Mandato di arresto europeo richiesto dal Belgio: quando l’Italia può rifiutare la consegna?

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Mandato di arresto europeo richiesto dal Belgio: quando l’Italia può rifiutare la consegna?

Nel caso in cui sia iniziato nei tuoi confronti un procedimento in Italia per un mandato di arresto europeo richiesto dallo Stato del Belgio, ti consiglio di leggere con molta attenzione questo articolo nel quale Avvocato Penalista H24 ti spiega nel dettaglio cosa è un mandato di arresto europeo, cosa fare allorquando il procedimento di mandato di arresto europeo sia iniziato in Italia sulla base di una richiesta formulata dal Belgio e quali sono le principali violazioni dei diritti umani commesse dal Belgio che, nello specifico, potrebbero giustificare il rifiuto da parte dell’Italia della richiesta di consegna per il mandato di arresto europeo Belgio.

In questo articolo, infatti, ti riporto i principali indirizzi dalla Corte di Cassazione nei casi di mandato di arresto europeo Belgio, così che tu possa sapere quali sono le principali decisioni adottate in Italia che potrebbero avere una grande influenza sul rifiuto da parte dell’Italia a richieste di consegna formulate dal Belgio.

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Mandato di arresto europeo, quando si applica ?

Il mandato di arresto europeo (comunemente detto MAE) è una procedura giudiziaria semplificata di consegna tra gli stati membri facenti parte dell’Unione Europea al fine di consentire l’esercizio di un’azione penale nei confronti di una persona, ovvero per l’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale.

In buona sostanza, quindi, attraverso il mandato di arresto europeo viene formulata la richiesta ad uno stato estero di procedere alla consegna di una persona, sottoposta ad una condanna penale in uno stato membro facente parte dell’Unione Europea, ovvero nei cui confronti sia stata applicata una misura cautelare.

In questo caso, pertanto, una volta che la persona verrà trovata sul territorio di un altro Stato membro, si instaurerà nei suoi confronti un procedimento di mandato di arresto europeo nel quale l’Italia dovrà decidere se disporre o meno la consegna della persona allo Stato richiedente.

Se ti stai chiedendo come sia possibile che una persona, ricercata in un altro Stato membro dell’Unione Europea, possa essere arrestata in Italia, devi sapere che, una volta che uno Stato emette una sentenza di condanna penale, ovvero applica una misura cautelare nei confronti di una persona, al fine di disporre le ricerche in ambito internazionale, nella maggior parte dei casi procede anche all’iscrizione di questo provvedimento all’interno degli archivi di Interpol e nel sistema informativo Schengen SIS II.

Per quanto riguarda l’Interpol, infatti, si procederà all’applicazione nei confronti della persona ricercata di una red notice di Interpol attraverso la quale la persona richiesta sarà ricercata in tutti gli Stati che aderiscono al sistema di Interpol.

Se pensi di essere stato oggetto di una red notice di Interpol e vuoi sapere come fare a richiedere la cancellazione, o la sospensione, ti consiglio di leggere questi articoli, nei quali ti spiego nel dettaglio come richiedere la cancellazione di una red notice ovvero la sospensione della red notice di Interpol.

Nel caso, invece,  il tuo nominativo sia inserito nell’elenco dei ricercati all’interno del Sistema informativo Schengen SIS II, ti consiglio di leggere attentamente questo articolo nel quale ti spiego nel dettaglio come fare a richiedere la cancellazione del tuo nominativo dal sistema informativo Schengen SIS II.

Se vuoi avere, invece, ulteriori informazioni in merito al mandato di arresto europeo ti consiglio di leggere questo articolo nel quale ti spiego nel dettaglio l’intero procedimento sul quale si fonda in Italia.

Quando può essere rifiutata la consegna in caso di mandato arresto europeo Belgio?

Nel caso in cui la procedura del mandato di arresto europeo sia instaurata in Italia sulla base di una richiesta formulata dal Belgio, devi sapere che una delle principali ipotesi per le quali l’Italia può rifiutare la consegna è quella inerente il rischio che la persona arrestata possa essere sottoposta in Belgio, durante la detenzione, a trattamenti inumani o degradanti.

