Sequestro Probatorio dati informatici: cosa è e cosa fare?

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Sequestro Probatorio dati informatici: cosa è e cosa fare?

In questo articolo ti spiego cosa devi fare nel caso in cui tu abbia subito un sequestro probatorio di dati informatici contenuti all’interno di un cellulare, di uno smartphone, di un pc ovvero di un tablet.

All’interno di essi, sono sicuro, c’è tutta la tua vita nonché ci sono tutti i tuoi ‘segreti’ e non vedi l’ora di recuperare il supporto per evitare che la tua vita vada a rotoli.

Se nutri questa esigenza, non preoccuparti, ti aiuteremo noi a farti capire come devi comportarti e cosa devi fare.

Se vuoi immediatamente una consulenza legale, non esitare a contattarci, un avvocato specializzato in sequestro probatorio di dati informatici sarà pronto a fornire le risposte di cui necessiti attraverso una consulenza on line h24.

Mettiti comodo, adesso ti spiego innanzitutto cosa è un sequestro probatorio e, successivamente, cosa si può fare avverso questo sequestro.

Cosa si intende per sequestro probatorio? 

Il sequestro probatorio è uno dei mezzi di ricerca della prova previsto dal codice di procedura penale e, precisamente, è rubricato all’art. 253.

Il suddetto articolo, prevede che:

1. L’autorità giudiziaria dispone con decreto motivato [103, 354] il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti [187].

2. Sono corpo del reato le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo [240 c.p.].

3. Al sequestro procede personalmente l’autorità giudiziaria ovvero un ufficiale di polizia giudiziaria [57] delegato con lo stesso decreto(1).

4. Copia del decreto di sequestro è consegnata all’interessato, se presente [368].

Il sequestro probatorio è utilizzato per l’acquisizione del corpo del reato o cose pertinenti ad esso. Esso mira ad assicurare al procedimento quelle res necessarie per l’accertamento dei fatti.

Può essere adottato dall’Autorità Giudiziaria con decreto motivato ed esso è strettamente connesso alla perquisizione essendone spesso una diretta conseguenza.

Infatti, attraverso la perquisizione, si ricercano il corpo del reato o cose pertinenti ad esso mentre, con il sequestro probatorio le stesse si acquisiscono formalmente per la successiva utilizzazione nel processo penale.

Chi dispone il sequestro probatorio?

Ad adottare il sequestro probatorio è il Pubblico Ministero attraverso un decreto motivato ovverosia un atto a sua firma nel quale indica, tra le altre cose, il reato ipotizzato e perché bisogna procedere al sequestro probatorio.

Se non è possibile attendere l’intervento del Pubblico Ministero, il sequestro probatorio è fatto dalla Polizia Giudiziaria ma esso deve essere successivamente convalidato dall’Autorità Giudiziaria.

Quanto dura il sequestro probatorio?

Il sequestro probatorio dura fino a quando non è più necessario ai fini di prova; in tali casi le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, anche prima della sentenza. 

Se occorre, l’autorità giudiziaria prescrive di presentare a ogni richiesta le cose restituite e a tal fine può imporre cauzione.

È bene chiarire che la legge non limita la durata del sequestro probatorio alla fase delle indagini preliminari, ben potendo lo stesso perdurare anche nella fase del giudizio o, addirittura, essere soltanto in tale fase disposto. 

Del resto – com’è noto (cfr., ad. es., artt. 190, comma 1, 493 e 495 cod. proc. pen.) – nel rito ordinario la prova si forma nella fase processuale propriamente detta, sicché è del tutto fisiologico che nel corso della stessa perduri la necessità del mantenimento del sequestro a fini di prova. 

Questo vale anche con riguardo allo svolgimento di indagini od all’acquisizione di dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche e necessitano quindi di accertamenti peritali disposti dal giudice (art. 220, comma 1, cod. proc. pen.) o comunque effettuati da consulenti tecnici di parte anche al di fuori dei casi di perizia, ex art. 233 cod. proc. pen., il cui comma 1-bis espressamente prevede anche la possibilità di esaminare le cose sequestrate da parte del consulente (della parte privata, ma lo stesso ovviamente vale anche per il c.t. del pubblico ministero). 

