Indebito utilizzo carta di credito o debito: assistito scarcerato

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Indebito utilizzo carta di credito o debito: assistito scarcerato

In questo articolo voglio spiegarti come siamo riusciti a ottenere la scarcerazione di un nostro assistito, accusato di indebito utilizzo di carta, al quale è stata sostituita la severissima misura della custodia cautelare in carcere con quella meno afflittiva degli arresti domiciliari, presso l’abitazione dei genitori.

Ovviamente, portare elementi che consentano di controbilanciare le esigenze che hanno portato alla carcerazione preventiva (la custodia cautelare in carcere) con quelle del singolo, come nel nostro caso, è compito specifico della difesa.

Per questo la materia va trattata con estrema delicatezza e va affidata ad un avvocato esperto in indebito utilizzo di carta di credito o debito: comprendi bene, infatti, che di fronte a problemi di salute (fisica o psichica) dell’assistito, anche un giorno in più di carcerazione può fare la differenza. 

Premessa

La carcerazione, sia essa definitiva, sia essa “preventiva”, cioè disposta non in base ad una sentenza ma prima del giudizio assolve sempre a delle esigenze.

Quando questa avviene per ottemperare ad una sentenza divenuta definitiva, le esigenze poste alla base della carcerazione consistono nell’evitare che il condannato commetta altri delitti (esigenza special-preventiva), evitare che il condannato nuoccia alla società (esigenza general-preventiva) e favorire il reinserimento sociale dello stesso mediante percorsi riabilitativi individuati appositamente.

Quando, invece, la carcerazione è preventiva (cioè avviene a seguito di emissione di misura cautelare) le esigenze cui essa assolve sono quelle di evitare il pericolo di fuga dell’indagato, evitare che commetta altri delitti simili o scongiurare il pericolo che inquini le prove nel procedimento a suo carico.

Se vuoi saperne di più in merito alle misure cautelari clicca il link sotto

Non bisogna mai dimenticare, tuttavia, che qualunque soggetto, sia esso condannato o indagato, continua a godere dei diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale.

Tra questi vi rientra, ovviamente, quello alla salute, sancito e tutelato dall’art. 32 della nostra Costituzione (ti parlo del rapporto tra detenzione e diritto alla salute del detenuto in quest’altro articolo). 

Proprio per questo, anche all’interno delle strutture penitenziarie (Case di reclusione e Case circondariali, deputate, rispettivamente – quantomeno sul piano teorico – a ospitare soggetti condannati o in attesa di giudizio) sono previsti presidi medici finalizzati al monitoraggio costante e all’assistenza al bisogno delle condizioni psicofisiche dei detenuti.

Non può negarsi, tuttavia, che vi sia una categoria di patologie che forse più di altre difficilmente riescono ad essere controllate con i limitati strumenti sanitari presenti all’interno delle strutture penitenziarie italiane.

Le psicopatie.

Si tratta di patologie estremamente gravose e debilitanti in capo al detenuto, nei confronti del quale la carcerazione può avere effetti dirompenti, specie se – come spesso accade – lo stesso era già in cura presso centri specializzati e, successivamente alla carcerazione, ha dovuto sospendere le cure.

Questa interruzione può portare ad un acuirsi della psicopatia preesistente che, lungi dal manifestarsi all’interno del carcere nelle forme di un mero disagio, compromette (a volte in maniera irrimediabile) l’intero percorso di cure fino a quel momento seguito dal detenuto.

Come ho già detto, questi elementi sono quasi sempre ignoti all’Autorità Giudiziaria che ordina la carcerazione dell’indagato e sarà quindi compito dell’avvocato portarli a conoscenza del giudicante.

Occorrerà quindi farsi assistere da un difensore attento anche a queste tematiche e, per di più, col quale deve esistere una stretta e sincera comunicazione.

Il caso del nostro assistito: l’antefatto

Un nostro assistito veniva tratto in arresto verso la fine del mese di dicembre del 2021 per essere stato colto nella flagranza del reato di indebito utilizzo di una carta, reato previsto e punito dall’art. 493 ter del codice penale.

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Lo stesso, infatti, veniva colto nel momento in cui provava ad utilizzare, per effettuare un pagamento, una carta bancomat oggetto di denuncia di furto resa dal legittimo proprietario.

Per tali ragioni veniva tratto in arresto, il quale veniva convalidato e, a seguito di ordinanza di custodia cautelare, veniva condotto presso il più vicino Istituto Penitenziario.

L’art. 493ter c.p., infatti, prevede la possibilità per la Polizia di procedere all’arresto nel caso di flagranza di reato.

Peraltro, il reato viene punito in maniera alquanto severa, prevedendo una pena oscillante da un minimo di uno a un massimo di cinque anni di reclusione, oltre a una pena pecuniaria particolarmente salata.

Per di più, nel caso in esame, il nostro Assistito veniva trovato in possesso di un biglietto aereo di sola andata con destinazione San Paolo (Brasile), viaggio che avrebbe dovuto fare pochi giorni dopo il suo arresto ed, inoltre, non erano chiare le circostanze attraverso le quali egli era entrato in possesso della carta bancomat indebitamente utilizzata.

In altri termini, così come sostenuto dal GIP che emetteva la misura cautelare maggiormente afflittiva, la carcerazione si imponeva in ragione del pericolo di fuga e del pericolo di inquinamento probatorio, visto che andavano ancora eseguite indagini volte a accertare compiutamente i fatti.