Infatti, l’art. 2 della Legge 69/2005 espressamente prevede che: “L’esecuzione del mandato di  arresto  europeo  non  puo’,  in alcun  caso,  comportare  una   violazione   dei   principi   supremi dell’ordine costituzionale dello Stato  o  dei  diritti  inalienabili della  persona   riconosciuti   dalla   Costituzione,   dei   diritti fondamentali  e   dei   fondamentali   principi   giuridici   sanciti dall’articolo 6  del  trattato  sull’Unione  europea  o  dei  diritti fondamentali garantiti dalla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, firmata a Roma il  4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955,  n.  848,  e dai Protocolli addizionali alla stessa”.

Sulla base di detta norma, quindi, nel caso in cui vi sia il “serio pericolo” che la persona venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, si impone allo Stato che procede al mandato di arresto europeo di verificare, dopo aver accertato l’esistenza di un generale rischio di trattamento inumano da parte dello Stato membro (basandosi su “elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati” sulle condizioni di detenzione vigenti nello Stato membro emittente, comprovanti la reale presenza di carenze sia sistemiche o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione), se in concreto, la persona oggetto del M.A.E., potrà essere sottoposta ad un trattamento inumano, potendo quindi richiedere allo Stato emittente qualsiasi informazione complementare che si reputi necessaria.

Nel caso del Belgio, così come ti dirò in seguito, la richiesta di informazioni complementari in merito al luogo di detenzione, alle modalità di detenzione, ai diritti riconosciuti al detenuto ed agli spazi vitali concessi alla popolazione carceraria, sulla base di quanto disposto dall’art. 16 della Legge 69/2005, risulta oltremodo necessaria in ragione delle comprovate e sistemiche carenze degli istituti detentivi Belgi, nonché in ragione della sistematica violazione dei diritti fondamentali dei detenuti, comprovata sulla base delle specifiche valutazioni riportate nella:

  • sentenza della Corte E.D.U. nel caso Vasilescu c. Belgio del 25/11/2014;
  • nella dichiarazione pubblica del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (CPTi in data 13/7/2107) e nelle 
  • valutazioni formulate da Amnesty International nell’ultimo rapporto stilato per l’anno 2020/2021 sul Belgio.

3.   Le principali violazioni dei diritti umani riscontrate nei diversi casi di mandato arresto europeo Belgio 

Così come ti dicevo prima, numerose sono le violazioni dei diritti umani che sono state riscontrate negli ultimi anni in Belgio in relazione agli istituti detentivi e, in molti casi, questi presupposti hanno determinato il rigetto delle richieste di consegna da parte dell’Italia nei vari procedimenti di mandato arresto europeo Belgio.

Infatti, così come si legge nel rapporto di Amnesty International 2020-2021 in merito alle “condizioni carcerarie” in Belgio: “E’ continuato il sovraffollamento nelle carceri fatiscenti, dove i detenuti non avevano sufficiente accesso ai servizi di base, comprese cure sanitarie e strutture igieniche. Le misure per il Covid-19, tra cui rilasci temporanei, anticipati e condizionali, hanno ridotto temporaneamente il sovraffollamento ma altre misure hanno limitato i diritti dei detenuti, anche riducendo i loro contatti con il mondo esterno”. 

Da questo punto di vista, il rapporto di Amnesty è tranciante nel definire gli istituti detentivi Belgi come “FATISCENTI”, e quindi ben lontani dal poter garantire qualsiasi tipo di standard di vita compatibile con il pieno rispetto dei diritti fondamentali delle persone detenute, nonché nell’evidenziare il sistematico “SOVRAFFOLLAMENTO” della carceri, reso meno drammatico esclusivamente dalle misure adottate per il Covid-19 le quali, tuttavia, hanno comunque “limitato i diritti dei detenuti, anche riducendo i loro contatti con il mondo esterno”.