Del resto, ai fini delle richieste di prova nel giudizio, ex art. 430 cod. proc. pen., il pubblico ministero e il difensore possono compiere attività integrativa di indagine – con l’unico limite, che non rileva ai fini di cui qui si discute, degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del suo difensore – anche nel caso di già avvenuto esercizio dell’azione penale cui sia conseguito il rinvio a giudizio (ciò che vale pure quando si sia proceduto con citazione diretta), trattandosi, peraltro, di prerogativa di carattere generale non soggetta ad alcun limite cronologico finale e che può essere svolta durante il dibattimento, senza che possa essere circoscritta entro i termini stabiliti dall’art. 468 cod. proc. pen. o in quelli coincidenti con gli adempimenti richiamati dall’art. 493 cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 31512 del 24/04/2012, Barbaro e aa., Rv. 254028). 

Si è addirittura affermato che il pubblico ministero può svolgere attività integrativa d’indagine anche successivamente, ai fini di presentare richieste di rinnovazione dell’istruzione nel giudizio d’appello, e ciò in coerenza con il principio della parità delle parti nel processo stabilito dall’art. 111, comma secondo, Cost. posto che il difensore è legittimato allo svolgimento di attività di investigazione difensiva in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell’art. 327 bis, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 50893 del 12/11/2014, Cafà, Rv. 261484; per l’affermazione di analogo principio, v. Sez. 5, n. 40467 del 16/04/2018, Torino e aa., Rv. 273884). 

La principale ratio decidendi del provvedimento impugnato – laddove si afferma che, «in ogni caso…le esigenze probatorie (che) non possono certamente configurarsi dopo più di 18 mesi dal sequestro, allorché è ormai spirato il termine delle ii.pp.» – ne rivela pertanto l’illegittimità per violazione dell’art. 262, comma 1, cod. proc. pen., ciò che, incidendo sulla stessa iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, integra una nullità di ordine generale, ex art. 178, lett. b), cod. proc. pen. che ben può essere fatta valere con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen..

Inoltre, con specifico riferimento al sequestro probatorio di dati informatici, il Pubblico Ministero: 

  • a) non può trattenere la c.d. copia integrale dei dati appresi se non per il tempo strettamente necessario alla loro selezione; 
  • b) è tenuto a predisporre una adeguata organizzazione per compiere la selezione in questione nel tempo più breve possibile, soprattutto nel caso in cui i dati siano stati sequestrati a persone estranee al reato per cui si procede; 
  • c) compiute le operazioni di selezione, la c.d. copia – integrale deve essere restituita agli aventi diritto.

La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all’imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell’articolo 316 (sequestro conservativo) ovvero quando il sequestro è mantenuto ai fini preventivi ed il giudice provvede a norma dell’articolo 321 (sequestro preventivo).

Nel caso in cui non debba attuarsi un sequestro conservativo ovvero un sequestro preventivo, trascorsi cinque anni dalla data della sentenza non più soggetta ad impugnazione, le somme di denaro sequestrate, se non è stata disposta la confisca e nessuno ne ha chiesto la restituzione, reclamando di averne diritto, sono devolute allo Stato.

Infine, dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca.

Quanti tipi di sequestri esistono?

Esistono il sequestro probatorio (di cui ne sto parlando in questo articolo), il sequestro conservativo ed il sequestro preventivo.

Orbene, come è possibile evincere sia dalla collocazione sistematica che dalla denominazione, il sequestro probatorio ed il sequestro preventivo perseguono finalità differenti, con conseguente diversità anche dei presupposti la cui esistenza è indefettibile ai fini della legittimità del provvedimento. 

