Con la nota decisione in tema di Coltivazione Domestica di Cannabis, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (quindi il massimo Giudice in Italia dopo la Corte Costituzionale), con una sentenza storica, ha definito i confini del reato di coltivazione domestica di Cannabis. Avvocato Coltivazione Domestica Cannabis ti spiega quando sussiste oppure no il reato previsto dal Testo Unico Sugli Stupefacenti (DPR 309 del 1990).
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Indice dei contenuti
Il caso trattato dalla Corte di cassazione
Il Sig. C. G. era stato condannato, oltre che per aver ceduto uno spinello ad un minorenne, anche per aver coltivato due piante di marijuana.
La Corte di appello aveva ritenuto offensiva la condotta di coltivazione delle due piante di marijuana (l’una alta un metro e con diciotto rami, l’altra, alta 1,15 mt., con venti rami) in considerazione della loro avanzata fase di crescita.
I Giudici del merito condannavano l’imputato anche per la coltivazione domestica di cannabis.
A tal fine la sentenza di condanna citava il principio di diritto secondo il quale
«ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta non è esclusa dal mancato compimento del processo di maturazione dei vegetali, neppure quando risulti l’assenza di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, se gli arbusti sono prevedibilmente in grado di rendere, all’esito di un fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti, in quanto il “coltivare” è attività che si riferisce all’intero ciclo evolutivo dell’organismo biologico»
(Sez. 6, n. 10931 del 01/02/2017, Rv. 270495).
Quindi Secondo i Giudici della Corte di Appello, la pianta avrebbe comunque prodotto capace di generare l’effetto stupefacente e, dunque, l’imputato andava condannato.
Quali erano i precedenti della Corte di cassazione?
Su tale aspetto i Giudice della Corte di Cassazione avevano precedentemente intrapreso due strade diverse.
In sintesi, secondo un primo indirizzo, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (Sez. 3, n. 36037 del 22/02/2017, Compagnini, Rv. 271805; Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168; Sez. 6, n. 5254 del 10/11/2015, Pezzato, Rv. 265641; Sez. 6, n. 33835 del 08/04/2014, Piredda, Rv. 260170).
Secondo un diverso orientamento, ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, l’offensività della condotta consiste nella sua idoneità a produrre la sostanza per il consumo, sicché non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ma la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente, nell’obiettivo di scongiurare il rischio di diffusione futura della sostanza stupefacente (Sez. 6, n. 35654 del 28/04/2017, Nerini, Rv. 270544; Sez. 53337 del 23/11/2016, Trabanelli, Rv. 268695; Sez. 6, n. 52547 del 22/11/2016, Losi, Rv. 268938; Sez. 6, n. 25057 del 10/05/2016, Iaffaldano, Rv. 266974; Sez. 3, n. 23881 del 23/02/2016, Damioli, Rv. 267382).
L’ordinanza di rimessione
Nel caso del Sig. C. G. la Corte di Cassazione Sezione Terza Sezione Penale, con l’ordinanza n. 35436 del 2019 del giorno 11.06.2019 ha ritenuto di dover investire le Sezioni Unite per la rilevanza della questione in gioco e per il contrasto che si era generato in difformi decisioni intervenute in precedenza.
Il quesito di diritto chiesto alle Sezioni Unite era il seguente:
«se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia idonea, per grado di maturazione, a produrre sostanza per il consumo, non rilevando la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se è necessario verificare anche che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato».
Corte di cassazione Sezioni Unite
Cosa ha deciso la Corte di cassazione a sezione unite?
Rispondendo al quesito di diritto formulato dalla Corte di Cassazione Sezione Terza Penale, le Sezioni Unite hanno stabilito che:
<<Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.
Devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore>>
Corte di cassazione Sezioni Unite
La coltivazione domestica di cannabis è reato?
Secondo la Corte di Cassazione a Sezioni Unite sì, rappresenta un reato, ogni qual volta la pianta, in qualsiasi stato si trovi, abbia l’attitudine a produrre sostanza stupefacente da immettere nel mercato della droga e non esclusivamente destinata all’immediato consumo personale.
Diversamente, non configurano il reato di coltivazione di cannabis quando questa sia svolta
- in forma domestica;
- con tecniche rudimentali;
- siano utilizzate scarso numero di piante;
- il quantitativo di sostanza ricavabile sia modesto;
- e la sostanza sia destinata esclusivamente all’uso personale e non vada ad incrementare il mercato illecito del traffico di sostanze stupefacenti.
Le Sezioni Unite con la citata sentenza – dopo avere affermato che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza ad effetto stupefacente – hanno precisato che non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto.
Quindi la coltivazione domestica non è sempre reato ma lo diventa solo a determinate condizioni.
