Tribunale del Riesame: annullamento ordinanza. Come l’abbiamo ottenuta

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Tribunale del Riesame: annullamento ordinanza. Come l’abbiamo ottenuta

In quest’articolo voglio spiegarti come siamo riusciti a rimuovere l’obbligo di presentazione periodica alla Polizia Giudiziaria gravante su un nostro assistito, esercente un’attività commerciale, ricorrendo al Tribunale del Riesame.

Anche se non è paragonabile alle misure cautelari detentive (la custodia cautelare in carcere e gli arresti domiciliari), anche la misura dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, per chi svolge un’attività lavorativa come quella del nostro assistito, può avere degli impatti significativi sulla quotidianità e sui guadagni dell’indagato.

Il furto aggravato

Il nostro assistito, come già ti ho spiegato sul nostro sito, veniva tratto in arresto per il reato di furto aggravato di energia elettrica.

La fattispecie di furto di energia elettrica è specificamente disciplinata dall’art. 624 c.p. che dispone:

Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516”.

Al secondo comma, infatti, la disposizione in esame specifica che:

Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico”.

Come hai visto, quindi, sottrarre energia elettrica (o qualunque forma di energia) integra la fattispecie di furto, punito con la reclusione fino a tre anni.

Devi sapere, però, che la fattispecie di furto, nella prassi, non è quasi mai integrata nella sua forma semplice.

La frase ricorrente tra chi bazzica le aule giudiziarie è “il furto semplice non esiste”.

In realtà questo è vero solo in parte. La Cassazione ha stabilito che il furto semplice esiste solo quando si verifica in presenza della distrazione della vittima.

In tutti gli altri casi, il furto è praticamente sempre aggravato, quantomeno dalle circostanze indicate dall’art. 625 c.p. che contiene un vero e proprio elenco di circostanze aggravanti che incidono in maniera significativa sulla pena, che può arrivare fino a 10 anni di reclusione, se vi sono più aggravanti, o, comunque, fino a 6 anni di reclusione se l’aggravante è una sola.

Inoltre, se è presente anche una sola delle aggravanti indicate dall’art. 625 c.p. , il reato diventa procedibile d’ufficio e non a querela, non necessità, cioè, di un’iniziativa da parte del privato offeso dalla condotta del ladro, ma la Polizia potrebbe agire di propria iniziativa.

Le aggravanti indicate dall’art. 625 cod. pen. sono:

  • se il colpevole usa violenza sulle cose o si vale di un qualsiasi mezzo fraudolento;
  • se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso(5);
  • se il fatto è commesso con destrezza;
  • se il fatto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, che sia travisata o simuli la qualità di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio;
  • se il fatto è commesso sul bagaglio dei viaggiatori in ogni specie di veicoli, nelle stazioni, negli scali o banchine, negli alberghi o in altri esercizi ove si somministrano cibi o bevande;
  • se il fatto è commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede, o destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o reverenza;
  • se il fatto è commesso su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all’erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica;
  • se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria;
  • se il fatto è commesso all’interno di mezzi di pubblico trasporto;
  • se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell’atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro.

Tipicamente, nel caso di furto di energia elettrica, viene contestata, quantomeno, la prima aggravante che ti ho elencato sopra.

L’uso del mezzo fraudolento, infatti, presuppone che la condotta sia caratterizzata da uno stratagemma idoneo a superare le difese predisposte dal proprietario del bene, da identificarsi ad esempio nella collocazione di un magnete per alterare l’indicazione dei consumi effettuati; la violenza sulle cose si realizza quando si danneggia il contatore per accedere al suo interno.

Altre volte si configura anche – o soltanto – l’aggravante del furto su cose destinate al pubblico servizio o alla pubblica utilità: ciò tipicamente avviene quando si sottrae l’energia elettrica dalla rete pubblica.

Se vuoi saperne di più in ordine alla fattispecie di furto di energia elettrica ti invito a leggere quest’altro articolo che troverai sempre sul nostro sito dove ti spiego più approfonditamente la fattispecie di reato in questione. 

L’arresto in flagranza e la misura cautelare

La presenza di un’aggravante consente l’arresto in flagranza dell’indagato e, in ipotesi, anche l’applicabilità di misure cautelari, inclusa la custodia cautelare in carcere.

Al nostro assistito veniva contestata l’aggravante dell’uso del mezzo fraudolento, avendo egli collocato un magnete sul contatore al fine di alterare l’indicazione dei consumi indicati dallo stesso.

Secondo quanto previsto dalla Suprema Corte di cassazione, l’aggravante del mezzo fraudolento sussiste attraverso la messa in opera di un di più rispetto al minimo di azione necessaria e cioè in modo occulto o mediante artefizi diretti esplicitamente ad eludere il controllo da parte dell’azienda erogatrice (cfr. Sezioni Unite, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974).

Per tale motivo, il nostro assistito, era dunque stato tratto in arresto e, in sede di udienza di convalida, era stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di presentazione periodica alla Polizia Giudiziaria, misura, questa, che, ancorché non detentiva, comportava a lui un notevole pregiudizio, che non poteva, quindi, dedicarsi in maniera esclusiva e continuativa alla sua attività commerciale.

Affinché venga emessa una misura cautelare devono ricorrere due presupposti:

  1. devono sussistere gravi indizi di colpevolezza in capo al soggetto indagato;
  2. devono sussistere esigenze cautelari, ovverosia delle circostanze di fatto che legittimano la privazione della libertà personale dell’indagato, prima che venga condannato, affinché si tutelino delle esigenze, appunto, quali:
  • il pericolo che l’indagato si dia alla fuga, oppure
  • il pericolo che l’indagato inquini le prove, oppure
  • il pericolo che l’indagato commetta delitti della stessa specie.

