La relazione finale della Commissione voluta dalla Ministra Cartabia per la riforma sistema carcerario: come potrebbe cambiare la vita dei detenuti e di chi opera all’interno dei penitenziari italiani? Leggi l’articolo per sapere quali sono i nuovi benefici penitenziari previsti dalla riforma.
Se hai bisogno di un avvocato per benefici penitenziari e vuoi delle delucidazioni in merito a quali sono i diritti a cui il detenuto può accedere, non esitare a contattare il nostro studio legale il quale si occupa da anni dei diritti delle persone recluse.
Dunque, passiamo adesso ad esaminare la riforma penitenziaria ed i nuovi benefici penitenziari ma, prima, dobbiamo fare delle doverose premesse.
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Premessa
“Non fatemi vedere i vostri palazzi, ma le vostre galere, perché da esse si misura il grado di civiltà di un popolo”.
Con questa frase Voltaire, padre dell’Illuminismo, ben rappresentava l’esigenza, che dovrebbe animare qualunque Nazione, di rivolgere costanti attenzioni ai sistemi penitenziari e alle condizioni di vita dei condannati.
La realtà è, effettivamente, un’altra.
Gli istituti penitenziari italiani sono sempre più spesso luoghi di segregazione e ghettizzazione della popolazione detenuta, luoghi le cui dinamiche sono sempre meno accessibili alla società, rimanendo oscure tutti i meccanismi che all’interno vi si agitano.
Tanto è evidente solo agli operatori del Diritto e, specificamente, gli operatori del Diritto Penitenziario, ovverosia chi, a vario titolo, ha contatti con la popolazione detenuta.
Nell’accostarsi all’argomento che di seguito si passa a trattare occorre abbandonare qualunque forma di partigianeria, da un lato (sono tristemente frequenti i casi in cui i disservizi delle carceri e le disfunzioni del sistema penitenziario sono denunciati, ancor prima che dai detenuti, dagli Operatori penitenziari, a partire dalla Polizia Penitenziaria), e accogliere una visione della pena, forse sempre più distante dal comun sentire, ma certamente più coerente con il ruolo che la Legge attribuisce ad essa: la funzione rieducativa e risocializzante.
Prima di addentrarsi nel sistema penitenziario, è necessario evidenziare la delicatezza della materia: lo Stato ritiene che la commissione di un reato recida un legame, il legame tra società e soggetto deviante.
Questo postula un assunto: commettere un reato (e non si pensi necessariamente ai reati più aberranti, in cui tale cesura è evidente) implica la rottura di un patto, quello tra reo e il resto della società. Si rende evidente, quindi, che lo Stato ben deve calibrare “quando” un fatto è reato e, soprattutto, quanto tempo può servire al soggetto deviante per ricostruire quel patto che ha reciso.
Il paradosso risiede qui: si pretende di tentare di ricucire quello strappo tra detenuto e società segregando il primo, isolandolo dalla società medesima, separandolo dal tessuto sociale ed emarginandolo all’interno di quattro mura.
Tanto trova una sua giustificazione nella condivisibile ottica della prevenzione di commissione di reati e di salvaguardia della comunità dei consociati, certamente.
Ma non vi è dubbio che se non si lavora, come suggerito da Voltaire, all’interno degli Istituti di Pena, per favorire il reinserimento del condannato nella società, lo stesso ne uscirà solo maggiormente de-socializzato.
Agli Operatori del Diritto è tristemente noto che il carcere, privo di controllo e privo di attenzioni alle esigenze della popolazione ivi detenuta, diventa spesso una fucina delinquenziale.
Orbene, la riforma che la Commissione ha stilato, sotto la spinta del Ministro della Giustizia, si pone come chiaro obbiettivo quello di favorire il reinserimento sociale dei condannati, malgrado dalla società questi siano esclusi, ovverosia quella tematica centrale, perno dell’intero sistema penitenziario, di evidente delicatezza: favorire la risocializzazione di un soggetto che non è all’interno della società.
