Avvocato per Estradizione in Belgio e Mandato di Arresto Europeo

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Avvocato per Estradizione in Belgio e Mandato di Arresto Europeo

Le strutture carcerarie belghe, come affermato dagli organismi europei ed internazionali, purtroppo, non garantiscono i diritti fondamentali ai detenuti. In caso di richiesta di consegna da parte del Belgio è necessario farsi assistere da un avvocato specializzato per l’estradizione in Belgio, se vuoi ricevere assistenza o consulenza legale in merito, puoi rivolgerti qui ad Avvocato Penalista H24 esperto in tema di mandato di arresto europeo e di estradizione in Belgio.

Nei due diversi casi che verranno esaminati, la Corte di Appello di Napoli ha disposto la consegna dei ricorrenti all’Autorità giudiziaria Belga in esecuzione del mandato di arresto europeo.

Va precisato che il Mandato d’Arresto Europeo (MAE) è una forma di estradizione semplificata affidata alle autorità giudiziarie dei Paesi membri dell’Unione Europea che si fonda sulla fiducia reciproca tra gli Stati dell’Unione. La semplificazione rispetto alla classica estradizione è rappresentata da una procedura più celere dove è eliminato il filtro del potere politico.

 

IL CASO OGGETTO DELLA SENTENZA N. 3641/2019 – SEZ. VI CORTE DI CASSAZIONE.

Il ricorrente impugnava la sentenza della Corte di Appello di Napoli per aver disposto l’estradizione in Belgio in violazione dell’art. 18 lett. h) della  legge 69/2005 che prevede il rifiuto della consegna quando sussiste un serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.

L’avvocato del ricorrente aveva all’uopo segnalato le pronunce della Corte di Cassazione e della Corte EDU e la Dichiarazione Pubblica emessa in data 13/7/2017 dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa (CPT) in cui si dava atto della persistente incapacità delle Autorità belghe ad assicurare un servizio minimo tale da garantire il rispetto dei diritti dei detenuti in caso di agitazione sindacale del personale penitenziario e dell’esistenza del rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti correlati alle condizioni degli istituti carcerari del Belgio.

La Corte di Appello di Napoli aveva escluso tale rischio sulla scorta delle informazioni ricevute dal Direttore del Servizio Pubblico Federale di Giustizia del Belgio, le quali assicuravano che la persona richiesta sarebbe stata ristretta nel carcere  di Anversa nel pieno rispetto dei diritti umani e degli standard internazionali.

La VI sezione della Corte di Cassazione ricordava che, secondo quanto chiarito da stessa Corte di legittimità sulla scorta delle indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea, il motivo di rifiuto della consegna correlato al “serio pericolo” che la persona venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, impone di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro (basandosi su “elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati” sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione), se, in concreto, la persona oggetto del M.A.E. potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, sicché a tal fine può essere richiesta allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare necessaria (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu).

Ebbene, nel caso di specie, la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, evidenziava l’errore in cui era incorsa la Corte di Appello nel non valutare la documentazione prodotta dal ricorrente – a mezzo di un avvocato esperto per l’estradizione in Belgio – afferente il concreto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti derivante dagli scioperi o altre azioni collettive degli agenti penitenziari.

In data 7/6/2018, le Autorità belghe, in risposta al CPT, si impegnavano ad adottare uno strumento legislativo per risolvere la questione e per assicurare che  le norme minime per i detenuti continuino a essere garantite anche durante gli scioperi del personale carcerario.

La Corte di Cassazione concludeva che, sebbene siano state attivate delle procedure per eliminare la suddetta situazione di rischio, nel caso in esame tale situazione non risulta allo stato superata, ragione per cui l’art. 18 lett h) risultava violato.

Pertanto, i giudici di legittimità annullavano la sentenza impugnata rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli affinché, una volta acquisite le informazioni aggiornate circa l’istituzione di un meccanismo che assicuri il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti nel caso di scioperi del personale penitenziario, proceda ad un nuovo giudizio circa la sussistenza delle ragioni di rifiuto di cui all’art. 18 lett. h).

 

IL CASO OGGETTO DELLA SENTENZA N. 8916/2018 – SEZ. VI CORTE DI CASSAZIONE.

Il ricorrente impugnava la sentenza della Corte di Appello di Napoli per aver disposto la sua estradizione in belgio in violazione dell’art. 18 lett. h) legge 69/2005 omettendo qualsivoglia verifica sulle condizioni carcerarie del Belgio nonostante l’avvocato avesse allegato la documentazione comprovante il rischio di trattamento inumano e degradante per la persona consegnata.

L’avvocato del ricorrente eccepiva altresì che la Corte non aveva valutato in concreto tutte le condanne irrevocabili ed i procedimenti pendenti in Italia relative al ricorrente, ritenendo erroneamente più gravi i reati oggetto del mandato di arresto europeo e negando il differimento della consegna a giustizia italiana soddisfatta.

La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso,  rilevava che la Corte di Appello aveva erroneamente respinto la doglianza riguardante il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti correlati alla situazione carceraria in Belgio senza disporre l’acquisizione di informazioni e accertamenti integrativi ai sensi dell’art. 16 L. 69/2005.

Infatti, la Corte di Appello di Napoli aveva ritenuto superati i problemi strutturali delle carceri belghe evidenziati dalla Corte EDU senza procedere ai necessari accertamenti e svalutando la Dichiarazione Pubblica adottata dal CPT nel 2017 dove si denunciava proprio il rischio di assoggettamento dei detenuti delle carceri belghe ai trattamenti inumani e degradanti.

Proprio in relazione alla situazione delle carceri del Belgio, la Corte di Cassazione aveva già chiarito che, in tema di mandato di arresto europeo emesso dall’Autorità Giudiziaria belga, la condizione di rischio connessa a problemi di tipo strutturale che possono tradursi nella sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti, evidenziata dalla sentenza Vasilescu c. Belgio del 25/11/2014 della Corte europea dei diritti dell’uomo, impone all’autorità giudiziaria richiesta della consegna di verificare in concreto la sussistenza di tale rischio, correlata alla condizione degli istituti carcerari dello Stato di emissione, attraverso la richiesta di informazioni individualizzate allo Stato richiedente relative al tipo di trattamento carcerario cui sarebbe, specificamente, sottoposto il soggetto interessato (Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017,Bernard Pascale).

Il secondo motivo di doglianza, invece, risultava assorbito dal primo motivo.

Ma i giudici di legittimità,  al riguardo, ricordavano che la Corte d’appello ha la facoltà di rinviare la consegna per consentire alla persona richiesta di essere sottoposta a procedimento penale in Italia per un reato diverso da quello oggetto del mandato d’arresto, e che tale facoltà implica una valutazione di opportunità che deve tener conto della gravità dei reati, della loro data di consumazione, ma anche di altri parametri, quali lo stato di restrizione della libertà, la complessità dei procedimenti, la fase o il grado in cui essi si trovano, l’eventuale definizione con sentenza passata in giudicato, l’entità della pena da scontare e le prevedibili modalità della sua esecuzione (Sez. 6, n. 26877 del 25/05/2017).

In conclusione, la Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Napoli perché proceda ad un nuovo giudizio circa la sussistenza del motivo di rifiuto di cui all’art. 18 cit.

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