La scadenza dei termini e l’emissione di un’ulteriore ordinanza di custodia cautelare

Le esigenze investigative si facevano sempre più impellenti, e le vicende delittuose ipotizzate dalla Procura sempre più consistenti. Ciò allungava i tempi di carcerazione preventiva cui l’indagato era sottoposto, al punto che la misura cautelare inizialmente emessa veniva dichiarata inefficace dal GIP per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare (che, in questo caso specifico, erano tre mesi) proprio mentre veniva avanzata dalla Procura un’ulteriore richiesta di emissione di misura cautelare, stavolta rappresentando al Giudice ulteriori elementi delittuosi emersi nel corso delle indagini.

In particolare, oltre all’episodio di indebito uso di strumenti di pagamento diversi dal contante, per il quale l’indagato era già stato arrestato, venivano ipotizzati anche due episodi integranti il reato di rapina e l’utilizzo indebito di un’altra carta bancomat.

Ciò comportava, in sostanza, che l’indagato, rimaneva fisicamente all’interno della Casa Circondariale ove era recluso, perché al venir meno – per decorrenza termini – della prima ordinanza cautelare, ne veniva immediatamente emessa un’altra per fatti ancora più gravi, oltre che per quelli per i quali si era fino a quel momento proceduto.

Proprio a quel punto la famiglia dell’indagato prendeva contatti con l’Avv. Ismaele Brancaccio di Avvocato Penalista H24.

L’interrogatorio di garanzia

Presi i contatti con la famiglia dell’Assistito, e formalizzata la nomina fiduciaria, immediatamente la famiglia ci comunicava che il figlio era affetto da “psicosi da innesto con ritardo mentale lieve” tale da comportare, pertanto, un’invalidità pari all’80%.

Tale dato era ignoto all’Autorità Giudiziaria procedente, malgrado si ponesse evidentemente in regime di incompatibilità con la carcerazione.

Ed infatti, dalla documentazione pervenuta dalla famiglia dell’arrestato, emergeva non solo la psicopatia grave cui lo stesso era affetto, ma, altresì, il fatto che era in cura – prima della carcerazione – presso centri specializzati.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia, tenutosi due giorni dopo l’emissione della seconda ordinanza di custodia cautelare, con un quadro indiziario molto più grave di quello precedente, si teneva l’interrogatorio di garanzia dell’indagato.

L’Assistito, a seguito delle nuove contestazioni mosse dall’Ufficio di Procura, rischierebbe oltre vent’anni di carcere, il che sul piano astratto ben giustificherebbe il mantenimento del detenuto in regime carcerario.

La linea della difesa e la richiesta di scarcerazione

Senza entrare nel merito delle vicende delittuose contestate all’Assistito, in sede di Interrogatorio di Garanzia si rappresentava al Giudice che, ancorché sussistenti le esigenze cautelari giustificative dell’emissione dell’ordinanza per la quale l’assistito si trovava in carcere, le stesse andassero contemperate con il diritto alla salute del quale lo stesso gode.

Ed infatti, l’effettività del diritto alla salute psichica, per il genere di patologie delle quali era affetto l’Assistito non era garantito all’interno del carcere, o, almeno, non tanto quanto era garantito prima che vi facesse ingresso, quando era in cura presso dei centri specializzati che seguivano un programma personalizzato e individuato sulla persona del detenuto.

Si specificava, quindi, al GIP in sede, che la carcerazione e, quindi, l’allontanamento dal percorso di cure iniziato molto tempo prima e interrotto oltre tre mesi prima avrebbe generato una grave menomazione psicologica nel soggetto, già di per sé fragile: la psicopatia da innesto, infatti, comporta che la malattia mentale si inserisca in un quadro psicologico già disturbato del soggetto. È evidente, allora, il rischio che tale psicopatia si acuisca.

Pertanto, veniva richiesta la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella meno gravosa degli arresti domiciliari.

D’altronde, l’indagato detenuto si diceva disponibile all’utilizzo del cd. “braccialetto elettronico”, al fine di controllare i propri movimenti laddove venisse concessa la misura degli arresti domiciliari, presso l’abitazione dei genitori, i quali avevano già prestato il loro consenso all’accoglienza del figlio.

La decisione del Giudice e la scarcerazione

Il Giudice accoglieva la tesi difensiva e disponeva che l’indagato venisse scarcerato e posto in regime di arresti domiciliari presso l’abitazione dei genitori.

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Ciò in quanto, così facendo, da un lato si salvaguardavano le esigenze cautelari del pericolo di fuga (veniva infatti disposto l’uso del braccialetto elettronico) e del pericolo di inquinamento probatorio (il luogo degli arresti domiciliari era assai distante da quello in cui i reati si sarebbero perpetrati) e, dall’altro, si garantiva la corretta assistenza sanitaria all’Assistito, al quale veniva consentito continuare a frequentare quei luoghi di cura alla quale era di già sottoposto, prima di fare ingresso nel regime carcerario.

Perché rivolgersi ad un esperto avvocato in materia di indebito utilizzo carta di credito o debito?

Come avrai potuto comprendere, quella trattata, è una materia complessa, delicata che richiede particolari e specifiche competenze professionali che non tutti gli avvocati posseggono.

È sempre consigliabile, dunque, affidarsi ad un Avvocato competente in materia di indebito utilizzo carta di credito o debito, che conosca bene la materia giuridica trattata di modo che, sin da subito, vi sia la massima garanzia del diritto di difesa, disponendo la strategia difensiva più opportuna al caso specifico.

Leggi anche il nostro articolo con riferimento all’indebito utilizzo di cryptovalute, argomento sicuramente connesso a quello che qui stiamo trattando.

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