Il primo, infatti, è teleologicamente diretto ad “assicurare le fonti di prova”, e la rilevanza del bene interessato ai fini delle indagini deve essere stata manifestata dalla pubblica accusa che abbia disposto la misura (ovvero dalla polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 354 c.p.p. nel relativo verbale per la successiva di convalida ex art. 355 c.p.p.), valutata ovviamente la sussistenza del fumus del reato. Relativamente a quest’ultimo, non essendo peregrina l’ipotesi che il sequestro probatorio sia disposto in una fase ancora iniziale delle indagini, non potrà essere richiesto il medesimo livello di accertamento necessario, invece, in relazione al sequestro preventivo (Cass., Sez. II, 5 maggio 2016, n. 25320; Cass., Sez. III, 10 marzo 2015, n. 15254). 

Oggetto di tale misura è il “corpo del reato”, ossia quelle cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l’azione delittuosa, nonché le “cose pertinenti al reato”, le quali sono invece in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa e sono strumentali all’accertamento dei fatti, ovvero necessarie alla dimostrazione del reato e delle sue modalità di preparazione ed esecuzione, alla conservazione delle tracce, all’identificazione del colpevole, all’accertamento del movente ed alla determinazione dell’ ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, anche se esterni all’ iter criminis, purché funzionali all’accertamento del fatto ed all’individuazione del suo autore (Cass., Sez. IV, 17 novembre 2010, n. 2622).

Con il sequestro preventivo, invece, il bene si apprende per evitare che la libera disponibilità del bene in capo all’indagato possa agevolarlo a commettere di nuovo il reato oppure altri fatti criminosi.

Il sequestro conservativo, in poche parole, serve per far sì che le persone del reato vengano risarcite attraverso -magari- la vendita del bene sottoposto a sequestro mentre il sequestro preventivo serve per evitare che il presunto autore del reato possa continuare a commettere reati. 

Passiamo adesso a vedere quali sono i rimedi previsti dalla legge per ottenere il dissequestro del bene.

Cosa fare per riottenere il bene: richiesta di dissequestro 

Se l’Autorità Giudiziaria ha ingiustamente preso il tuo hardware, la prima cosa da fare, per il tramite di un avvocato specializzato, è quella di chiedere il dissequestro del sequestro probatorio.

Esso si chiede quando il sequestro probatorio – ad esempio – è illegittimo, quando sono cessate le esigenze probatorie, quando dunque non è più necessario mantenerlo.

Come prima ti ho anticipato, ad ottenere il dissequestro del sequestro probatorio, deve essere la persona legittimata alla restituzione della cosa sottoposta a vincolo reale.

La richiesta va fatta al Pubblico Ministero nel caso in cui il processo sia ancora in fase indagine oppure al Giudice che sta procedendo nelle fasi processuali successive.

Ma se la prima richiesta viene rigettata e la cosa sottoposta a sequestro probatorio non viene restituita, cosa si può fare?

Te lo spiego subito.

Riesame del sequestro probatorio

Nel caso in cui la prima richiesta dovesse essere rigettata, è possibile fare richiesta di riesame prima e ricorso per cassazione dopo.

Essi consistono in due impugnazioni davanti a Giudici diversi che in sostanza valutano se la decisione precedente è corretta oppure no e, dunque, se il sequestro probatorio dei dati informatici è stato emesso legittimamente.

Le norme del codice di procedura penale nonché l’interpretazione delle stesse ci dicono quando un sequestro probatorio può definirsi legittimo.

In sede di riesame del sequestro probatorio, infatti, il Tribunale deve stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato. 

Tale astrattezza, però, non limita i poteri del giudice nel senso che questi deve esclusivamente “prendere atto” della tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in concreto della sua fondatezza. 

Alla giurisdizione compete, perciò, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. 

L’accertamento della sussistenza del “fumus commissi delicti” va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica. 

Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (così Sez. Un. 20.11.1996 – dep. 29.01.1997, Bassi ed altri, Rv. 206657); principio di poi sempre osservato dai successivi interventi delle sezioni semplici (cfr., esattamente in termini e da ultimo, Sez. 2, sent. N. 25320 del 05.05.2016, Rv. 267007).