Quale è la soglia di THC al di sotto della quale non sussiste il reato?
Le Sezioni unite hanno, inoltre, affrontato il tema delle soglie di percentuali di THC che, secondo alcuni orientamenti, costituivano il discrimine della liceità
della commercializzazione dei suddetti prodotti. Venivano in considerazione, cioè, i valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7 legge 2 dicembre 2016, n. 242 per la coltivazione della canapa, volti a tutelare esclusivamente l’agricoltore che, pur impiegando qualità consentite, nell’ambito della filiera agroalimentare delineata dalla legge, coltivi canapa che, nel corso del ciclo produttivo, risulti contenere, nella struttura, una percentuale di THC compresa tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento, ovvero superiore a tale limite massimo.
Il comma 5 stabilisce invero che, nel primo caso, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge; il comma 7, nel prevedere la possibilità che vengano disposti il sequestro o la distruzione delle coltivazioni di canapa che, se pure impiantate nel rispetto delle disposizioni stabilite dalla legge, presentino un contenuto di THC superiore allo 0,6 per cento, ribadisce che, anche in tal caso, è esclusa la responsabilità dell’agricoltore.
Secondo le Sezioni unite, erroneamente le richiamate percentuali di THC sono state valorizzate, al fine di affermare la liceità della commercializzazione dei derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L., ove contenenti percentuali inferiori allo 0,6 per cento ovvero allo 0,2 per cento. Pertanto, la commercializzazione di cannabis sativa L. o dei suoi derivati, diversi da quelli elencati dalla legge del 2016, integra il reato di cui all’art. 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309/1990, anche se il contenuto di THC sia inferiore alle concentrazioni indicate all’art. 4, commi 5 e 7 della legge del 2016.
Né poteva venire in considerazione, ai fini della configurabilità della ipotesi delittuosa di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, il superamento della dose media giornaliera: già, infatti, le Sezioni unite avevano in precedenza affermato che quel che rileva è soltanto la circostanza che la sostanza ceduta abbia effetto drogante per la singola assunzione dello stupefacente (Sez. U, n. 47472 del 29/11/2007, Di Rocco, Rv. 237856), e che è quindi indispensabile che il giudice di merito verifichi la concreta offensività della condotta, riferita alla idoneità della sostanza a produrre un effetto drogante (Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920).
Cosa è cambiato dopo la sentenza della Corte di Giustizia sulla commercializzazione del Cannabidiolo?
La sentenza della CGUE (Corte di Giustizia dell’Unione Europea) non si pone in contrasto con il detto insegnamento, ma si limita ad affermare che «Gli articoli 34 e 36 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del Cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento», in tal modo facendo salva la persistenza di divieti finalizzati alla tutela della salute pubblica, quale deve ritenersi quello penalmente sanzionato dal d.P.R. n. 309/1990 e, soprattutto, non incidendo sulla normativa nazionale, avente rilievo penale, in materia di sostanze stupefacenti. Peraltro, occorre considerare che il CBD di cui tratta la detta sentenza è un componente chimico della cannabis che pacificamente non ha effetti stupefacenti, a differenza del THC, sicché anche sotto questo profilo la sentenza citata non ha effettiva incidenza sulla concreta fattispecie di che trattasi (cfr. Cassazione Sez. IV n. 10012 del 2021).
Quali sono le conseguenze a cui vado incontro se coltivo cannabis?
Fai Attenzione! Con questa sentenza la coltivazione domestica di cannabis non diventa legale. Ma, se ricorrono le circostanze che ti ho indicato, non si va sotto processo penale e non potrai essere condannato. Infatti, la sentenza della Corte di Cassazione esclude solo la rilevanza penale della condotta di coltivazione domestica di Cannabis.
Andrai incontro, molto probabilmente, alle sanzioni amministrative destinate ai soggetti assuntori di sostanze stupefacenti e previste dall’articolo 75 del Testo Unico sugli Stupefacenti il quale prevede, tra l’altro, che:
1. ((Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope e’ sottoposto, per un periodo da due mesi a un anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall’articolo 14, e per un periodo da uno a tre mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o piu’ delle seguenti sanzioni amministrative:))
a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneita’ alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni ;
b) sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
c) sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
d) sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.
L’interessato, inoltre, ricorrendone i presupposti, e’ invitato a seguire il programma terapeutico e socio-riabilitativo.
Sei sotto processo per coltivazione di cannabis, cosa devi fare?
Se la tua coltivazione è domestica, rudimentale, produrrà poca sostanza stupefacente ed è comunque destinata al consumo personale, secondo quanto stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 19.12.2019, dovrai essere assolto dall’accusa di coltivazione di cannabis.
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