Si può dire, senza timore di essere smentiti, che tale proposito che pure avrebbe dovuto animare lo Stato in tutte le sue articolazioni, non è stato mai preso in seria considerazione, tanto che ha ceduto il passo alle esigenze meramente preventive di nuove commissioni di reati e di sicurezza sociale.
Il problema che maggiormente affligge gli Istituti di Pena è quello del sovraffollamento, che, evidentemente, contribuisce ad accrescere l’effetto desocializzante sopra illustrato.
A marzo 2019, su 46.904 posti disponibili nei 191 istituti di pena, erano presenti 60.512 detenuti, ossia 13.608 in più rispetto alla capienza regolamentare, con un sovraffollamento del 129 per cento.
Se, poi, il sovraffollamento si inserisce in un carcere dotato di strutture vetuste e fatiscenti, ecco che la carcerazione, lungi dall’essere una pena finalizzata al reinserimento sociale, diventa un mero strumento di repressione.
Oltretutto, ad una situazione del genere si aggiunge un altro grave problema: la carenza di personale di polizia e degli altri ruoli dell’amministrazione penitenziaria.
Analoga situazione riguarda il personale dei ruoli socio-pedagogici, dei ruoli amministrativi e di tutti gli altri profili dell’amministrazione penitenziaria.
Per non parlare, poi, del personale medico e paramedico.
Indubbiamente, una situazione del genere non aiuta a mantenere tranquilla la situazione delle carceri in Italia.
Non è un caso, pertanto, che nelle carceri italiane si registrino in media quattro/cinque suicidi al mese, e non solo da parte dei detenuti.
Sono dati allarmanti, dei quali troppo poco si parla, perché, si ribadisce, troppo poco si sa dei carceri.
La normativa costituzionale e dell’Unione Europea
L’art. 27 della Costituzione stabilisce che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Inoltre, l’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti Dell’Uomo stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamenti inumani e degradanti”.
La Corte Edu, oltre a condannare gli abusi compiuti da agenti dello Stato, è passata più recentemente ad affermare che l’art. 3 tutela il diritto “a essere detenuto in condizioni che devono essere compatibili con il rispetto della dignità umana”: essa verifica in pratica la sussistenza di un maltrattamento che raggiunga un “minimo di gravità”, da valutare “relativamente” alla situazione di specie. Sugli Stati incombono obblighi negativi, di astensione: non sottomettere i detenuti a condizioni di detenzione che siano costitutive di un maltrattamento contrario all’art. 3; ed obblighi positivi, d’azione: assicurare condizioni di detenzione conformi alla dignità umana. Non è più tollerabile che gli Stati membri mantengano legislazioni contrarie alla giurisprudenza della Corte Edu (che vincola anche l’Ue in virtù dell’art. 6 Tue), arrivando sinanche a non applicare le proprie leggi di tutela dei diritti dei detenuti e negandogli di ricorrere contro le violazioni dei loro diritti.
Le linee della Commissione in commento si pongono proprio l’obbiettivo di evitare che le disposizioni di cui all’art. 27 della Costituzione e di cui all’art. 3 CEDU non rimangano una lustra, un mantra da ripetere, ma vengano dotati di effettività.
D’altronde, proprio facendo ricorso all’art. 3 CEDU l’Italia è stata sanzionata dall’Unione Europea per la situazione degli Istituti di Pena distribuiti sul territorio, ed è in ragione di tale articolo che è stata riconosciuta la possibilità dei condannati di usufruire di un risarcimento (o di uno sconto di pena) ove detenuti in condizioni di sovraffollamento.
Le novità elaborate dalla Commissione
La Commissione tratta gran parte dei punti che incrinano il sistema penitenziario nazionale, ponendo punti incisivi in ordine alla quotidianità penitenziaria al fine di conformarla agli standard costituzionali e sovranazionali.