Un presupposto fondamentale per definire un sequestro legittimo è -ad esempio- l’aspetto motivazionale del medesimo che tratterò più avanti.

Chi può presentare riesame avverso il sequestro probatorio?

Il riesame (così come il successivo ricorso per cassazione) può essere presentato sia da chi avrebbe diritto alla restituzione del bene che dall’indagato in quanto ben può essere possibile che il bene appreso non sia di proprietà di quest’ultimo.

In tema di sequestro probatorio, infatti, l’interesse dell’indagato a proporre richiesta di riesame prescinde dalla possibilità di ottenere la restituzione della cosa sequestrata, in quanto al soggetto indagato deve essere riconosciuto il diritto di chiedere la rimozione degli effetti del provvedimento ablativo anche al solo fine di evitare che l’oggetto in sequestro entri a far parte del materiale probatorio utilizzabile a suo carico [Sez. 5, Sentenza n. 8207 del 22/11/2017 (dep. 20/02/2018), Xu, Rv. 272273 – 01; Sez. 4, n. 6279 del 01/12/2005, dep. 2006, Galletti, Rv. 2334021]. 

Peraltro, tra i soggetti legittimati a proporre richiesta di riesame avverso il decreto che convalida il sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria, l’art. 355, comma 3, cod. proc. pen. contempla, in primis, la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e il suo difensore, distinguendola da colei alla quale le cose sono sequestrate e da colei che avrebbe diritto alla loro restituzione. 

Non è, in conseguenza, richiesto che la persona indagata dimostri la propria legittimazione alla restituzione del bene: l’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo è legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare solo in quanto vanti un interesse concreto ed attuale alla proposizione del gravame che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro (Sez. 3, sent. n. 47313 del 17/05/2017, Ruan e altri, Rv. 271231).

È possibile impugnare il decreto di perquisizione?

No, non è possibile.

È regola consolidata nella giurisprudenza di legittimità quella secondo la quale, infatti, in applicazione del più generale principio della tassatività delle impugnazioni e degli atti soggetti a tale strumento di verifica, sia il decreto di perquisizione locale adottato dal pubblico ministero, sia quello di convalida, ove l’atto sia stato eseguito per ragioni di urgenza dalla polizia giudiziaria, non sono suscettibili di impugnazione, neppure per motivi di legittimità (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, dep. 1997, Bassi, Rv. 206656; Sez. 2, n. 6149 del 09/12/1999, dep. 2000, Marini, Rv. 21635; Sez. 5, n. 2108 del 04/04/2000, Peluso, Rv. 216365; Sez. 5, n. 6502 del 19/12/2000, Bellomo, Rv. 218973; Sez. 3, n. 40985 del 23/10/2002, Incastrone, Rv. 222857; Sez. 2, Ordinanza n. 45532 del 08/11/2005, Di Paola, Rv. 233144; Sez. 3, n. 8841 del 13/01/2009, Guasco, Rv. 243002; Sez. 3, n. 8999 del 10/02/2011, Brazzi, Rv. 249615; Sez. 1, n. 30130 del 24/06/2015, Laezza, Rv. 264489).

Quindi, l’impugnazione, può essere promossa solo avverso il sequestro probatorio.

Ma quando un sequestro probatorio può dirsi legittimo?

Il decreto di sequestro (così come il decreto di convalida di sequestro) probatorio, anche ove abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una specifica motivazione sulla finalità perseguita per l’accertamento dei fatti. 

Pur contenendo un sommario riferimento al fumus commissi delicti (ovverosia il reato ipotizzato), deve spiegarsi quale sia il rapporto intercorrente tra le cose sottratte alla disponibilità del ricorrente ed i reati per cui si procede.

