Aprire una società a Dubai (negli Emirati Arabi Uniti) può sembrare all’apparenza molto semplice ma, spesso, non si considerano i rischi che si corrono facendo le cose in maniera affrettata e senza la dovuta attenzione.
La legge italiana e il trattato relativo al divieto di doppia imposizione tra Italia ed Emirati Arabi Uniti disciplinano le modalità e le tempistiche relativamente al pagamento delle imposte sui ricavi di soggetti residenti in uno dei predetti Stati.
Appare opportuno chiarire, sin da subito, che questo articolo si riferisce a chi si occupa di fornire ‘servizi digitali’, infatti, secondo quella che è la normativa di riferimento sopra menzionata, anche i creators digitali, i fornitori di servizi e-commerce e business online, soggiacciono alla tassazione italiana in determinati casi: vediamo quali sono e quali conseguenze possono materializzarsi se non si osserva scrupolosamente la disciplina di riferimento.
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Indice dei contenuti
Cosa prevede la legge italiana ed il trattato tra Emirati Arabi Uniti ed Italia nel caso di stabile organizzazione?
La legge italiana nonché la Convenzione tra UAE ed Italia afferente il divieto di doppia imposizione fiscale e prevede che i redditi percepiti dalle società nonché dalle persone fisiche residenti in uno dei predetti Stati sono imponibili ove gli stessi sono maturati.
Quindi non conta solo la residenza della persona oppure della società che offre il servizio (anche digitale) per sottrarsi alla tassazione nazionale.
Nella sostanza una persona (ed una società) residente a Dubai può – anzi deve – pagare le tasse in Italia quando ricorrono determinati presupposti.
Ma quali sono questi presupposti? Il concetto a cui fare riferimento è senza dubbio quello relativo alla ‘Stabile Organizzazione’.
Vediamo cosa debba intendersi per stabile organizzazione.
Qual è la definizione di Stabile Organizzazione?
La definizione di Stabile Organizzazione in Italia è contenuta nell’articolo 162, comma 1, del DPR n 917/86.
Questa può essere considerata una
sede fissa d’affari per mezzo della quale un’impresa non residente esercita tutta o parte della sua attività nel territorio dello Stato.
Con il termine “sede fissa” si intende un apparato strumentale, fisicamente tangibile ovvero una delimitazione di territorio situato in maniera durevole in Italia.
Attenzione però, la legge n. 205/2017, ha apportato significative modifiche alla disciplina della stabile organizzazione ed ai criteri per la sua determinazione e riformula le tradizionali categorie della stabile organizzazione materiale e personale.
Infatti – con riferimento al nostro tema – la definizione di ‘stabile organizzazione in Italia senza presenza fisica’ è fornita dall’art. 162 del DPR n. 917 del 1986 al comma 2 lettera f-bis) e prevede:
“una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio dello stesso”.
Esiste dunque la
– Stabile Organizzazione Materiale con consistenza fisica. Presenza fisica dell’impresa in Italia (ufficio, magazzino, etc)
– Stabile Organizzazione Materiale senza consistenza fisica. Esercizio in Italia di attività online con server sito web ed utenti italiani;
– Stabile Organizzazione Personale. Presenza in Italia di un soggetto che operi contrattualmente per conto dell’impresa estera chiudendo contratti.
Quindi, in base alla predetta legge, anche l’azienda che assicura ‘servizi digitali’ (come ad esempio e-commerce, vendita di corsi di formazione, dropshipping etc.) può essere considerata una stabile organizzazione in Italia e, dunque, deve versare le tasse in Italia.
Cosa prevede l’articolo 5 del Modello OCSE: Stabile Organizzazione non fisica
Quanto sino ad ora detto è previsto anche da fonti sovranazionali dunque, il problema, non è solo relativo a chi intraprende un business digitale tra Italia ed Emirati Arabi Uniti ma, diversamente, deve crearselo anche chi costituisce la società al di fuori dei predetti paesi.
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), infatti, ha elaborato un modello di convenzione contro la doppia imposizione fiscale, che viene utilizzato come base per la stipula di accordi bilaterali tra diversi paesi.
