Cittadino extracomunitario: è possibile il rifiuto della consegna in caso di mandato di arresto europeo?

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Cittadino extracomunitario: è possibile il rifiuto della consegna in caso di mandato di arresto europeo?

Nella sentenza qui riportata è stata assunta una importante decisione nell’ambito di un procedimento afferente una richiesta di consegna per mandato di arresto europeo di un cittadino extra comunitario. Secondo la decisione della Corte di cassazione il principio del radicamento sul territorio potrebbe essere applicato anche ai cittadini extra UE o quanto meno occorrerebbe attendere la decisione della Corte di Giustizia europea – sollecitata sul punto dalla Corte Costituzionale – proprio su tale specifica problematica.

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Ti riporto qui la sentenza della Suprema Corte di cassazione.

  SENTENZA

sul ricorso proposto da
H.A., nato in Marocco il 
avverso la sentenza del 5 maggio 2022 emessa dalla Corte di appello di Napoli
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere F.D’A. ;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale N.L. , che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni del difensore, avvocato D.M. , che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso;

 RITENUTO IN FATTO

        1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha disposto la consegna di A.H. all’autorità giudiziaria francese, in esecuzione di un mandato di arresto emesso in data 25 ottobre 2021 dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Montpellier per l’esecuzione della pena di due anni di reclusione, inflitta con la sentenza emessa dal Tribunale di Montpellier in data 25 giugno 2021 per i reati di ricettazione e dì associazione per delinquere finalizzata al furto di pannelli solari, accertati a Sete (Marsiglia) in data 12 ottobre 2016.

         2. L’avvocato D. M. ricorre avverso tale sentenza nell’interesse dell’H. e ne chiede l’annullamento deducendo due motivi.

         2.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nonché in relazione all’art. 117 Cost., anche con riferimento all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e agli artt. 2, 3, 31, 32, 34 e 38 della Costituzione.

     Premette il ricorrente che la Corte di appello di Napoli aveva rilevato che «nessun dubbio sussiste sull’effettivo radicamento in Italia dell’H. da oltre cinque anni, desumibile sia dalla copia della carta d’identità al medesimo rilasciata in data 14 settembre 2015 del Comune di Castel San Giorgio (SA), sia del permesso di soggiorno con la dicitura “soggiornante di lungo periodo”».

         La Corte di appello, tuttavia, aveva escluso l’applicazione del motivo di rifiuto facoltativo di cui all’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, in quanto «A.H. è nato in Marocco e non risulta avere la cittadinanza italiana né quella di altro Stato membro dell’Unione europea».

         Il ricorrente chiede, dunque, alla Corte di Cassazione di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis della legge n. 59 del 2006, nella parte in cui preclude in maniera assoluta e automatica il rifiuto della consegna di cittadini dì paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio italiano, indipendentemente dai legami che abbiano con quest’ultimo.

          Ad avviso del ricorrente, l’esclusione dei cittadini extra UE dall’ambito applicativo del motivo di rifiuto si rivela irragionevole e lesiva del finalismo rieducativo della pena.

        Per effetto di tale disposizione, dunque, il cittadino di Stato terzo, radicato nella società italiana, sarebbe privato della possibilità di espiare la pena detentiva irrogata dallo Stato membro in territorio italiano e, inoltre, per effetto della consegna subirebbe lo sradicamentodei legami famigliari e lavorativi e perderebbe la possibilità di godere delle misure alternative previste dall’ordinamento italiano.

         Il trattamento riservato ai cittadini di Stati esterni all’Unione europea sarebbe, dunque, irragionevolmente discriminatorio rispetto a quello dei cittadini degli Stati membri, come rilevato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 2 settembre 2021, nella causa C-350/21, con riferimento alla questione della concessione dell’assegno di natalità e di maternità in relazione all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

        2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’errata applicazione dell’art. 18-bis, comma 1, lett. b) della legge n. 69 del 2005, la violazione dell’art. 704 cod. proc. pen. e censura l’illegittimità dell’ordinanza con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di rinvio per consentire l’integrazione probatoria richiesta dal ricorrente.

         Deduce il ricorrente che nel procedimento n. 4619/2016 R.G.N.R. e n. 1842/2017 R.G.G.I.P. pendente innanzi al Tribunale di Livorno è stato contestato all’H.  il furto di pannelli fotovoltaici posto in essere a Vieste in data 11 ottobre 2016 e, dunque, il fatto contestato nella sentenza francese è il medesimo posto a fondamento del mandato di arresto per cui si procede.