Si tratta quindi di una situazione detentiva sicuramente drammatica e chiaramente ben lontana dalle garanzie richieste dall’art. 2 comma 1 L. 69/2005, in ragione del quale, come ti dicevo prima “L’esecuzione del mandato di  arresto  europeo non  può,  in alcun  caso,  comportare  una   violazione   dei   principi   supremi dell’ordine costituzionale dello Stato  o  dei  diritti  inalienabili della  persona   riconosciuti   dalla Costituzione,   dei   diritti fondamentali  e   dei   fondamentali   principi   giuridici   sanciti dall’articolo 6  del  trattato  sull’Unione  europea  o  dei  diritti fondamentali garantiti dalla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il  4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955,  n.  848, e dai Protocolli addizionali alla stessa”.

La stessa Corte E.D.U., con la citata sentenza del 25/11/2014 nel caso Vasilescu c. Belgio ha rappresentato in maniera concreta la sussistenza di evidenti indici di mancato rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti all’interno degli istituti di reclusione Belgi.

Ed infatti la stessa Corte di Cassazione, 6 Sez. Penale, con la sentenza n. 8916/18, con specifico riferimento proprio ad un caso di Mandato arresto europeo Belgio, ha confermato come la sussistenza di specifici indici di possibile violazione dei diritti fondamentali dell’uomo in Belgio, anche con riferimento a quanto riportato dalla Corte E.D.U. nel caso Vasilescu c. Belgio, imponga alla Corte di Appello di formulare una richiesta di informazioni supplementari, ai sensi dell’art. 16 L. 69/2005, allo Stato di emissione del M.A.E. (in questo caso il Belgio) al fine di riscontrare le possibili violazione dei diritti fondamentali del detenuto, imponendo quindi alla Corte di Appello di richiedere informazioni “individualizzate in relazione alla situazione riguardante il soggetto interessato alla procedura di consegna”.

Nella motivazione della Corte di Cassazione, infatti, si legge che: 

Proprio in relazione alla situazione delle carceri del Belgio, questa Corte ha del resto affermato che, in tema di mandato di arresto europeo emesso dall’Autorità Giudiziaria belga, la condizione di rischio connessa a problemi di tipo strutturale che possono tradursi nella sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani o degradanti, evidenziata dalla sentenza Vasilescu c. Belgio del 25/11/2014 della Corte europea dei diritti dell’uomo, impone all’autorità giudiziaria richiesta della consegna di verificare in concreto la sussistenza di tale rischio, correlata alla condizione degli istituti carcerari dello Stato di emissione, attraverso la richiesta di informazioni individualizzate allo Stato richiedente relative al tipo di trattamento carcerario cui sarebbe, specificamente, sottoposto il soggetto interessato (Cass. Sez. 6, n. 22249 del 03/05/2017, Bernard Pascale, Rv. 269920). 

In vero, a fronte di informazioni provenienti da fonti autorevoli e accreditate e prima di tutto alla luce di quanto rilevato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in sentenze riguardanti lo Stato di emissione del M.A.E., deve essere verificato e ponderato il concreto rischio che il soggetto, di cui è chiesta la consegna, possa trovarsi esposto all’eventualità della sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, correlati alle condizioni degli istituti carcerari del Paese di emissione, in ragione del sovraffollamento o di altri strutturali e non puramente contingenti problemi.

D’altro canto, in presenza di una situazione di allarme, originato dall’accertata esistenza di condizioni di rischio, la necessaria verifica implica che siano acquisite specifiche assicurazioni dallo Stato di emissione, che non possono solo concernere profili di carattere generale, ma devono essere individualizzate in relazione alla situazione riguardante il soggetto interessato alla procedura di consegna. 

Nel caso di specie, la sentenza Vasilescu contro Belgio della Corte europea dei diritti umani, pur non avendo assunto la forma della sentenza c.d. pilota, ha tuttavia posto in luce, tanto più con riguardo a taluni stabilimenti penitenziari, problemi che ha definito di tipo strutturale, cui sono riconducibili situazioni che possono tradursi nella sottoposizione dei detenuti a trattamenti inumani e degradanti”. 

La stessa Corte di Cassazione, nel caso specifico, accogliendo il ricorso del ricorrente, persona soggetta ad un mandato arresto europeo Belgio, nonostante fossero trascorsi oltre 7 anni dal momento della pronuncia della Corte e.d.u., ha ritenuto comunque necessario che la Corte di Appello di Napoli procedesse “ai necessari accertamenti integrativi previsti dall’art. 16 L. 69/2005” al fine di verificare che “i problemi strutturali rilevati dalla Corte e.d.u. siano stati risolti”.

