Era stata condannata in primo grado di giudizio per il reato di minaccia previsto e punito dall’art. 612 cod. pen. nonché al pagamento delle spese processuali oltre al risarcimento del danno a favore del suo ex marito. In fase di appello, grazie all’operato del nostro studio legale, l’imputata è stata assolta con formula piena.
In questo articolo ti spiego i motivi per cui il Giudice di Appello ha assolto la nostra assistita.
Indice dei contenuti
Il capo d’imputazione
La competente Procura della Repubblica ha mandato sotto processo la nostra assistita poiché aveva minacciato il suo ex marito di un male ingiusto, proferendo le seguenti parole:
‘Ricchione, sei un uomo senza palle, ti faccio venire la gente di mezzo la strada e ti faccio vedere’
Per tale accusa, come anticipato, la donna era stata condannata davanti al Giudice di Pace di Torre Annunziata anche alla refusione delle spese processuali oltre al risarcimento dei danni a favore del suo ex marito.
Si riporta in basso il capo d’imputazione.
La condanna patita nel primo grado di giudizio
Il giudice di primo grado aveva ritenuto ‘verosimile’ il male prospettato dall’imputata al suo ex marito.
Ad avviso del Giudicante, questo si poteva affermare in base al ‘contesto sociale in cui afferma di vivere l’imputata’, ovverosia nel quartiere denominato ‘Cicerone’ di Castellammare di Stabia in provincia di Napoli.
Ciò, secondo l’avviso del giudicante, rendeva verosimile il male prospettato così da ‘generare la preoccupazione e il timore del destinatario’.
Sulla base di queste affermazioni e per il solo fatto che l’imputata vivesse in un quartiere che il Giudice ha ritenuto essere malfamato, si è pervenuti alla sentenza di condanna ritenendo che l’imputata potesse effettivamente realizzare il male prospettato cioè quello di far dare una lezione al suo ex marito da parte di ‘gente di mezzo alla strada’.
La condanna è apparsa, al nostro team di avvocati, sin da subito ingiusta ed illegittima.
L’appello proposto dal difensore di fiducia Avv. Vincenzo Ezio Esposito
Dopo la condanna in primo grado di giudizio, il difensore dell’imputata – l’Avv. Vincenzo Ezio Esposito – ha proposto nei termini di legge atto di impugnazione avverso la sentenza prima decisione: la condanna subita in primo grado era palesemente ingiusta e l’intento era quello di ribaltare il verdetto di primo grado.
L’Avvocato dello studio legale Avvocato Penalista H24 ha proposto i seguenti motivi di appello.
L’imputata non aveva rapporti con persone malavitose.
Il difensore rappresentava con l’impugnazione che non risultava provata la frequentazione tra l’imputata e ‘persone malavitose e comunque di malaffare’.
Nel processo accusatorio, l’onere probatorio grava sulla pubblica accusa e, nel procedimento penale a cui era stata ingiustamente sottoposto la nostra assistita, non era stata affatto provata la circostanza che l’imputata potesse servirsi di persone malavitose e dunque poter azionare il male minacciato riportato nel capo d’accusa.
Anzi, l’imputata risulta tutt’ora essere persona assolutamente incensurata e dunque nessun dato consentiva di far ritenere che la stessa frequentasse persone del ‘malaffare’.
La verosimiglianza del male prospettato, dunque, era ricavata attraverso ragionamento logico inammissibile e discriminatorio: per il sol fatto che l’imputata vivesse nel quartiere denominato ‘Cicerone’ valeva – secondo il Giudice di primo grado – ad attribuire a costei la frequentazione di persone malavitose e dunque la possibilità di azionare il male prospettato alla persona offesa.
Tale ragionamento appariva – secondo la difesa e per come scritto nei motivi di appello – essere violativo del generale principio della presunzione d’innocenza nonché dell’indefettibile presupposto che la condanna dell’imputato possa intervenire solo qualora la colpevolezza sia provata al di là di ogni ragionevole dubbio.
Vivere in un quartiere ritenuto essere popolare non è una colpa
In maniera del tutto assertiva si assumeva nella sentenza di condanna di primo grado che il contesto territoriale ‘Cicerone’ fosse una zona mal frequentata di Castellammare di Stabia e che dunque – chi vivesse in quel contesto – poteva servirsi di persone pronte a dare attuazione a qualsivoglia pretesa minatoria prospettata nei confronti di terze persone.
Tale ragionamento deduttivo, di caratura certamente assertiva, non consentiva – a parere della difesa – di derogare lo standard probatorio necessario (che si attesta sul rigoroso principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio) per addivenire alla condanna di un presunto innocente.
Infatti, in base ai richiamati principi, spettava all’accusa provare tutti gli elementi costitutivi del fatto di reato e la loro riconducibilità all’imputato senza che permanga in proposito alcun ragionevole dubbio.
In sostanza l’accusa doveva provare che la nostra assistita avesse conoscenza di persone pronte a dare una lezione all’ex marito.
Il canone di valutazione dell’oltre ogni ragionevole dubbio
Affinché il parametro dell’al di là del ragionevole dubbio sia rispettato occorre che il reato sia attribuibile all’imputato con un alto grado di credibilità razionale: ciò significa che le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, devono risultare prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana (Cass. Sezione IV Penale, 3 maggio – 5 ottobre 2016, n. 41968).