          La medesimezza del fatto risulterebbe dalla lettura dell’ordinanza cautelare adottata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Livorno in data 2 ottobre 2017 e dall’informativa dei Carabinieri del Comando Provinciale di Livorno del 7 marzo 2017 allegate agli atti, dalle quali risulterebbe che l’H. è stato fermato in data 12 ottobre 2016 a Ventimiglia, mentre trasportava «un numero non meglio precisato di pannelli fotovoltaici risultati provento di furto a Vieste».

        La Corte di appello avrebbe, dunque, illegittimamente negato un ulteriore rinvio dell’udienza per documentare il bis in idem, violando l’art. 704 cod. proc. pen.

         3. Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, secondo la disciplina delineata dall’art. 23, comma 8, dl. n. 137 del 2020, conv. dalla legge n. 176 del 2020, prorogata per effetto dell’art. 16, comma 1, del d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 25 febbraio 2022.

        3.1. Con requisitoria e conclusioni scritte depositate in data 9 giugno 2022, il Procuratore Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

         Ad avviso del Procuratore generale il primo motivo sarebbe inammissibile, in quanto le censure, pur dedotte quale vizio di violazione di legge, attengono in realtà alla motivazione della decisione, laddove l’art. 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69, come modificato dall’art. 18 del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, non ammette avverso la sentenza, resa dalla Corte di appello sulla richiesta di consegna, il ricorso per cassazione per i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc.pen..

          Il secondo motivo, relativo alla configurazione di un’ipotesi di “litispendenza internazionale”, sarebbe infondato, in quanto la documentazione pertinente non sarebbe stata tempestivamente esibita dinanzi alla corte territoriale, né sarebbe possibile valutare per la prima volta, in sede di legittimità, se la condotta di ricettazione di cui alla condanna in Francia e il furto di cui al procedimento pendente in Italia riguardino i medesimi pannelli solari.

          3.2. In data 14 giugno 2022 il difensore del ricorrente ha depositato note di udienza nelle quali ha ribadito le proprie censure.

CONSIDERATO IN DIRITTO

          1. Il ricorso deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.

         2. Con il secondo motivo, che assume valenza preliminare, il ricorrente deduce l’errata applicazione dell’art. 18-bis, comma 1, lett. b) della legge n. 69 del 2005, la violazione dell’art. 704 cod. proc. pen. e censura l’illegittimità dell’ordinanza con la quale la Corte di appello ha rigettato la richiesta di rinvio per consentire l’integrazione probatoria richiesta dal ricorrente.

          3. Il motivo è, tuttavia, infondato.

          Il motivo di rifiuto facoltativo previsto dall’art. 18-bis, comma 1, lett. b), della legge n.69 del 2005 nel caso di specie non può trovare applicazione prima ancora di ogni considerazione relativa alla medesimezza o meno del fatto.

          L’art. 18-bis, inserito nella trama sistematica della legge n. 69 del 2005 dall’art. 6, comma 5, lett. a), della legge 4 ottobre 2019, n. 117 e successivamente sostituito dall’art. 15, comma 1, del d.lgs. 2 febbraio 2021, n. 10, prevede, infatti, al primo comma, che «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale, la corte di appello può rifiutare la consegna nei seguenti casi: … b) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo, nei confronti della persona ricercata è in corso un procedimento penale».

          Nel caso di specie, tuttavia, per quanto emerge dagli atti, il mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria francese è esecutivo, in quanto fondato su sentenza definitiva, e, dunque, non è stato emesso al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale.

         Il motivo di rifiuto eccepito dal ricorrente non può, pertanto, paralizzare la richiesta di consegna dell’autorità giudiziaria francese.

          4. Con il primo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, in relazione agli artt. 3 e 27 della Costituzione, nonché in relazione all’art. 117 Cost., anche con riferimento all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e agli artt. 2, 3, 31, 32, 34 e 38 della Costituzione.

         Il ricorrente chiede, dunque, alla Corte di Cassazione di annullare la sentenza impugnata o, comunque, di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art.18-bis, comma 2, della legge n. 59 del 2006, nella parte in cui preclude in maniera assoluta e automatica il rifiuto della consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio italiano, indipendentemente dai legami che essi abbiano con quest’ultimo.

         Ad avviso del ricorrente, l’esclusione dei cittadini extra UE dall’ambito applicativo del motivo di rifiuto si rivela irragionevole e lesiva del finalismo rieducativo della pena; per effetto della disposizione censurata, infatti, il cittadino di Stato terzo si vedrebbe privato della possibilità di espiare la pena detentiva irrogata dallo Stato membro in territorio italiano, sradicandolo dai legami familiari e lavorativi.

