La modifica della localizzazione di un edificio integra una variazione essenziali dell’immobile rispetto al progetto, che rende applicabile le sanzioni penali previste dell’art. 44 comma primo del D.P.R. 380 del 2001, qualora si sia in presenza di una traslazione tale da comportare lo spostamento del fabbricato su un’area totalmente o pressochè totalmente, diversa da quella originariamente prevista (Cass. pen. sez. 3 n. 52860 del 2018).
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Cosa ha stabilito la Corte di cassazione?
La Corte di Cassazione, con la predetta pronuncia n. 52860/2018, è stata chiamata ad esaminare il ricorso per cassazione proposto dal sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame che annullava il decreto di sequestro preventivo del manufatto e del fondo pertinente, in relazione al reato di cui all’art. 44 del d.P.R. 380/2001 (norma che sanziona penalmente l’inosservanza delle norme, delle prescrizioni e delle modalità esecutive previste in materia di attività urbanistica-edilizia) per avere l’indagata, quale proprietaria, edificato un fabbricato in posizione diversa e con una parziale rotazione rispetto a quanto previsto nel progetto allegato al permesso di costruire, dunque con una variazione essenziale al progetto approvato per la demolizione e ricostruzione del fabbricato.
Con tale ordinanza il Tribunale del Riesame di Sassari aveva sostenuto che all’epoca della realizzazione della condotta illecita, ovvero nel 2015, la roteazione o traslazione del manufatto rispetto al progetto originario non costituiva variazione essenziale, vigendo al momento dei fatti l’art. 5 della legge regionale 23 ottobre 1985, che è stato modificata in senso sfavorevole all’imputata con le legge regionale n. 11/2017, contenente una nozione più ampia di “variazioni essenziali”; tuttavia la nuova previsione normativa non era applicabile al caso di specie, stante il principio di irretroattività della norma più sfavorevole di cui all’art. 2 cod. pen.
C’è variazione essenziale dell’immobile?
Con l’impugnazione di tale ordinanza, la Corte ha dovuto affrontare la questione se, alla stregua della legislazione vigente all’epoca dei fatti, tale modifica della localizzazione dell’edificio integra o meno una variazione essenziale.
La risposta negativa fornita sul punto dal Tribunale del Riesame è fondata sull’esclusione della variazione compiuta dall’indagata in una delle ipotesi di variazioni essenziali di cui all’art. 5 della legge sarda n. 23 del 1985 e sull’inapplicabilità al caso di specie dello ius superveniens rappresentato dalla nuova e più sfavorevole legge regionale n. 11 del 2017 che ha incluso nel concetto di variazione essenziale anche le modifiche determinate dalla roteazione su qualunque asse o traslazione dell’edificio.
La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso tramite l’ argomentazione che segue.
Quali sono le variazioni essenziali dell’immobile?
Il d.P.R. 380/2001 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) all’art. 31 disciplina gli “interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire in totale difformità o con variazioni essenziali”, prevedendo al comma 1 che devono intendersi tali gli interventi che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile.
Il successivo art. 32 dispone poi che, fermo restando quanto disposto dal comma 1 del citato art. 31, le Regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni:
- mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standard previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968;
- aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato;
- modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
- mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
- violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali.
Sul punto la giurisprudenza di legittimità è assolutamente pacifica nel ritenere che:
- le cd. “varianti leggere o minori”, poiché non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia e non alterano la sagoma dell’edificio, oltre a rispettare le prescrizioni eventualmente contenute nel permesso a costruire, sono assoggettate alla mera denuncia di inizio dell’attività da presentarsi prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori;
- le varianti in senso proprio, consistono in modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato (tali, cioè, da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione), pertanto necessitano del rilascio del cd. “permesso in variante”, complementare ed accessorio rispetto all’originario permesso a costruire;
- le cd. “varianti essenziali”, caratterizzate da “incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati all’art. 32 del P.R. n. 380 del 2001, sono invece soggette al rilascio di un permesso a costruire
nuovo ed autonomo rispetto a quello originario in osservanza delle disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante.
Quando la modifica della destinazione d’uso diventa reato?
Con risalente pronuncia della Corte di legittimità, si è chiarito che, in tema di reati edilizi, rientra nel novero delle opere interne non soggette a concessione od autorizzazione, e non integra pertanto violazione della legge penale, la destinazione a vani abitabili di locali originariamente utilizzati a fine di sgombero, ottenuta mediante l’esecuzione di lavori che non determinano aumento di cubatura o di superficie ne’ mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito (Sez. 3, n. 8332 del 30/06/1994, Cannarsa, Rv. 198780 – 01), da cui, a contrario, l’affermazione secondo cui l’aumento di volumetria in assenza di permesso a costruire, integra nuova opera per cui è richiesto il permesso a costruire e, nel caso di zone vincolate, anche l’autorizzazione paesaggistica.
