Trattenersi illegalmente nello Stato è reato.

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Trattenersi illegalmente nello Stato è reato.

Con la sentenza annotata la Corte di cassazione ha stabilito che la condotta di ingresso illegale nel territorio ed il trattenimento nello stesso dello straniero irregolare è ancora da considerarsi reato a tutti gli effetti, non essendo intervenuta in merito la depenalizzazione prevista con la legge numero 67 del 2014.

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Con sentenza emessa il 14 dicembre 2015 il Giudice di pace di Sassari dichiarò non doversi procedere nei confronti di B. G., di nazionalità senegalese, in ordine alla contestata contravvenzione consistita nell’avere costui fatto ingresso ed essersi poi trattenuto illegalmente, fino al 6 luglio 2013, nel territorio dello Stato (art. 10-bis, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998), sul rilievo che il fatto non era più previsto dalla legge come reato, in quanto «depenalizzato, con recenti disposizioni normative in merito».

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica della Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, deducendo che la sentenza avrebbe violato la legge dal momento che la delega per la depenalizzazione della contravvenzione contestata, contenuta nell’art. 2, comma 3, della legge n. 67 del 2014 non aveva ancora avuto attuazione e che la depenalizzazione era stata espressamente esclusa nello schema di decreto legislativo (A.G. 145) trasmesso dal Governo al Parlamento il 17 novembre 2015.

Al momento dell’emissione della sentenza era in vigore la legge n. 27 del 2014, recante, per quanto qui interessa, delega al Governo in materia di riforma del sistema sanzionatorio; che l’art. 2, comma 1, della citata legge aveva delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili in ordine alle specifiche fattispecie al tempo previste dalla legge come reato secondo i principi e criteri direttivi specificati nei successivi commi 2 e 3; che, per quanto qui interessa, il comma 3, lett. b), del citato art. 2, prevedeva espressamente che il Governo potesse «abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall’articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia». Quindi la condotta di trattenimento illegale nel territorio dello Stato doveva ancora considerarsi reato.

Il giorno dell’emissione della sentenza l’attività oggetto della delega legislativa non era ancora stata esercitata dal Governo: il reato previsto dall’art. 10- bis del citato d.lgs. n. 286 del 1988 non era dunque stato abrogato e trasformato in illecito amministrativo, non avendo la legge delega attuazione immediata fino all’emanazione del decreto delegato (in questo senso, cfr., per tutte, Cass. Sez. 1, n. 44977 del 19 settembre 2014, P.G. in proc. Ndiaye, Rv. 261124; Cass. Sez. 7, n. 6961 del 17 aprile 2015, Argouioun, non massimata);

A tale momento il comportamento contestato all’imputato (ingresso illegale sul territorio dello stato) era ancora previsto come reato; la sentenza è dunque affetta da vizio di violazione di legge, avendo erroneamente supposto che la legge n. 27 del 2014 avesse espressamente abrogato e trasformato in illecito amministrativo il reato oggetto della contestazione fatta all’imputato;

Nella relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 8 del 2016, attuativo della specifica delega in discussione, si legge da un lato che «ciascuna previsione di depenalizzazione ha autonomia strutturale rispetto all’intero contesto di prescrizioni impartite al legislatore delegato» (con la conseguenza che il Governo non è dalla legge di delega obbligato ad esercitare in ogni caso l’attività di depenalizzazione delegata) e, dall’altro, in specifico riferimento al reato previsto dall’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1988, che, «nonostante la condizione posta dalla Commissione giustizia della Camera dei deputati», il Governo ritenne di non esercitare la delega sul rilievo che «le ragioni politiche sottese alla scelta di non attuare le direttive di depenalizzazione vanno parimenti ricercate nel carattere particolarmente sensibile degli interessi coinvolti dalle fattispecie in esame: per tali materie, in assenza di un intervento sistematico di più ampio respiro, lo strumento repressivo penale appare, invero, indispensabile ai fini della composizione del conflitto innescato dalla commissione dell’illecito»;

L’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 8 del 2016, recante “Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell’articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67”, espressamente prevede che non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda; che, tuttavia, per le sopra indicate ragioni di scelta politica (in questa sede non sindacabili), il comma 4 dello stesso art. 1 espressamente esclude l’applicabilità della disposizione testé menzionata quanto ai reati previsti dal d.lgs. n. 286 del 1998.

Per effetto di tale specifica esclusione, il fatto contestato all’imputato Gueye (ingresso e trattenimento illegale nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 286 del 1998) è ancora previsto come contravvenzione dall’art. 10-bis, comma 1, del citato d.lgs. n. 286; che la sentenza impugnata, caratterizzata dalla evidenziata violazione di legge, deve dunque essere annullata; con conseguente rinvio al Giudice di pace di Sassari (nel caso di specie, relativo a sentenza inappellabile, ad altro giudice appartenente all’ufficio del Giudice di pace di Sassari, ex art. 623 cod.proc.pen.: in questo senso, cfr., per tutte, Cass. Sez. 1, n. 36216 del 23 settembre 2010, P.G. in proc. Ssahhl Moamed, Rv. 248279; Cass. Sez. 5, n. 2669 del 6 novembre 2015, dep. 2016, PG. in proc. Raspini, Rv. 265711) per un nuovo giudizio che si conformi al principio sopra enunciato.

P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Giudice di pace di Sassari.

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