Devi sapere, inoltre, come la stessa Corte di Cassazione, sempre con esplicito riferimento alla situazione detentiva in Belgio, abbia finanche messo in luce il fatto che il Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio di Europa (CPTi), in data 13/7/2107, abbia emesso una dichiarazione pubblica con la quale ha evidenziato il rischio di assoggettamento dei detenuti in Belgio a trattamenti inumani o degradanti.

Si legge infatti nella sentenza n. 8916/18 della Sez. 6 della Corte di Cassazione:

Oggetto di infondata ed illogica svalutazione da parte della Corte territoriale deve inoltre ritenersi l’allegazione del ricorrente circa il concreto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti derivante dalle gravi conseguenze prodotte nelle carceri belghe a seguito di scioperi o altre azioni collettive degli agenti penitenziari. Si tratta infatti di situazioni più volte segnalate dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa e che hanno recentemente condotto il Comitato, in mancanza dell’adozione di misure idonee, a emettere in data 13/7/2017, ai sensi dell’art. 10(2) della Convenzione istitutiva di detto Comitato, una Dichiarazione Pubblica con la quale si denuncia il rischio di assoggettamento di un gran numero di detenuti a trattamenti inumani e degradanti, ovvero all’aggravamento di condizioni detentive già intollerabili e all’esposizione dei detenuti a pericolo per la loro salute e la loro stessa vita”. 

Il Comitato per la Prevenzione della Tortura, così come evidenziato dalla Corte di Cassazione, ha rappresentato l’esistenza in Belgio di “condizioni detentive già intollerabili” oltre che la “esposizione dei detenuti a pericolo per la loro salute e la loro stessa vita”, circostanze queste in alcun modo compatibili con i presupposti sanciti dall’art. 2 L. 69/2005, in ragione dei quali l’Italia è tenuta a rifiutare la consegna qualora sussista il rischio di “violazione dei diritti fondamentali”.

Devi capire che la Dichiarazione Pubblica emessa dal Consiglio d’Europa (Cpt) (in gergo definita public statement) sulla situazione critica nelle carceri in Belgio durante gli scioperi del personale ha definito la condizione dei detenuti in Belgio come: “Una situazione intollerabile che equivale a trattamento disumano e degradante”.

Per quanto riguarda la Dichiarazione Pubblica emessa dal Consiglio d’Europa devi sapere che si tratta di misura sicuramente estrema e di rara applicazione, verificandosi esclusivamente allorquando le autorità di un paese non collaborano fattivamente alla risoluzione di determinate problematiche.

La particolare gravità di questo provvedimento, si può dedurre anche solo in considerazione del fatto che, fino all’anno 2017, questa dichiarazione era stata emessa esclusivamente in altre otto occasioni di cui: tre riguardanti la Cecenia (allorquando era in guerra con la Russia), tre riguardanti la Turchia, una riguardante la Grecia, in relazione alla situazione dei migranti, ed una riguardante  la Bulgaria.

Il Belgio, infatti, – nonostante sia finanche sede della Commissione – è stato il primo paese tra quelli fondatori dell’Unione Europea ad aver ricevuto questo tipo di censura, segno evidente della gravissima condizione dei detenuti e del “concreto” rischio che le persone sottoposte ad arresto, in caso di consegna, possano realmente essere sottoposte a trattamenti detentivi del tutto contrari al senso di umanità.

In questo caso appare evidente come, alla luce della sistematica violazione dei diritti fondamentali dei detenuti in Belgio, la Corte di Appello possa formulare una sentenza contraria alla consegna del detenuto, ovvero quantomeno un provvedimento attraverso il quale siano richieste delle informazioni supplementari alle competenti Autorità Belghe, sulla base di quanto previsto dall’art. 16 L. 69/2005 al fine di comprendere le reali condizioni detentive alle quali sarebbe sottoposta la persona richiesta in caso di mandato di arresto Belgio.

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