Esso prevede regole per evitare la doppia imposizione fiscale sui redditi e sul patrimonio, definisce le aliquote fiscali applicabili e stabilisce le procedure per la risoluzione delle controversie fiscali tra i paesi.
All’articolo 5, il Modello OCSE, ha previsto la possibilità di individuare una Stabile Organizzazione senza presenza fisica quando comunque vi è una presenza immateriale dell’azienda in Italia: è dunque il caso dei fornitori di servizi digitali che non hanno una sede fisica in Italia.
Con l’articolo 5 del modello di convenzione sono state, infatti, ampliate le possibilità di imputare i relativi profitti, in tutto o in parte, ad altra giurisdizione, in virtù della definizione di Stabile Organizzazione in Italia.
Dunque, anche chi apre una società in Delaware (USA) non può sfuggire alla tassazione italiana quando ricorrono determinati presupposti.
Ma quali sono questi presupposti? Vediamoli insieme.
Quali sono gli indicatori della stabile organizzazione non fisica?
Per valutare la presenza di una Stabile Organizzazione in Italia di tipo materiale è necessario prendere a riferimento alcuni indicatori la cui ricorrenza determina la necessità di far fronte all’imposizione fiscale italiana.
Orbene, la ricorrenza sistematica e la dimensione dei ricavi costituiscono il più chiaro indicatore della potenziale esistenza della stabile organizzazione.
Nel senso, se tutti i clienti (o la maggior parte di essi) sono Italiani e, dunque, i ricavi provengono dall’Italia, è ovvio che vige l’imposizione fiscale italiana a cui certo non ci si può sottrarre.
Tuttavia, gli indicatori sopra menzionati devono essere considerati insieme ad altri elementi di carattere tecnico quali:
- l’utilizzo di un nome di dominio locale;
- una caratterizzazione locale della piattaforma digitale in termini di lingua e tradizioni dei consumatori;
- ovvero l’utilizzo di metodi di pagamento locali per prezzi espressi in valuta locale e comprensivi di tasse, dazi e altri oneri;
- inoltre, vanno tenuti in conto altri fattori come quelli legati all’utenza, quali:
- il numero di utenti mensili attivi (Monthly Active Users – MAU);
- la regolare conclusione di contratti on line con gli utenti;
- il volume di dati raccolti presso gli utenti o i clienti abitualmente residenti in quello Stato.
È chiaro che la ricorrenza di tali circostanze obbliga il prestatore di ‘servizi digitali’ a corrispondere le imposte in Italia (se chiaramente parliamo di un soggetto italiano che vende i suoi prodotti digitali in Italia ed a clienti italiani).
Ciò è vero anche se la residenza è a Dubai e non ci sono uffici fisici in Italia.
Stiamo parlando di tassazione ed imposizioni fiscale: ma a quale tassazione facciamo riferimento nello specifico?
Qual è la tassazione italiana di una stabile organizzazione non fisica?
La stabile organizzazione di un’impresa nello Stato Italiano rende applicabile la disciplina in materia di IVA ai sensi e per gli effetti del DPR 633 del 1972.
Quindi, a tutti gli effetti, per i ricavi connessi all’esercizio di impresa di una società che deve ritenersi una stabile organizzazione in Italia -nei termini come sopra stabiliti- deve essere predisposto il versamento dell’IVA ed il pagamento di qualsiasi tributo previsto per legge.
Ma quali sono dunque i rischi di un italiano che apre una società a Dubai e vende -quasi esclusivamente- i suoi ‘servizi digitali’ in Italia ed agli italiani?
Te lo spiego nel paragrafo successivo.
Apertura società a Dubai senza considerare la stabile organizzazione: quali sono i rischi?
Chiariti quali sono i presupposti e le condizioni per poter considerare una stabile organizzazione in Italia nonostante la sede fisica sia a Dubai, vediamo quali sono i rischi connessi al mancato versamenti delle imposte in Italia.
L’articolo che si assume violato in questi casi è l’art. 5 del Decreto Legislativo 74 del 2000 ovverosia il reato di ‘omessa dichiarazione’ meglio noto come ‘esterovestizione’ nel caso di società all’estero.