        5. Il motivo deve essere accolto nei limiti che di seguito si precisano.

        La Corte di appello di Napoli ha, infatti, rigettato la richiesta formulata dalla difesa di rinvio dell’udienza «per la produzione di ulteriore documentazione attestante che A.H.i è dimorante effettivamente in Italia da oltre cinque anni» e ha disposto la consegna dell’H. all’autorità giudiziaria francese, sulla base di un’interpretazione errata del motivo di rifiuto delineato dall’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 e senza considerare le questioni di legittimità costituzionale attualmente pendenti proprio in relazione a censure analoghe a quelle formulate dal ricorrente.

          6. L’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 prevede, infatti, che «Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna della persona ricercata che sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

          La Corte di appello di Napoli ha rilevato che nel caso di specie non può trovare applicazione il motivo di rifiuto facoltativo di cui all’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, in quanto «H.H. è nato in Marocco e non risulta avere la cittadinanza italiana né quella di altro Stato membro dell’Unione europea».

        La Corte di appello, tuttavia, con questa argomentazione ha obliterato che la questione posta dal ricorrente, relativa alla legittimità costituzionale dell’esclusione dei cittadini di Stato terzo dall’ambito applicativo dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, è stata devoluta all’esame della Corte costituzionale e ha formato oggetto di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

         7. La Corte costituzionale, chiamata dalla Corte d’appello di Bologna a delibare la legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, comma 1, lettera c), della legge 22 aprile 2005, n. 69, in relazione dall’art. 27, terzo comma, Cost., nonché con il diritto alla vita familiare dell’interessato, tutelato dall’art. 2 Cost. e dall’art. 117, primo comma, Cost. in relazione agli artt. 8 Convenzione europea dei diritti dell’uomo e 17,

paragrafo 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, nonché dagli artt. 11 e ancora 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, con ordinanza n. 217 del 2021, ha sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, le seguenti questioni pregiudiziali:

         a) se l’art. 4, punto 6, della direttiva 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli Stati membri, interpretato alla luce dell’art. 1, paragrafo 3, della medesima decisione quadro e dell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), osti a una normativa, come quella italiana, che – nel quadro di una procedura di mandato di arresto europeo finalizzato all’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza – precluda in maniera assoluta e automatica alle autorità giudiziarie di esecuzione di rifiutare la consegna di cittadini di paesi terzi che dimorino o risiedano sul suo territorio, indipendentemente dai legami che essi presentano con quest’ultimo;

       b) in caso di risposta affermativa alla prima questione, sulla base di quali criteri e presupposti tali legami debbano essere considerati tanto significativi da imporre all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna.

8. La questione della legittimità costituzionale dell’esclusione dei cittadini di Stati terzi dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, posta in relazione a plurimi parametri costituzionali interni e internazionali, oltre che del diritto dell’Unione europea, è, dunque, stata ritenuta dalla Corte costituzionale non manifestamente infondata, tanto da giustificare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

          Ritiene, dunque, il Collegio che, ancorché il precetto dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 contempli solo i cittadini italiani o di Stati membri, allo stato non possa essere disposta la consegna di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea che risultino legittimamente ed effettivamente residenti o dimoranti nel territorio italiano da almeno cinque anni in esecuzione di un mandato di arresto esecutivo.

        Ove, infatti, fosse disposta la consegna di questi cittadini si rischierebbe di ledere irrimediabilmente i loro diritti fondamentali, mentre l’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 è ancora soggetto a scrutinio di costituzionalità e pende il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla corretta interpretazione della disposizione della decisione quadro che ne costituisce il fondamento e il limite.

          La sospensione del procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale sulla norma sospetta di incostituzionalità, del resto, oltre a non essere contemplata dalla disciplina in tema di mandato di arresto europeo, è incompatibile con le rigide scansioni temporali che la connotano e priva la parte dell’accesso al Giudice della costituzionalità delle leggi, non consentendogli di costituirsi e di interloquire nel processo costituzionale.

         La Corte di appello di Napoli, dunque, a rigore, avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005, ove avesse accertato la rilevanza della stessa nel presente giudizio.

         9. La questione della legittimità costituzionale dell’esclusione del cittadino di Stato terzo, richiesto in consegna, dalle tutele in tema di radicamento ed esecuzione della pena sul territorio italiano previste dall’art. 18-bis, comma 2, della legge 22 aprile 1965, n. 69, non può, tuttavia, essere sollevata nel presente giudizio di legittimità, come richiesto dal ricorrente, in quanto la questione nel presente giudizio allo stato non è rilevante.

          La Corte di appello di Napoli ha, infatti, erroneamente interpretato il presupposto del motivo di rifiuto di cui all’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005.

