In questo articolo ti spiego alcuni dei reati che un imprenditore fallito può commettere. In particolare si tratta dei reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta documentale.
La fase del fallimento è una fase molto delicata perché un banalissimo errore nella procedura fallimentare può costarti cara la pelle e si rischiano diversi anni di carcere.
Ed allora se ritieni di essere in pericolo e temi per la tua libertà in quanto sottoposto ad un procedimento penale proprio per i reati di bancarotta, non esitare a contattarci, un nostro avvocato specializzato per i reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta documentale sarà pronto a prendersi cura del tuo caso ed evitare che tu possa finire nei guai.
Ma vediamo quali sono i reati principali che l’imprenditore fallito può commettere partendo, però, dal dato normativo.
Indice dei contenuti
La legge fallimentare
La legge di riferimento per i reati di bancarotta patrimoniale e bancarotta documentale è la legge fallimentare (R. D. n. 267 del 1942).
Le ipotesi di reato che tratto in questo articolo sono previste dagli articoli
- 216 comma 1 afferente il reato di bancarotta fraudolenta;
- 216 comma 2 afferente il reato di bancarotta documentale;
- 217 afferente il reato di bancarotta semplice;
- 223 afferente il reato di bancarotta aggravata.
Chi dichiara il fallimento?
Per commettere il reato di bancarotta occorre che ci sia stata la dichiarazione di fallimento.
La dichiarazione di fallimento viene emessa dal Tribunale Fallimentare dopo che in genere i creditori dell’azienda hanno chiesto il fallimento in quanto non sono stati pagati dall’imprenditore per i servizi a lui erogati o i beni a lui venduti.
Perché è importante la dichiarazione di fallimento?
Perché se non vi viene dichiarato il fallimento non possono realizzarsi i reati di bancarotta: non può esserci bancarotta se non vi è stato un fallimento ed il fallimento può aversi – come detto – solo con la decisione del Tribunale fallimentare che si sostanzia nella sentenza di fallimento.
È bene però chiarire sul punto che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, con la precisazione che i fatti di distrazione – una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento – assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza (Cass. Sez. Un., n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804).
E, pur considerato che, secondo la giurisprudenza più recente, il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare vede la condotta perfezionarsi quando l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività, mentre la dichiarazione di fallimento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, resta fermo che soltanto quando tale condizione obiettiva di punibilità si sia correttamente verificata, ossia quando la sentenza dichiarativa di fallimento sia stata validamente pronunziata, il disvalore della condotta si cristallizza e le conseguenze per l’agente divengono insensibili alle vicende successive della procedura fallimentare (Sez. 5, n. 2899 del 02/10/2018, dep. 2019, Signoretti, Rv. 274610).
L’irrilevanza di un nesso causale tra fatti di distrazione e dissesto dell’impresa fa sì che, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, detti fatti assumano rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l’insolvenza non si era ancora manifestata (Sez. U, sentenza n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli ed altro, Rv. 266804; Sez. 5, sentenza n. 47616 del 17/07/2014, Simone, Rv. 261683; Sez. 5, sentenza n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446; Sez. 5 sentenza n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 260690; Sez. 5, sentenza n. 32352 del 07/03/2014, Tanzi ed altri, Rv. 261942; Sez. 5, sentenza n. 11095 del 13/02/2014, Ghirardelli, Rv. 262741; Sez. 5, sentenza n. 21846 del 13/02/2014, Bergamaschi, Rv. 260407; Sez. 5, sentenza n. 11793 del 05/12/2013, dep. 11/03/2014, Marafioti ed altri, Rv. 260199; Sez. 5, sentenza n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi ed altri, Rv. 255567; Sez. 5, sentenza n. 3229 del 14/12/2012, dep. 22/01/2013, Rossetto ed altri, Rv. 253932; Sez. 5, sentenza n. 7545 del 25/10/2012, dep. 15/01/2013, Lanciotti, Rv. 254634; Sez. 5, sentenza n. 232 del 09/10/2012, dep. 07/01/2013, Sistro, Rv. 254061).
Quindi – come detto – la dichiarazione di fallimento assume una importanza fondamentale per la sussistenza dei reati di bancarotta fraudolenta e bancarotta documentale.
Quando si rischia la bancarotta?
La bancarotta dunque si rischia quando non si pagano i creditori i quali come detto possono fare richiesta di fallimento ed è proprio in questo periodo di tempo che l’imprenditore può commettere i reati fallimentari.
Perché l’imprenditore commette i reati di bancarotta?
L’imprenditore commette i reati di bancarotta per evitare che i creditori possano aggredire i beni aziendali per soddisfare la loro pretesa creditoria; quindi li scopo dell’imprenditore sull’orlo del fallimento è proprio quello di fregare i creditori facendo sparire tutti i beni aziendali e ciò può avvenire attraverso le seguenti modalità:
- Bancarotta Fraudolenta;
- Bancarotta Documentale.
Cos’è la bancarotta fraudolenta?
La bancarotta fraudolenta è un reato che si realizza quando un imprenditore o una società, dichiarati falliti con sentenza del Giudice, adottano delle condotte finalizzate a svuotare la predetta società da tutti i beni posseduti.