In presenza di questi requisiti, può essere disposta la privazione della libertà personale dell’indagato, ancor prima che questo sia sottoposto a un vero e proprio processo, e sia, infine, dichiarato colpevole.

È evidente che si tratta di un giudizio di estrema delicatezza, con riferimento al quale la Cassazione ha sempre suggerito particolare cautela, trattandosi della privazione della libertà personale di un soggetto ancora innocente, e la cui prova contraria non è stata ancora sottoposta al vaglio di alcun giudice di merito, ma solo a quello della cautela.

Il legislatore vuole, tuttavia, che certi pericoli, come quello di reiterazione delle condotte criminose, giustifica, in presenza di gravi indizi di reità, la compressione della libertà personale anche prima del giudizio.

È parere di chi scrive, tuttavia, che la prassi ricorre sempre più frequentemente alle misure cautelari, anche quando i presupposti non sussistono o le esigenze cautelari non sono così pregnanti.

È esattamente quanto accaduto nel caso di specie, in cui al nostro Assistito veniva limitata la libertà personale, disponendo l’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, pur in assenza di specifiche esigenze cautelari, e pur in presenza di gravi indizi di colpevolezza.

Diventa, allora, compito dell’avvocato, impugnare la misura cautelare davanto al Tribunale del riesame e sottoporre all’attenzione del Giudice dell’impugnazione che in realtà non esistono esigenze cautelari, o le stesse non sono così incisive da giustificare la compressione della libertà personale dell’indagato.

Il Tribunale del Riesame 

Uno degli strumenti d’impugnazione dell’ordinanza applicativa di misure cautelari è il Tribunale del Riesame, procedimento disciplinato agli articoli 309 e seguenti del Codice di Procedura Penale.

Il procedimento per il riesame è esperibile solo contro le ordinanze che applicano per la prima volta la misura cautelare, e non è vincolato ai motivi illustrati dalla difesa a differenza dell’appello al riesame (previsto dall’art. 310 cod. proc. pen.) che si instaura quando la misura custodiale è già in essere.

Nel caso dell’appello al riesame il Giudice non può decidere su fatti non oggetto della critica difensiva.

Nel riesame, invece, il Giudice può andare oltre le rimostranze della difesa, che possono anche non essere espresse nell’atto del riesame.

In quanto tempo decide il Tribunale del Riesame?

Tuttavia, il riesame ha dei tempi molto ristretti: esso va proposto, infatti, entro dieci giorni dalla data di applicazione della misura cautelare e la decisione del Giudice avviene in massimo 15 giorni da quando la richiesta di riesame viene presentata, a seguito dell’udienza.

Questo significa dover preparare una valida difesa in tempi strettissimi, per riuscire a ottenere la scarcerazione dell’indagato o, comunque, la caducazione della misura cautelare applicata.

Se vuoi conoscere nei dettagli il procedimento applicativo di una misura cautelare, e il procedimento del Riesame, davanti al cd. Tribunale della Libertà, ti suggerisco di cliccare al link sopra, ti spiegherò anche in un video cosa fare in caso di arresto.

Nel nostro caso, quindi, l’Avvocato Vincenzo Ezio Esposito di Avvocato Penalista H24 presentava istanza al Tribunale del Riesame avverso l’ordinanza che applicava, in capo al nostro Assistito, la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria al fine di ottenerne l’annullamento.

La strategia difensiva

Il nostro Assistito ammetteva gli addebiti, cioè confessava di aver applicato il magnete sopra il contatore, al fine di alterarne la registrazione dei consumi, ma di averlo fatto in tempi recenti, e non da lungo tempo, come pure sosteneva l’accusa.

La Difesa impugnava innanzi al Tribunale del Riesame l’ordinanza cautelare non lamentando l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (confermati, peraltro, dalle dichiarazioni stesse dell’imputato), ma contestando la sussistenza dell’unica esigenza cautelare ravvisata dal Giudice: il pericolo di reiterazione della condotta criminosa.

La difesa, cioè, faceva leva sul fatto che laddove l’imputato avesse voluto commettere altri fatti analoghi, certamente non avrebbe confessato quanto contestato.

Per di più, rilevava l’Avv. Esposito, l’Assistito era un soggetto sostanzialmente incensurato (su di lui gravava solamente un precedente assai risalente e del tutto avulso dalla condotta contestata), quindi non certamente avvezzo a condotte criminose.

Infine, anche se in fase cautelare, l’arresto e la temporanea privazione della libertà personale dell’indagato non potevano essere elementi trascurabili in ordine a un processo di ripensamento della condotta posta in essere.

In altri termini, sosteneva la difesa, anche la carcerazione preventiva e la celebrazione di un’udienza di convalida, costituivano uno stress tale da costituire certa efficacia deterrente in ordine alla ripetizione di condotte illecite.

Sezione X Riesame

La decisione del Tribunale del Riesame 

Il Tribunale del Riesame, pur non essendone vincolato, faceva proprie le doglianze difensive rassegnate dall’Avv. Esposito e annullava la misura cautelare applicata all’Assistito.

Ciò in quanto, ritiene il Tribunale, pur essendo certamente sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in capo all’arrestato, la condotta aveva una portata offensiva così limitata e comunque confinata al proprio piccolo esercizio commerciale da non ritenersi sussistente la possibilità che l’indagato reiterasse le proprie condotte, connotate da un modestissimo grado di lesività.

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