In questo articolo voglio spiegarti come siamo riusciti a ottenere la scarcerazione per un nostro assistito che era stato arrestato in flagranza di reato per furto di energia elettrica.
I reati a lui contestati erano quelli previsti all’art. 624, 625 del codice penale. Lascia che ti spieghi come è andata.
Indice dei contenuti
L’antefatto e l’arresto
Nel corso di un’attività di Polizia, volta alla repressione dei reati contro il patrimonio, personale dei Carabinieri si recava presso l’esercizio commerciale del nostro Assistito, accompagnato da personale dell’ENEL, al fine di accertare la regolarità dei consumi di energia elettrica.
Gli operanti, in particolare, verificavano che alla rete elettrica era collegato un vasto numero di apparecchi che servivano l’esercizio commerciale, tra i quali diverse celle frigorifere, tutte alimentate per mezzo di un comune contatore elettrico.
Tuttavia, alla base di suddetto contatore veniva rinvenuto dal personale dell’Arma un magnete, il quale era in grado di rallentare la registrazione dei consumi.
Da una valutazione eseguita dal personale ENEL, presente al momento dell’accertamento di Polizia, risultava che tale magnete consentiva all’indagato di far registrare un consumo inferiore per l’80% rispetto al normale consumo.
Ed infatti, specie sui contatori di vecchia generazione, attraverso l’applicazione di una calamita, dotata di grande carica elettromagnetica, viene alterato il conteggio dei consumi operato dall’apparecchio, consentendo un illecito risparmio in capo all’utente.
Il personale dell’ENEL registrava, inoltre, che l’abbattimento dei costi della materia energetica, in capo al nostro assistito, veniva registrato da oltre tre anni, e, pertanto, la Pubblica Accusa contestava al nostro Assistito il reato di furto di energia elettrica continuato per tre anni aggravato dall’uso del mezzo fraudolento.
Il nostro assistito, già in sede di arresto operato dai Militari, ammetteva il fatto di avere applicato il magnete, ma solo un paio di settimane prima del controllo, e non tre anni prima.
Il reato di furto di energia elettrica
L’art. 624 c.p. descrive e sanziona la condotta che integra il furto, sanzionando, al secondo comma, anche l’ipotesi in cui l’oggetto della sottrazione sia l’energia.
Ai sensi dell’articolo citato, commette il reato di furto:
“Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri”.
Inoltre, al secondo comma, come ti dicevo, il legislatore ha avuto cura di precisare che:
“Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”
Il furto di corrente elettrica, quindi, viene assimilato al furto comune previsto dall’art. 624 c.p.
Per di più, nel caso in esame, il furto veniva contestato al nostro assistito nella forma aggravata dell’uso del mezzo fraudolento, ovverosia di quello strumento o di quella condotta insidiosa volti a superare le difese che il titolare appresta al bene che intende proteggere.
In questo caso, dunque, veniva contestato anche l’art. 625 cod. pen..
In particolare, la giurisprudenza è unanime nel riconoscere la sussistenza di tale aggravante nei casi di applicazione del magnete volto a compromettere la registrazione dei consumi energetici, come nel caso di specie.
Se la pena per il furto semplice si attesta tra un minimo edittale pari a sei mesi e un massimo pari a tre anni di reclusione, nella forma aggravata la pena oscilla da un minimo di due a un massimo di sei anni di reclusione.
Il nostro assistito rischiava, quindi, una pena massima di sei anni di reclusione.
Per di più, nella forma aggravata del furto è ammessa la custodia cautelare in carcere.
In altri termini, in presenza di determinati requisiti quali la possibilità che l’indagato commetta altri reati simili o inquini le prove o fugga, e in presenza anche di gravi indizi indicativi della sua responsabilità, egli può attendere che il processo venga definito in regime di carcerazione preventiva o di arresti domiciliari.
Avrai capito, quindi, che per il nostro assistito la situazione era preoccupante: egli rischiava di entrare nel circuito carcerario e di essere condannato a una pena massima di sei anni di reclusione e, comunque, non inferiore ai due anni.
La tesi difensiva e la richiesta di scarcerazione
I Professionisti di AvvocatoPenalistaH24, immediatamente allertati dall’arrestato si prodigavano per recuperare le ultime bollette pagate dall’assistito.
La delicatezza della vicenda era di tutta evidenza: infatti il processo per direttissima si sarebbe celebrato solo due giorni dopo l’arresto ed era quindi necessario farsi trovare subito pronti e improntare la miglior difesa in tempi ristrettissimi.
La strategia individuata dai Professionisti dello Studio Legale era quella di dimostrare al Giudice che quanto affermava il nostro Assistito era vero, portando le prove di bollette dal valore economico sovrapponibile al reale consumo di un’attività commerciale di quelle dimensioni, e non inferiore, come sarebbe stato, invece, laddove la manomissione fosse stata risalente.
Egli non aveva manomesso il contatore tre anni prima rispetto al momento dell’arresto, ma solo pochi giorni prima.
Laddove si fosse riuscito a dimostrare ciò, la condotta contestata al nostro Assistito sarebbe stata assai ridimensionata nella sua pericolosità sociale e difficilmente avrebbe giustificato la carcerazione preventiva che deve sempre e comunque rimanere l’opzione più estrema, percorribile solo dopo aver evidenziato l’inefficacia delle altre misure cautelari e la permanenza delle esigenze che la giustificherebbero.
La decisione del Giudice sulla scarcerazione del nostro Assistito
In sede di udienza di convalida, l’Avvocato Vincenzo Ezio Esposito produceva al Giudice le ultime due bollette pagate dall’Assistito, dimostrando, quindi, che la condotta contestata all’indagato, il quale pure ammetteva di avere manomesso il contatore, non era così allarmante.
Ed infatti, un conto è accertare un reato ripetuto nel tempo per ben tre anni, altro conto è accertare il reato commesso pochi giorni prima e perpetrato per un ristretto arco di tempo.
Sulla base di queste argomentazioni, il Giudice scarcerava il nostro Assistito, disponendo che si presentasse quotidianamente presso la Polizia Giudiziaria, la quale poteva così esercitare il controllo sulla sua attività, controllando che non commettesse più la condotta realizzata.
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