          La Corte di appello ha, infatti, rigettato la richiesta formulata dalla difesa di rinvio dell’udienza «per la produzione di ulteriore documentazione attestante che A.H. è dimorante effettivamente in Italia da oltre cinque anni», rilevando che «nessun dubbio sussiste sull’effettivo radicamento in Italia dell’H.i da oltre cinque anni, desumibile sia dalla copia della carta d’identità al medesimo rilasciata in data 14 settembre 2015 del Comune di Castel San Giorgio (SA), sia del permesso di soggiorno con la dicitura “soggiornate di lungo periodo”».

         La Corte di appello, tuttavia, in questo modo ha operato un’arbitraria riduzione del presupposto del motivo di rifiuto, ritenendo che il radicamento fosse fondato solo sulla residenza o sulla dimora nel territorio italiano dell’H. da almeno cinque anni e obliterando che l’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 richiede che tale radicamento legittimo sia anche “effettivo”.

          Il richiamo all’effettività nella formulazione di questa disposizione, del resto, costituisce un chiaro riferimento, da parte del legislatore della riforma, al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, in tema di mandato di arresto europeo, la nozione di «residenza», rilevante ai fini del rifiuto della consegna, presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile da una serie di indici rivelatori, quali la legalità della presenza in Italia, l’apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest’ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, e il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali (ex plurimis: Sez. 6, n. 19389 del 25/06/2020, D., Rv. 279419 – 01; Sez. 6, n. 49992 del 30/10/2018, Anton, Rv. 274313 – 01; Sez. 6, n. 9767 del 26/02/2014, Echim, Rv. 259118 – 01; Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014 ,Batanas, Rv. 261375 – 01).

        D’altra parte, il radicamento effettivo costituisce proprio il presupposto fondante delle censure di legittimità costituzionale formulate dal ricorrente, in quanto solo il cittadino, anche se di Stato terzo, che risieda o dimori effettivamente in territorio italiano, può dedurre che la consegna, al fine di eseguire la pena detentiva in altro Stato membro, potrebbe determinare una lesione dei propri diritti fondamentali, pregiudicandone le possibilità di reinserimento sociale e sradicandolo dai legami famigliari e sociali.

          La Corte di Giustizia ha, peraltro, rilevato che «il motivo di non esecuzione facoltativa enunciato all’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 mira in particolare a consentire di accordare una particolare importanza alla possibilità di aumentare le opportunità del reinserimento sociale della persona ricercata alla scadenza della pena cui quest’ultima è stata condannata» e che «è quindi legittimo per lo Stato membro di esecuzione perseguire siffatto obiettivo soltanto nei confronti delle persone che abbiano dimostrato un sicuro grado di inserimento nella società di detto Stato membro» (Corte giustizia, 6/10/2009, in causa C-

123/08, Wolzenburg, p. 67).

        L’errata interpretazione dell’art. 18-bis, comma 2, della legge n. 69 del 2005 posta in essere dalla Corte di appello di Napoli, dunque, non consente di ritenere allo stato rilevante la questione di legittimità costituzionale di tale disposizione, in quanto difetta in radice l’accertamento del presupposto della continuativa presenza del ricorrente sul territorio italiano e, dunque, dell’effettività del suo, pur legittimo, radicamento.

         La Corte di appello di Napoli, dunque, rigettando la richiesta formulata dalla difesa di rinvio dell’udienza «per la produzione di ulteriore documentazione attestante che A.H. è dimorante effettivamente in Italia da oltre cinque anni», ha precluso al ricorrente la possibilità di dimostrare che il medesimo rientri nella categoria di cittadini di Stati terzi per i quali, in ragione del loro radicamento ultra quinquennale legale ed effettivo, la Corte costituzionale ha ritenuto la questione di costituzionalità già pendente non manifestamente infondata, e, dunque, la dimostrazione della rilevanza della questione stessa nel presente giudizio.

          Questo accertamento, tuttavia, non può essere svolto in sede di legittimità, in quanto l’art. 18 del d. Igs. 2 febbraio 2021, n. 10 ha modificato l’art. 22 della legge n. 69 del 2005, ammettendo il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla corte di appello sulla richiesta di consegna nella disciplina del mandato di arresto europeo solo «per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a),b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale», non solo ha limitato la cognizione Corte di Cassazione ai soli vizi di legittimità, escludendo i vizi di motivazione, ma ha anche soppresso il sindacato «anche nel merito» che spettava alla Corte di legittimità nella disciplina previgente (ex plurimis: Sez. 6, n. 8299 del 08/03/2022, Gheorge, Rv. 282911-01).

          10. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere accolto e deve essere disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della

Corte di appello di Napoli perché provveda ad accertare se sussista o meno l’effettività del radicamento del ricorrente in territorio italiano e a adottare i provvedimenti che si renderanno necessari all’esito di tale verifica.

P.Q.M.

      Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.

Così deciso il 27/06/2022.

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