Ritenere legittimo il ragionamento posto a sostegno del giudizio di condanna, portava all’assurda considerazione discriminatoria di poter condannare per minaccia tutti gli abitanti di certe zone residenziali considerate di seconda fascia poiché in astratto avrebbero potuto frequentare persone del ‘malaffare’ pronte a portare a termine azioni illecite.
Portando ad estreme conseguenze il ragionamento posto a sostegno della sentenza impugnata, si giungerebbe ad una considerazione paradossale: se l’imputata avesse vissuto in un contesto sociale di più alto livello, sarebbe stata assolta in quanto non avrebbe potuto essere attuata la richiesta minatoria.
Un assurdo!
L’insussistenza del delitto di minaccia ex art. 612 cod. pen.
Nel caso della propria assistita, secondo quanto sostenuto dall’Avv. Vincenzo Ezio Esposito – non ricorreva la sussistenza giuridica del delitto di minaccia previsto dall’art. 612 cod. pen..
Come emergeva dal capo d’imputazione, e come peraltro riferito dal teste in udienza, la minaccia che sarebbe stata posta in essere dall’imputata non presentava un riferimento esplicito, chiaro ed inequivocabile ad un male ingiusto, che potesse, in considerazione delle concrete circostanze di tempo e di luogo, generare timore in chi risulti esserne il destinatario (Sez. 5,n. 51246 del 30/09/2014), riferimento questo quantomeno non univocamente ravvisabile nella fattispecie anche in ragione della genericità del danno “minacciato”.
La prospettazione del male ingiusto deve comunque DIPENDERE DALLA VOLONTÀ DELL’AGENTE e, nel caso di specie, non è stato provato – per le ragioni anzidette – che l’imputata potesse effettivamente servirsi di persone malavitose o, quanto meno, ciò non può essere ricavato dal dato che l’imputata vivesse nel ‘Cicerone’.
L’inidoneità dell’azione delittuosa contestata all’imputata
Nel giudizio di primo merito – secondo l’avvocato – si sarebbe dovuto appurare se il ‘faccio venire la gente di mezzo alla strada’ sarebbe potuto dipendere dalla volontà dell’agente quale elemento caratterizzante del delitto in parola quale nesso tra la condotta e l’evento astrattamente verificabile che deve NECESSARIAMENTE DIPENDERE DALLA DISPONIBILITÀ DI QUEL MALE DA PARTE DI CHI LO PROSPETTA (cfr. Cass. Sez. V nr. 7511/2000) la cui non ricorrenza comporta la insussistenza giuridica del reato di minaccia ovvero la INIDONEITÀ DELL’AZIONE EX ART. 49 COD. PEN. IN QUANTO IMPOSSIBILE L’EVENTO DANNOSO O PERICOLOSO.
Sul punto la persona offesa – ovvero l’ex marito della nostra assistita – non aveva rappresentato che l’imputata avesse delle conoscenze o frequentazioni con soggetti intranei a fenomeni mafiosi locali in guisa tale da poter astrattamente disporre della possibilità di poter porre in essere il male che sarebbe stato prospettato; inoltre, l’imputata è persona incensurata ed il timore che potesse fruire di conoscenze malavitose era meramente assertivo ed immaginario.
Per tali motivazione, dunque, la minaccia era POTENZIALMENTE non idonea ad incutere timore alla p.o. in maniera tale da incidere sulla libertà morale del soggetto passivo, elemento questo essenziale per la configurabilità dell’art. 612 cod. pen. pur non occorrendo la effettiva coartazione della vittima.
La decisione del Giudice di Appello.
Come perfettamente riscontrabile, il Giudice di Appello ha pienamente condiviso la linea difensiva proposta dall’Avvocato assoluzione reato minaccia.
Ti allego qui parte della sentenza di assoluzione con la quale il Giudice ha mandato assolta – con formula piena – l’assistita dell’Avv. Vincenzo Ezio Esposito annullando anche il risarcimento del danno che la stessa – a causa della condanna patita in primo grado – avrebbe dovuto corrispondere al suo ex marito.
In maniera chiara e puntuale, il Giudice di Appello ha reso una motivazione giusta e conforme al diritto con riferimento al reato di minaccia previsto e punito dall’art. 612 cod. pen..
La condanna di una brava persona sarebbe stata profondamente ingiusta e fortemente discriminatoria.
Il processo penale a cui è stata sottoposta l’assistita di avvocato assoluzione reato minaccia non poteva che concludersi positivamente.
Perché rivolgersi ad un avvocato esperto nel trattare il reato di minaccia?
Come avrai potuto comprendere, quella trattata, è una materia complessa, delicata e richiede particolari e specifiche competenze professionali che non tutti gli avvocati posseggono.
È sempre consigliabile, dunque, affidarsi ad uno competente Avvocato Assoluzione Reato Minaccia esperto in materia, che conosca bene la materia giuridica trattata di modo che, sin da subito, vi sia la massima garanzia del diritto di difesa, disponendo la strategia difensiva più opportuna al caso specifico.
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