Andando nel dettaglio: queste sono le principali novità:
– viene prevista la presenza in ogni penitenziario, almeno una volta al mese, di un funzionario comunale per garantire il compimento di atti giuridici ai detenuti, nonché, su richiesta del Direttore, di funzionari degli uffici consolari o della Questura.
Si ricorda, infatti, che oltre il 30% della popolazione carceraria è composta da cittadini stranieri.
– Una novità importante è quella che abolisce la riduzione dello stipendio in favore dei detenuti che svolgono attività lavorativa all’interno dell’istituto e alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria.
– Viene riconosciuto un sistema elettivo di rappresentanza dei detenuti e viene, altresì, allargata la possibilità di ottenere i permessi anche nei casi di “particolare rilevanza” e non solo, come attualmente è, nei casi di “particolare gravità”.
– Vengono incentivati i colloqui a distanza con i familiari, anche al fine di evitare l’ingresso negli Istituti di Pena di figli minori.
– Addirittura, si prevede l’utilizzo di strumenti informatici concessi ai detenuti per contattare i familiari, quali apparecchi telefonici e pc, pur con le cautele del caso.
Si prevede la realizzazione di totem touch all’interno degli Istituti per le richieste dei detenuti, con un terminale multimediale, fruibile in diverse lingue, che consenta di sostituire il cartaceo per una gestione telematica delle richieste.
– Sull’altro versante, si stabilisce un importante incremento dell’organico, non solo del personale di Polizia, ma anche del personale preposto all’Osservazione e ai servizi Socio-assistenziali.
– Sul fronte salute si prevede l’istituzione di un fascicolo sanitario per ogni detenuto e aumento del personale anche al fine di ridurre il preoccupante tasso di suicidi che si verificano all’interno degli Istituti.
Commento
Come tutte le riforme, anche questa, sicuramente mirabile nel suo intento, e sicuramente più di altre, se non è concretamente affidata a uomini consapevoli del proprio ruolo rischia di rimanere sulla carta.
La fatiscenza delle strutture e la carenza di personale difficilmente possono essere sopperiti attraverso interventi normativi, ancorché animati da profonda onestà d’intenti.
Non vi è dubbio che la riforma ponga, finalmente, in primo piano i diritti dei detenuti, e non vi è dubbio che gli strumenti preposti, astrattamente, siano finalizzati al raggiungimento dello scopo che la Commissione si è prefissata di raggiungere.
Tuttavia, la realtà è un’altra.
In effetti, l’Ordinamento Penitenziario è colmo di disposizioni finalizzate al recupero del condannato, tanto che, a parere di chi scrive, una piccola parte delle innovazioni proposte dalla Commissione possono apparire perfino superflue: la presenza di un funzionario comunale, la possibilità di favorire i colloqui da remoto con i familiari, l’incremento di personale, sono tutte questioni non più demandabili e che, tuttavia, a poco servono se non accompagnate da un ammodernamento delle infrastrutture e, soprattutto, a un incremento delle misure alternative alla detenzione, unico vero e serio deterrente al problema del sovraffollamento, e delle conseguenze che ne discendono.
Sembra, poi, che si sia persa l’occasione di regolamentare meglio i colloqui tra detenuti ed avvocati.
In numerosi Istituti penitenziari, infatti, è prevista – da regolamento interno – la possibilità per gli avvocati di interloquire coi propri assistiti mediante applicativi da remoto.
Non si comprende per quale motivo si regolamentino i colloqui tra detenuti e familiari, in questo senso, e alcun cenno si faccia in ordine ai colloqui tra detenuti e rispettivi difensori.
Vi è di più: si è certamente perduta l’occasione di regolamentare le telefonate da parte dei difensori con i propri assistiti d’iniziativa dell’avvocato.
Ancora oggi, infatti, solo il detenuto può contattare il proprio difensore, e non viceversa.
Ci si auspica, allora, che la concretizzazione della riforma, certamente meritevole di plauso, sia affidata a mani esperte, competenti e consapevoli dei propri ruoli.
Come possiamo aiutarti?
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