In continuità, in epoca più recente, è stato precisato che la modifica di destinazione d’uso è integrata anche dalla realizzazione di sole opere interne (Sez. 3, n. 7755 del 21/01/2021, Duranti, Rv. 280911 – 01 con richiami a precedenti: Sez.3, n.27713 del 20/05/2010, Rv.247919 – 01, in fattispecie di mutamento in abitazione del sottotetto mediante la predisposizione di impianti tecnologici sottotraccia; Sez. F, n.43885 del 30/08/2012, Rv.253585 – 01, secondo cui la trasformazione di una cantina in mini-appartamento eseguita in zona vincolata richiede il preventivo rilascio sia del permesso di costruire che dell’autorizzazione paesaggistica, potendo anche le sole opere interne integrare una modifica di destinazione d’uso penalmente rilevante (Sez.3, n. 42453 del 07/05/2015, Rv.265191 — 01).
Frazionamento o accorpamento di unità immobiliari: è reato?
In tema di reati urbanistici, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 17 comma primo lett. b), n.1 e 2 del D.L. n. 133 del 2014 (conv. in legge n. 164 del 2014), deve ritenersi ampliata la categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, comprensiva anche del frazionamento o accorpamento di unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti una variazione di superficie o del carico urbanistico, per i quali pertanto, ove rimangano immutate la volumetria complessiva e la originaria destinazione d’uso, non è più necessario il permesso di costruire. (Sez. 3, n. 31618 del 14/01/2015 – dep. 21/07/2015, Rv. 264496 – 01).
È tuttavia altrettanto vero che il cambio di utilizzo dei locali accessori in due distinte unità abitative in difformità dello stato autorizzato dell’immobile, necessita del permesso di costruire.
Sul punto, merita infatti di essere chiarito che, nell’ambito di un’unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi «accessori» che, secondo lo strumento urbanistico vigente, non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire: autorimesse, cantine e “locali di servizio” rientrano, di norma, in questa categoria.
Perciò non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage, di un magazzino o di una soffitta in un locale abitabile; senza considerare i profili igienico-sanitari di abitabilità del vano, in ogni caso si configura, infatti, un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volume- tria autorizzate con l’originario permesso di costruire.
Quindi, deve ritenersi che il cambio di destinazione d’uso tra locali accessori e vani ad uso residenziale integra una modificazione edilizia con effetti incidenti sul carico urbanistico, con conseguente assoggettamento al regime del permesso di costruire, e ciò indipendentemente dall’esecuzione di opere.
Rapporto tra la normativa dello Stato e quella regionale
L’attenzione della Corte si sposta, poi, all’ esame del rapporto tra la normativa statale e regionale in materia edilizia.
In materia di legislazione edilizia nelle Regioni a statuto speciale, sebbene spetti alla Regione la competenza esclusiva, la relativa legislazione deve non solo rispettare i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale, ma deve anche essere interpretata in modo da non collidere con i medesimi.
Per quanto concerne la disciplina delle “variazioni essenziali” è chiaramente ravvisabile un contrasto tra la normativa statale, che include nella suddetta nozione anche le modifiche sostanziali della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza (art. 31 del d.P.R. 380/2001), e la legge regionale sarda (art. 5 l. n. 23/1985), che invece non vi contempla tale tipologia di intervento.
La legislazione regionale non ha tenuto conto della norma statale che ai fini dell’individuazione del concetto di essenzialità delle variazioni aveva fornito dei parametri ben precisi, sacrificando in tal modo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia penale.
La legislazione sarda in tema di abuso edilzio
La legislazione regionale sarda, successivamente, ha posto rimedio alla lacuna dell’art. 5 della legge regionale n. 23/1985, attraverso l’emanazione della legge regionale n. 11 del 3 luglio 2017, che ha inserito nella nozione di “variazioni essenziali” ogni modifica della localizzazione dell’edificio all’interno del lotto urbanistico di pertinenza determinata a seguito di rotazione su qualunque asse o traslazione, qualora la sovrapposizione della sagoma a terra dell’edificio autorizzato e di quello realizzato sia inferiore al 50 per cento.
Ma tale norma non era stata applicata al caso di specie poiché successiva ai fatti e ritenuta più sfavorevole.
Invero, chiarisce la Corte che tale normativa potrebbe in concreto rivelarsi più favorevole all’indagata: difatti, la novella legislativa regionale, in coerenza con l’art. 32 del d.P.R. 380/2001, nell’ampliare il concetto di “variazioni essenziali” anche alle modifiche della localizzazione dell’edificio, ha individuato un limite dimensionale, stabilendo la configurabilità della traslazione qualora la sovrapposizione della sagoma a terra dell’edificio autorizzato e di quello realizzato sia inferiore al 50%.
La legge regionale sarda ha, così, fornito un criterio empirico idoneo a definire l’ambito di rilevanza del tipo di variazione essenziale, di guisa da attribuire ai giudici di merito il compito di verificare l’entità della traslazione dell’edificio al fine di accertare se la stessa possa essere ritenuta o meno una “variazione essenziale”, alla luce del limite fissato dal legislatore regionale.
Nel caso che ci occupa la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata rinviando al Tribunale di Sassari, perché in sede di merito, alla luce del limite fissato nella legge regionale, vada a verificare in che misura si è concretizzata la roteazione per valutare la configurabilità della variazione essenziale punita dall’art. 44 d.P.R. 380/2001.
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