Per comodità, ritengo sia utile riportare il testo del sopra menzionato articolo qui sotto:
Art. 5 Decreto Legislativo 74 del 2000
1. È punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.
1-bis. È punito con la reclusione da due a cinque anni(2) chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila.
2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto.
In caso di processo per tale violazione e, dunque, di condanna, il Giudice disporrà anche il sequestro finalizzato alla confisca delle somme di denaro che non sono state versate all’erario in base a quanto previsto dall’art. 12 del Decreto Legislativo 74 del 2000 secondo cui:
1. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto.
2. La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.
Dunque appare chiaro che le conseguenze di una scelta imprenditoriale errata può comportare l’apertura di un procedimento penale con condanna e confisca nei termini sopra indicati.
Quindi appare opportuno che -qualora ne ricorrano i presupposti- occorrerà dotarsi di una stabile organizzazione in Italia anche nel caso in cui l’oggetto del proprio business a Dubai sia afferente la fornitura di ‘servizi digitali’.
Altrimenti ci saranno dei problemi con il fisco italiano in tema di esterovestizione.
Ma vediamo adesso come aprire una stabile organizzazione in Italia.
Come aprire una stabile organizzazione in Italia?
La procedura da attuare per aprire una stabile organizzazione in Italia prevede determinati e tassativi passaggi, ovverosia:
- Verbale di istituzione di sede secondaria in Italia;
- Nomina rappresentante della Stabile Organizzazione;
- Attivazione della casella PEC;
- Deposito presso notaio di verbale e statuto (entro 45 giorni);
- Deposito presso Registro delle Imprese (di solito a cura del notaio);
- Richiesta codice fiscale e partita Iva all’Agenzia delle Entrate;
- Iscrizione Inail se vi sono dipendenti;
- Iscrizione all’Inps (se ricorrono i requisiti);
- La redazione del verbale di istituzione di sede secondaria in Italia;
- Il primo passo è la redazione del verbale. Il consiglio di amministrazione della società estera assume la decisione, di cui viene redatto verbale, di aprire la sede secondaria in Italia della società. Nel medesimo atto deve essere nominato un rappresentante preposto alla sede secondaria italiana;
- Deposito degli atti presso un notaio italiano;
- Entro 45 giorni dalla data dell’atto, il verbale di istituzione della Stabile Organizzazione e lo statuto societario, accompagnati da una traduzione in lingua italiana, asseverata dal Tribunale, devono essere depositati presso un notaio in Italia. Entro 30 giorni il notaio deve depositare gli atti al Registro delle Imprese. Dall’avvenuta iscrizione nel Registro delle Imprese la Stabile Organizzazione può operare;
- Nella domanda di iscrizione deve essere indicata l’indirizzo della casella P.E.C. della società estera, che, pertanto deve provvedere quanto prima ad attivarne una. Infine, l’impresa comunica all’Agenzia delle Entrate e agli enti assicurativi e previdenziali, l’istituzione di sede secondaria in Italia, richiedendo l’attribuzione di codice fiscale e partita Iva.
Questi adempimenti sono dunque tutti necessari affinché si possa aprire una stabile organizzazione in Italia ed evitare di incorrere nella problematica che prima abbiamo trattato ovverosia l’esterovestizione prevista dall’art. 5 Decreto Legislativo 74 del 2000.
Abbiamo dunque chiarito alcuni aspetti afferenti la spinosa tematica relativa all’apertura delle società all’estero e -nel caso specifico- a Dubai che spesso viene prospettata come semplice ma in realtà cela degli aspetti problematici che vanno senza dubbio trattati.
Qualora volessi ricevere una consulenza specifica sull’argomento relativo all’evasione fiscale ed esterovestizione che ho trattato in questo articolo non esitare a contattarci utilizzando il form di contatto che trovi in fondo a questa pagina, uno dei nostri esperti sarà disponibile a fornirti l’adeguata assistenza che fa al tuo caso per evitare di incorrere in problematiche legali.