Ti faccio un esempio: svuotano i conti correnti, vendono i macchinari. Fanno in sostanza sparire tutto affinché i creditori (cioè chi deve avere dei soldi dall’azienda) restino in sostanza fregati proprio perché l’azienda è ormai priva di qualsiasi bene.
Cos’è la bancarotta documentale?
Diversa dalla bancarotta fraudolenta è la bancarotta documentale. Questo reato punisce invece l’imprenditore che distrugge oppure fa sparire i libri contabili della società al fine di impedire la ricostruzione del patrimonio aziendale.
Così facendo risulta impossibile ricostruire la situazione dell’impresa e dunque soddisfare la pretesa dei creditori.
In tema di reati fallimentari, la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative,
- quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, che richiede il dolo specifico,
- e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita
che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rossi, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
Quali sono le circostanze aggravanti?
La bancarotta può essere semplice oppure aggravata.
Si tratta di bancarotta semplice quando ad esempio i beni fatti sparire non sono tanti e l’imprenditore fallito non ha arrecato un grave danno ai creditori.
Se invece il danno è elevato, si parla di bancarotta aggravata.
Come ben potrai immaginare per la bancarotta aggravata, le pene previste dalla legge sono sicuramente più elevate.
Chi può essere punito per il delitto di bancarotta?
Devi sapere che ad essere punito per il delitto di bancarotta non può essere solo e soltanto l’imprenditore fallito ma anche la cd. ‘testa di legno’.
Molto spesso si pensa che piazzando una testa di legno a capo della società (ovverosia una persona che non ha nulla e che viene pagato solo per rivestire questo ruolo per non far esporre il vero i titolare dell’azienda) il problema possa risolto e che l’imprenditore vada esente da responsabilità.
Ma non è così.
Infatti, durante il corso delle indagini, le forze dell’ordine verificano chi è l’effettivo titolare dell’azienda fallita e nel caso in cui vi sia una testa di legno ad andare sotto processo è sia la testa di legno che l’effettivo titolare dell’azienda fallita.
Il titolare dell’azienda è chi detiene i conti correnti, gestisce i rapporti con le terze parti, paga i dipendenti, adotta le decisioni aziendali diversamente la testa di legno non fa nulla se non essere sulle carte i titolare dell’azienda.
Quindi i reati di cui fino ad adesso vi ho parlato, possono essere commessi sia dall’imprenditore effettivo che dalla testa di legno.
Con particolare riferimento al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, si è, infatti, affermato, che affinché l’amministratore di fatto di una società possa esserne ritenuto responsabile, occorre che egli abbia posto in essere atti tipici di gestione, offrendo così un contributo obiettivo alle decisioni adottate da chi è formalmente investito della qualifica di amministratore, nella consapevolezza delle implicazioni della condotta tipica del soggetto qualificato (cfr. Cass., sez. I, 11/01/2012, n. 5063, G.M.).
Quanto all’elemento soggettivo, consistente anche per l’amministratore “di fatto” nella consapevole volontà dei singoli atti di distrazione e della idoneità dei medesimi a cagionare danno ai creditori, in quanto privi di sinallagma rispondente al fine istituzionale dell’impresa, in considerazione, ad esempio della natura fittizia o della entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della società (cfr. ex plurimis, Cass., sez. V., 24.3.2010, n. 16579, Fiume, rv. 246879), esso si evince dalla diretta e continuativa partecipazione dell’imputato all’attività di gestione dell’impresa in cui si sono consumati i singoli episodi illeciti a lui contestati.
L’amministratore “di fatto” della società fallita, infatti, è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 20.5.2011, n. 39593, rv. 250844).
Egli, inoltre, essendo tenuto ad impedire ex art. 40, co. 2, c.p., le condotte illecite riguardanti l’amministrazione della società o a pretendere l’esecuzione degli adempimenti previsti dalla legge, è responsabile di tutti i comportamenti, sia omissivi che commissivi, posti in essere dall’amministratore di diritto, al quale è sostanzialmente equiparato (cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 5.7.2012, n. 33385, rv. 253269).
D’altro canto di bancarotta fraudolenta risponde l’amministratore di diritto, unitamente all’amministratore di fatto, anche per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire, essendo sufficiente, sotto il profilo soggettivo, la generica consapevolezza che l’amministratore effettivo distragga, occulti, dissimuli, distrugga o dissipi i beni sociali, la quale non può dedursi dal solo fatto che il soggetto abbia accettato di ricoprire formalmente la carica di amministrato, occorrendo anche la dimostrazione di una sua diretta ed effettiva ingerenza nella gestione dell’impresa (cfr. Cass., sez. V, 7.1.2015, n. 7332, rv. 262767).
In via molto generale e sintetica questi sono i reati fallimentari principali.
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- Autoriciclaggio e Bancarotta Fraudolenta: quando si configura il reato;
- Bancarotta fraudolenta documentale: necessario il dolo specifico per la sussistenza del reato;
- Prestanome o Imprenditore Occulto: Chi risponde penalmente per l’evasione fiscale?
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