della BCE riportato a pag. 18 dell’ordinanza, recepito nella V direttiva UE antiriciclaggio 2018/843);

         – come sottolineato in dottrina, la configurazione del sistema di acquisto di

bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite, in quanto – a differenza di quanto rappresentato in ricorso con il richiamo alle registrazioni sulla blockchain e sul distribuited ledger – è possibile garantire un alto grado di anonimato (sistema cd. permissionless), senza previsione di alcun controllo sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro convertito (si è anche sottolineato come sia ormai noto il vasto numero di criptovalute utilizzate nel darkweb, proprio per le loro peculiari caratteristiche, e che alcune di esse, attraverso l’uso di tecniche crittografiche avanzate, garantiscono un elevato livello di privacy sia in relazione alla persona

dell’utente sia in relazione all’oggetto delle compravendite);

         – indubbiamente, con il decreto legislativo n. 90/2017 attuativo della IV Direttiva Antiriciclaggio, il legislatore italiano ha apportato sostanziali modifiche al d.lgs. 231/2007, a sua volta attuativo della Direttiva 2005/60/CE, anticipando le disposizioni della V Direttiva Antiriciclaggio in materia di criptovalute, valute virtuali e destinatari degli obblighi di prevenzione, normativa di carattere preventivo che si affianca alla disciplina penalistica di contrasto a riciclaggio e autoriciclaggio di cui agli artt. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. senza tuttavia che nella fattispecie in esame risulti che tale nuovo meccanismo di controllo abbia consentito di evitare il reato contestato (al contrario, accertata la re-immissione del profitto delle truffe nel circuito dell’economia legale, sono risultate estremamente difficili le attività di ricostruzione dell’identità del soggetto al quale riferire le singole transazioni in criptovaluta, anche perché l’account impiegato dal M. faceva riferimento a false generalità dell’intestatario del conto corrente bancario di provenienza).

         In definitiva, i gravi indizi di colpevolezza, correttamente esaminati, giustificano l’adozione della misura in riferimento a tutti i reati contestati.

           3. Anche il diniego della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari è stata

rapportata alle effettive esigenze cautelari con motivazione con la quale il ricorrente, anche in questo caso, non considera in termini critici.

            L’impressionante serialità degli episodi, le abilità tecniche non comuni anche per realizzare i furti di identità strumentali alle truffe, la predisposizione di mezzi per realizzare altri delitti, i precedenti specifici, l’elevata professionalità nel delinquere che continua ad impegnare le forze dell’ordine di varie localil:à italiane a seguito delle segnalazioni pervenute, la capacità di imprimere ai profitti illeciti una sorte destinata ad assicurare che i rischi siano compensati da adeguati benefici: sono tutti elementi che rendono concreto ed attuale il pericolo di recidiva e che escludono che in ambiente extra-murario il M. possa astenersi dalle condotte delittuose, in relazione a reati di spiccato allarme sociale, commessi da remoto e con uso spregiudicato dei sistemi informatici.

           4. L’inammissibilità del ricorso determina, a norma dell’articolo 616 cod. proc.

pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di  esonero, della somma ritenuta equa di C 3.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

          Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del

ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1- ter disp.

att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il giorno 7 luglio 2022

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