Ciò è necessario al fine di evitare che i provvedimenti di perquisizione e sequestro si trasformino in strumenti di ricerca della “notitia criminis”: nel provvedimento adottato devono dunque essere individuate, almeno nelle linee essenziali, gli oggetti da sequestrare con riferimento a specifiche attività illecite, onde consentire che la perquisizione e il conseguente sequestro siano eseguiti non sulla base di semplici congetture, ma trovino giustificazione in concrete ipotesi di reato rinvenibili in fatti addebitati a un determinato soggetto, e permettere, inoltre, la verifica, in caso di “cose pertinenti al reato”, della sussistenza delle esigenze probatorie, ovvero, qualora tali esigenze siano “in re ipsa”, della effettiva possibilità di qualificazione di “corpo del reato” delle cose apprese, attraverso l’accertamento dell’immediatezza descritta dall’art. 253 comma 2, cod. proc. pen. tra esse e l’illecito penale.

Il decreto di sequestro probatorio di dati informatici deve, dunque, necessariamente possedere un’adeguata motivazione.

Le Sezioni Unite hanno infatti affermato il principio di diritto secondo cui il decreto di sequestro probatorio – così come il correlato decreto di convalida – anche qualora abbia ad oggetto cose costituenti corpo di reato, deve contenere una motivazione che, per quanto concisa, dia conto specificatamente della finalità perseguita per l’accertamento dei fatti (Sez.U, n.36072 del 19/04/2018, Rv.273548), rilevando che solo valorizzando l’onere motivazionale è possibile, tenere “sotto controllo” l’intervento penale quanto al rapporto con le libertà fondamentali ed i beni costituzionalmente protetti quali la proprietà e la libera iniziativa economica privata, riconosciuti dall’art. 42 Cost. e dall’art. del Primo protocollo addizionale alla Convenzione Edu, come interpretato dalla Corte Edu; in tale ottica, la motivazione in ordine alla strumentalità della res rispetto all’accertamento penale diventa, allora, requisito indispensabile affinché il decreto di sequestro, per sua vocazione inteso a comprimere il diritto della persona a disporre liberamente dei propri beni, si mantenga appunto nei limiti costituzionalmente e convenzionalmente prefissati e resti assoggettato al controllo di legalità. 

È possibile subire il sequestro probatorio di tutti i dati informatici contenuti all’interno del supporto?

No, non è possibile.

È principio ormai consolidato, infatti, quello per cui il principio di proporzionalità, pur previsto espressamente dal solo art. 275 c.p.p. per le misure personali, è applicabile anche alle misure reali, dovendo il giudice motivare adeguatamente l’impossibilità di conseguire il medesimo risultato attraverso altri e meno invasivi strumenti cautelari. 

Di conseguenza, è stato ritenuto illegittimo per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di un sistema informatico, quale è un personal computer, un IPad o una chiavetta USB, che conduca, in difetto di specifiche ragioni, ad una indiscriminata apprensione di tutte le informazioni ivi contenute (cass., n. 24617 del 24/2/2015; sez. 6., n. 31735 del 15/4/2014; sez. 2, n. 48587 del 9/12/2011).

Ed ancora è illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza, il sequestro a fini probatori di una massa di dati informatici, senza alcuna previa selezione di essi e comunque senza l’indicazione dei relativi criteri (Sez. 6, n. 6623 del 09/12/2020, dep. 2021, Pessotto, Rv. 280838 relativa a sequestro di un telefono cellulare e di un tablet e Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015, Rizzo, Rv. 264092 riferita ad un personal computer).

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, in tema di sequestro probatorio di dati informatici, hanno, inoltre, affermato che la mera reintegrazione nella disponibilità del titolare del bene fisico oggetto di un sequestro probatorio non elimina il pregiudizio determinato dal vincolo cautelare su diritti fondamentali certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza e al segreto o, comunque, alla «disponibilità esclusiva del “patrimonio informativo”» (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017, Andreucci, Rv. 270497 – 01), tutelati anche dall’art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La restituzione conseguente all’annullamento del sequestro probatorio deve, pertanto, avere ad oggetto non solo i supporti materiali sequestrati, ma anche i dati estrapolati dagli stessi.

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